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RecensioniNovitàLa Terra Promessa, un ‘road comic’ yiddish per Lucky Luke

La Terra Promessa, un ‘road comic’ yiddish per Lucky Luke

Quasi tutte le avventure di Lucky Luke possono essere ricondotte a quattro filoni principali, inaugurati tutti da Morris e Goscinny nel periodo classico del loro lavoro sulla serie. Ci sono le storie in cui il cowboy deve vegliare su una grande impresa per la civilizzazione degli Stati Uniti, come Rotaie sulla prateria (la prima di Goscinny), All’ombra dei pozzi o Il filo che canta. Altre in cui si scontra con una leggenda del Far West, reale o inventata ad hoc: Calamity Janet, Jesse James, Billy the Kid, ma anche Phil Defer. Ovviamente un corpus di storie riguarda i Dalton, le loro fughe in Canada e Messico, i loro finti pentimenti o i rapporti con i loro parenti.

Il quarto filone è quello in cui Lucky Luke deve scortare qualcuno attraverso i territori selvaggi. Si tratta sempre di personaggi estranei al mondo del Far West, come il nobile russo de Il Granduca (Goscinny – Morris) o gli inventori de Il bandito monco (De Groot – Morris), che il cowboy deve proteggere dai pericoli della frontiera.

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La Terra Promessa. Copertina di Achdé

A quest’ultimo gruppo appartiene il nuovo albo La Terra Promessa, pubblicato il 4 novembre in Francia, ma tradotto e presentato in Italia da ReNoir/NonaArte in anteprima mondiale a Lucca Comics & Games e in libreria a fine mese. Si tratta del 117° capitolo della serie, il settimo dalla scomparsa di Morris, pubblicato in occasione dei 70 anni del personaggio e stampato in una tiratura iniziale di 500mila copie nella sola Francia. Vede l’esordio sul personaggio dello sceneggiatore Jul, vignettista e autore di fumetti umoristici, vincitore del prestigioso Prix René Goscinny nel 2007, mentre i disegni sono sempre del “successore” di Morris, Achdé.

La scelta di Jul è stata quella di affrontare una parte della storia del West che gli altri autori di Lucky Luke hanno sempre tralasciato: l’immigrazione delle comunità ebraiche. In settant’anni di storie sono comparsi italiani, cinesi, pellerossa, inglesi, russi, ma mai ebrei, e questo nonostante le origini ebraiche di Goscinny. Jul costruisce invece la sua trama intorno a una famiglia di aschenaziti in viaggio verso la Terra Promessa, la cittadina di Chelm City nel Montana.

La rappresentazione di questa famiglia è basata sui classici luoghi comuni sugli ebrei dell’Europa dell’est. Il capofamiglia Moishe Stern è un uomo anziano, un po’ svampito, incapace di rendersi conto dei pericoli che lo circondano; il fulcro della sua vita è la religione, vissuta in modo molto ortodosso, rispettandone alla lettera i dettami. Sua moglie Rachel è una donna iperprotettiva, che sembra preoccuparsi soltanto di trovare uno sposo alla nipote e che tutti mangino abbastanza. Completano il nucleo familiare la nipote Hanna e il suo fratellino Yankel, un monello con fionda e kippah.

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Foto di gruppo della famiglia Stern

Nonostante questa rappresentazione stereotipata, Jul riesce a non trasformare i suoi personaggi in semplici macchiette. Piuttosto che sfruttare i loro usi estranei al Far West per imbastire gag, preferisce farli confrontare con Lucky Luke sui vari comportamenti che il cowboy non capisce, come il cibo kasher o il divieto di viaggiare il sabato.

L’albo diventa così una storia di integrazione, in cui due culture diversissime si incontrano e imparano a conoscersi e convivere. Non solo Lucky Luke sopporta le manie della famiglia ed è sinceramente incuriosito dalle usanze, ma anche Moishe si dimostra ben più aperto di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, accettando addirittura il fatto che il cowboy non sia ebreo.

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Incassare un brutto colpo

Jul si avvicina alla tradizione ebraica con grande rispetto. Siamo molto lontani, sia come approccio che come umorismo, da Scusi, dov’è il West?, che mostra il rabbino Gene Wilder piegare i dettami religiosi a proprio vantaggio, per salvarsi la pelle. Moishe Stern questo non lo fa, e forse non lo farebbe mai. La sua obbedienza alle regole è totale, come la sua integrità, tanto da risultare ancora più ingenuo del suo celebre precursore cinematografico, una vittima perfetta dei malviventi del West.

Sicuramente lo sceneggiatore è stato attento a non inserire nella trama alcun elemento che potesse irritare la sensibilità delle comunità ebraiche. Si coglie, piuttosto, un sincero rispetto nei confronti della cultura yiddish, soprattutto nella bella sequenza in cui Yankel suona al violino A yiddishe mame.

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Come in un film di Radu Mihăileanu

Purtroppo, però, Jul non riesce ad approfondire abbastanza il rapporto tra i personaggi da rendere davvero interessante il discorso sull’integrazione, che si ferma sempre su un livello superficiale. Un chiaro esempio è la sequenza in cui Luke e gli Stern incontrano gli indiani. Dopo la solita ostilità iniziale, i due gruppi si trovano insieme a festeggiare. Lo sceneggiatore, per rappresentare il loro avvicinamento, mostra che tutti gli uomini hanno gli stessi problemi quotidiani, incarnati nelle figure materne: sia Rachel Stern sia le madri degli indiani sono figure ingombranti, apprensive nei confronti dei figli, benché ormai adulti, generose dispensatrici di consigli, lamentele e cibarie. Nascono così una manciata di gag divertenti ma non particolarmente originali.

Un aspetto che avrebbe meritato un approfondimento maggiore è la difficoltà degli Stern ad integrarsi con i bianchi più che con gli indiani. Gli americani sono irrimediabilmente ostili agli ebrei. Nel migliore dei casi li ignorano, ma il più delle volte cercano di truffarli, rapinarli o comunque approfittare di loro. Il tema di La Terra Promessa è stato scelto anche per ragioni di contingenza storica, per parlare di immigrazione e integrazione attraverso il fumetto in un periodo in cui in Europa sono temi fondamentali. Lo sceneggiatore sembra voler mostrare i comportamenti sbagliati di noi occidentali civilizzati, mettendoci a confronto con i “buoni selvaggi” che non hanno difficoltà ad accogliere il diverso. Jul però si ferma qui, e non approfondisce il tema tenendosi lontano dal rischio di imbastire un discorso ‘politico’ che un fumetto popolare come questo, forse, non si potrebbe permettere.

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Una battuta in stile yiddish in bocca a un gentile?

Rispetto al disastroso Gli zietti Dalton, l’albo precedente di Lucky Luke realizzato da Laurent Gerra, Jacques Pessis e Achdé, La Terra Promessa è un fumetto piacevole. La scelta di realizzare un “road comic” permette a Jul di inserire agilmente varie situazioni divertenti e diverse tra loro senza forzare la trama e senza che sembri innaturale l’inserimento di nuovi personaggi a storia inoltrata, difetti principali del volume di due anni fa. Qualche battuta scontata (il bambino ha una fionda e un bandito grande e grosso si chiama Goliath: cosa mai accadrà fra loro?) non fa scadere l’umorismo di Jul, che si mantiene frizzante e piacevole, sebbene non ai livelli raggiunti nei capolavori di Goscinny.

Il cultore, inoltre, apprezzerà anche l’aderenza dello sceneggiatore alla forma “goscinniana”. Non solo, come si scriveva all’inizio, è stata scelta una trama nel solco delle storie classiche di Lucky Luke, ma viene anche ripresa l’usanza dello sceneggiatore francese di dedicare qualche pagina ad approfondire l’elemento della storia del West che era al centro della trama, che fosse l’avvento della ferrovia, del telegrafo o altro. In questo caso, l’immigrazione ebraica negli USA.

Non è solo Jul a dover fare i conti con l’ingombrante eredità del suo predecessore. I disegni di Achdé sono buoni, ben curati, e la recitazione dei personaggi è naturale e divertente. Ormai al suo undicesimo albo tra serie regolare e Kid Lucky, il disegnatore ha la perfetta padronanza del personaggio. Il segno è quasi mimetico di quello di Morris. L’autore di Lione, però, non ha mai uno di quei guizzi grafici nella scelta delle inquadrature o nella costruzione della tavola che fanno del creatore di Lucky Luke uno dei narratori per immagini più geniali della tradizione franco-belga.

A differenza dell’altro albo concepito per l’anniversario, L’uomo che uccise Lucky Luke di Bonhomme, La Terra Promessa rientra dunque perfettamente nel canone del personaggio, confermando ancora una volta che, dando il pistolero in mano a autori che lo conoscono e lo amano, si possono realizzare buone storie anche a settant’anni dalla sua invenzione.

Lucky Luke – La Terra Promessa
di Jul e Achdé
Traduzione di Marco Farinelli
ReNoir / Nona Arte, 2016
48 pagine, 14,90 €

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