Sentinelle d’inverno: la fantascienza anti espansionismo di Brian K. Vaughan

Nel luglio del 1845, un giornalista americano di nome John O’Sullivan pubblica sulla la rivista Democratic Review un articolo destinato ad avere un’enorme risonanza politica e mediatica. O’Sullivan infatti riprende e formalizza con efficace sintesi il principio sotteso alla democrazia Jacksoniana (Andrew Jackson era stato il presidente democratico in carica fino al 1837), ossia la necessità di espansione territoriale statunitense sul continente nordamericano. Allargare il più possibile la libertà stelle-e-strisce sul suolo fornito dalla Divina Provvidenza era quindi il ‘destino manifesto’ della nazione, che si preparava ad annettere il Texas e a combattere una sanguinosa guerra con il Messico.

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Sentinelle d’Inverno – We Stand on Guard, recente miniserie Image Comics di Brian Vaughan e Steve Skroce, tradotta in Italia da Bao Publishing, prende le mosse proprio da questo concetto. Oltre a riattualizzarlo, lo traduce verso l’altro grande confine americano, per immaginare una futura (siamo nel 2124) invasione statunitense del Canada. Seguiamo così le mirabolanti avventure di un gruppo di freedom fighters canadesi che combatte, con tattiche di guerriglia e terrorismo, la schiacciante superiorità tecnologica di un esercito invasore.

Il background fantascientifico di Vaughan emerge in maniera predominante nella trattazione di quest’ultimo aspetto. La serie prende infatti un motivo letterario consolidato – il romanzo di invasione, la cui versione ‘moderna’ nasce con The Battle of Dorking di George Chesney, nel 1871 –, e lo remixa con un’estetica mutuata dall’immaginario diesel- e cyberpunk, il manga giapponese, e la fantascienza anni ’50. Troviamo così mecha, enormi veicoli corazzati, cyborg, segugi meccanici à la Fahrenheit 451, astronavi che sembrano usciti La Terra contro i dischi volanti del 1956, macchinari per la tortura virtuale presi forse da 1984.

Questo fertile pastiche letterario e cinematografico è messo al servizio di una precisa visione storica e politica. L’americano Vaughan utilizza infatti l’impianto allegorico della fantascienza per riflettere sull’imperialismo – torniamo così al ‘destino manifesto’ – e sull’interventismo militare statunitense. Riprendendo tematiche già affrontate in L’Orgoglio di Baghdad, lo sceneggiatore delinea la guerra tra Canada e Stati Uniti come strumento di invasione e controllo territoriale, volto all’approvvigionamento di risorse idriche per contrastare la desertificazione delle regioni meridionali. L’acqua sostituisce così il petrolio, in un processo di inarrestabile allargamento del complesso militare-industriale e della macchina propagandista.

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Il risultato finale è però lungi dall’essere una critica monologica. Per quanto è palese che il lettore debba tifare per i personaggi di cui condivide il punto di vista – i ribelli canadesi – alcune ambiguità di fondo e alcune scelte di caratterizzazione restituiscono un quadro molto più sfumato di quanto non sembri in apparenza. In particolare, l’aspetto più problematico ruota intorno allo sviluppo del terrorismo. Vaughan racconta infatti come i nostri ribelli passino dalla guerriglia urbana a veri e propri attentati, siano essi dinamitardi o suicidi, con tanto di riferimento al jihadismo e i giubbotti esplosivi.

Tuttavia, di questo complesso fenomeno viene fornita una visione un po’ semplificata. Il fumetto suggerisce infatti una visione deterministica per cui il terrorismo ‘nasce’ o ‘attecchisce’ in reazione a una violenza subita, soprassedendo sulle implicazioni ideologiche, politiche e finanziarie: “‘Cause you know what really happens when you blow up a kid’s parents? You don’t get some noble defender of justice. You get me”. Una visione del genere può funzionare in V for Vendetta – dove comunque il sostrato è evidente –, poiché l’azione del protagonista si inserisce in una precisa tradizione estetica, politica e ideologica. In We Stand on Guard, dove tale contestualizzazione è omessa, l’attentato terroristico è ridotto a funzione del meccanismo narrativo, per accentuare la spettacolarità dell’azione conclusiva.

Il terrorismo è solo l’esempio più evidente di diversi aspetti trattati in maniera un po’ frettolosa, in un fumetto che avrebbe avuto bisogno di qualche pagina in più. E non solo per sviluppare meglio il tema, ma anche per articolare meglio il climax: se i primi episodi presentano i personaggi e ci introducono in un intrigante scenario post-apocalittico, lo scontro fra “governativi” e “ribelli” si risolve un po’ troppo velocemente negli ultimi due episodi. Le implicazioni fantapolitiche, insomma, restano più implicite di quanto non ci si sarebbe aspettato dopo avere letto le prime pagine della storia.

Passando ai disegni, il canadese Skroce – più noto come storyboard artist che come fumettista – restituisce una prova più che convincente. All’interno di un’ordinata griglia a tre strisce, di cui esalta le potenzialità narrative, si appropria di alcune modalità espressive del fumetto franco-belga – uso ridotto della china, linea di demarcazione, attenzione ai fondali, colori pastello, assenza di ombre – per tratteggiare un mondo dettagliato e iper-violento. Più dettagliato che iper-violento: la direzione di Skroce pare quasi quella di Geof Darrow, dove i particolari diventano un modo per far respirare lo sguardo, sebbene qui si concentri meno sulle figure e più sugli ambienti, in una ode ai boschi canadesi che funziona, gratificando lo sguardo con paesaggi innevati e giganteschi navi/robot/mecha-cose. Skroce è in questo aiutato dagli ottimi colori, ad opera Matt Hollingsworth (ehi, è quello dell’Occhio di Falco di Fraction e Aja) che sottolineano la carica emotiva e simbolica delle scene rappresentate.

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In conclusione, We Stand on Guard rappresenta un’aggiunta minore ma dignitosa alla bibliografia di Brian Vaughan: ritmo godibile, ambienti intriganti e co-protagonisti, una storia rilevante e una trattazione qua e là semplicistica e frettolosa. Che lascia tra le mani una sensazione di curiosità, per un lavoro che forse – non ci fossero state di mezzo serie più impegnative come Saga e Paper Girls – avrebbe potuto spingere l’immaginazione ancora più in là.

OSSERVAZIONI SPARSE

  • Il titolo originale è We Stand on Guard, da un verso dell’inno nazionale canadese.
  • Ritorna una delle tematiche predilette di Vaughan, ossia la compresenza di lingue diverse. Qui si tratta, come prevedibile, dell’inglese e del francese.
  • I consueti scambi di battute sulla cultura pop dello sceneggiatore sono qui diradati, visto che c’è una trama da portare avanti in poche pagine. Tutto il discorso sulle origini canadesi di Superman è però un gioiellino.
  • Il War Plan Red, di cui si parla all’inizio del terzo capitolo, è esistito veramente.
  • Colonna sonora consigliata? Blame Canada, dal film di South Park (1999), che ha praticamente la stessa trama di Sentinelle d’Inverno.

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