Disegnare The Walking Dead. Intervista a Charlie Adlard

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Charlie Adlard disegna The Walking Dead. Lo fa ininterrottamente dal 2004, quando è stato chiamato da Robert Kirkman per sostituire Tony Moore, dopo soli sei numeri dall’inizio della serie. Uno, persino due episodi al mese, per quella che è una delle serie a fumetti statunitensi di maggior successo di tutti i tempi. Un fumetto che ha contribuito a plasmare con il suo stile inconfondibile e che ha generato adattamenti televisivi, spin-off e innumerevoli imitazioni. Solo questo basterebbe a piazzare Adlard nell’olimpo del fumetto mondiale.

Eppure c’è di più. Ci sono gli esperimenti per il mercato francese, c’è il lavoro sulle riviste britanniche, c’è la voglia di mettersi sempre in discussione. Di recente, ha sostituito Dave Gibbons nel ruolo di Comics Laureate per il Regno Unito, diventando ambasciatore per la conoscenza e la diffusione della Nona Arte nel mondo anglosassone.

Lo abbiamo incontrato durante Lucca Comics & Games 2016, per parlare del suo lavoro e del suo rapporto con The Walking Dead.

charlie adlard walking dead

Per iniziare, una domanda obbligata. Dopo 13 anni e più di un adattamento televisivo, The Walking Dead rimane un fenomeno transmediale inarrestabile. Qual è il segreto di tale successo?

Due piccoli individui! Be’, non così piccoli… Robert Kirkman, il sottoscritto e il fantastico team che supervisiona il fumetto. Non per darci delle arie, ma direi che viene tutto da lì. Se non fosse stato per Robert, che dodici – quasi tredici – anni fa mi ha scritto «Ti va di lavorare su questa seriettina che sto facendo per Image?», tutto questo non esisterebbe. È una cosa incredibile.

Hai mosso i tuoi primi passi nel Regno Unito, per poi approdare nel fumetto statunitense. Questo tuo background culturale e artistico influenza in qualche modo il tuo lavoro su TWD?

Sicuramente. Se sei inglese, cresci con una certa mentalità, una certa etica professionale. Inoltre, la maggior parte dei disegnatori che lavoravano nel fumetto britannico negli anni Settanta e Ottanta facevano tutto da soli, curando le matite e le chine. Perciò sei portato a fare così, e dai per scontato che quello sia il metodo di lavoro, mentre i disegnatori americani tendono più a specializzarsi come disegnatori o inchiostratori. Quindi penso che questo tipo di mentalità sia stato un fattore determinante.

Sono anche stato influenzato – e in un modo più consapevole – dal fumetto francese. E questo tipo di influenza è più forte per me che per un qualsiasi fumettista inglese medio. Ricordo il mio viaggio ad Angoulême, nei primi anni Novanta, come una delle più incredibili esperienze professionali che abbia mai avuto. Conoscevo già le cose più famose, come Asterix, Tintin, Moebius e Métal Hurlant, ma non potevo immaginare il livello medio del fumetto europeo. Perciò il fumetto europeo e francese sono state una grande influenza per tutta la mia carriera, e hanno contribuito a plasmare il mio stile in TWD.

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TWD ha la peculiarità di estendersi su un lasso di tempo molto esteso. I personaggi crescono e invecchiano, mentre l’ambiente subisce modifiche. Come affronti questo aspetto ‘temporale’?

È complesso, perché cerchiamo di fare le cose in maniera sottile. Non è sempre come nel numero 127, in cui c’è un salto temporale di due anni. Di solito procediamo quasi giorno per giorno: il motivo per cui abbiamo fatto il “timeskip” è in parte perché ci siamo accorti che di questo passo non saremmo mai riusciti a raccontare la storia che volevamo, dato che tre o quattro numero possono coprire anche solo 24 ore, nel fumetto.

Ci sono dei momenti che percepiamo come occasioni ‘naturali’ per mostrare dei cambiamenti. A un personaggio facciamo crescere la barba, o cose del genere. A volte, facciamo dei piccoli salti temporali per rendere visibili le modifiche, perché è virtualmente impossibile far invecchiare i personaggi numero dopo numero e in maniera sottile. Devi scegliere il momento giusto. Fare il salto di due anni è stata una scelta azzeccata, perché ci siamo sentiti come se stessimo iniziando un nuovo fumetto, con una rinnovata dose di creatività. Se prima percepivamo un’aria un po’ stantia, dopo le cose sono sicuramente cambiate, perché è stata la cosa migliore che potessimo fare. Ha veramente dato nuovo vigore alla visione complessiva e allo storytelling. Ah, sì, sto anche cercando di mostrare che gli zombi si stanno lentamente decomponendo.

È una cosa che si nota, se si presta sufficiente attenzione.

Grazie! Sono anche consapevole di come il tempo atmosferico ci possa dare una mano, in tal senso. I numeri che sto disegnando ora sono ambientati in autunno, i personaggi stanno gradualmente indossando abiti più pesanti, e stiamo per entrare in inverno… cose così. È totalmente diverso dalla serie televisiva, in cui fa sempre caldo perché viene filmata ad Atlanta! (ride). Possiamo concederci il lusso di cambiare le stagioni, il che aiuta dal punto di vista visivo e rende le cose più interessanti.

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Come gestisci il flusso di lavoro con Robert Kirkman, considerando che devi produrre un numero su una base mensile o addirittura bimestrale?

È paradossale, ma sono io quello che deve stare attaccato alle caviglie di Robert. Non per dire che se ne sta tutto il giorno a poltrire, ma è perché lavora su così tanti fumetti… Voglio dire, è ovvio che sia in grado fisicamente di scrivere un numero in una sola sessione e poi passare a un altro titolo, ma onestamente non capisco come ci riesca.

Per quanto riguarda il mio flusso di lavoro, direi che il segreto della mia velocità sta nell’essere una persona metodica. Mi piace la regolarità di andare al lavoro e fare il mio dovere, e mi stabilisco quotidianamente degli obiettivi. Se non lo faccio, inizio a sentirmi frustrato. Be’, c’è da dire che posso anche essere settimane in anticipo e provare lo stesso frustrazione, se avevo deciso di fare tre pagine e invece ne ho portate a casa due e mezzo. Sono una persona abbastanza inquadrata, da quel punto di vista.

Lavorando con tempistiche così ristrette, non ti dispiace avere poco tempo per altri progetti?

È il mio unico rimpianto, in realtà. È questa gabbia dorata in cui mi trovo. Non posso lamentarmi troppo però, perché è un periodo sfavillante dal punto di vista creativo. Inoltre la serie ha avuto successo, e i soldi sono fantastici. È tutto grandioso, ma l’unico lato negativo rappresenta un problema particolare per un disegnatore. Uno scrittore può tenere in piedi più progetti – è più facile da un punto di vista fisico –, mentre un disegnatore non ci riesce.

Potermi concentrare su altri lavori è il motivo principale per cui ho iniziato a fare solo le matite di TWD. Negli Stati Uniti, il ciclo All Out War era quindicinale, per cui dovevo fare dodici numeri in sei mesi. Così ho abbandonato le chine per accelerare il processo, per poter fare due numeri al mese. Però, al ritorno alla mensilità, sono rimasto a fare solo le matite, per poter fare altro. Quella era l’idea, e sto effettivamente facendo altro, anche se lentamente. Sto facendo una bédé intitolata Vampire State Building per la Soleil, della quale ho quasi finito due volumi. La gente mi chiede che cosa farò quando TWD finirà – e finirà un giorno –, e io rispondo che voglio migliorare la mia arte. Finalmente ne avrò il tempo, perché adesso sono sempre di corsa. Ci sono pagine che guardo con orrore, dopo un po’ che le ho disegnate.

Tuttavia, ci sono dei vantaggi a lavorare così velocemente, perché questo ti impedisce di pensare troppo a ogni cosa. Un sacco di cose nascono spontaneamente perché non ci pensi. La cosa peggiore è dire «oggi voglio fare la pagina migliore di sempre», perché non succede mai. Quindi l’opzione migliore è quella di non preoccuparsi, lasciar scorrere, e questa è la cosa che più mi piace di TWD. Se devi essere veloce, non hai il tempo di pensare. Di contro, non vedo l’ora di potere rallentare un po’ e di lavorare più rilassato. Senza fare progetti enormi come TWD, ma miniserie o numeri singoli. Mi piacerebbe potermi prendere la libertà di lavorare quattro mesi su un singolo albo, ma senza mai pensarci troppo, e portando a casa il risultato a fine giornata.

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Come cambia il tuo approccio quando prepari le illustrazioni di copertina?

Si tratta di un processo un po’ più ragionato, rispetto alle pagine interne. Di base è un altro processo semplice – io e Robert campiamo di processi semplici. Non dovete immaginarvi chissà quali discussioni sui numeri della serie. Mi manda la sceneggiatura, e io la disegno. Proprio così. Ed è lo stesso con le copertine: mi manda una descrizione di quello che vorrebbe, poiché ovviamente solo lui sa dirmi cosa ci sarà all’interno del numero. Di nuovo, è una cosa un po’ frustrante, perché non sarebbe male sapere la trama del numero, così che io possa proporre qualcosa. Ma non posso, dato che non ho idea di quello che accadrà da lì a tre mesi (dal momento che la cover dev’essere pronta prima, per poter andare sui cataloghi americani). Quindi, mi manda una descrizione, e io posso rispettarla alla lettera, oppure fare tutt’altro. Dipende, faccio quello che mi sento. Diciamo che vedo le indicazioni di Robert come una bozza.

C’è un personaggio cui sei particolarmente affezionato, e che ti dispiace sia stato eliminato dalla serie?

[Spoiler per chi segue la serie nella edizione da edicola Saldapress] Nessuno in particolare. Mi è un po’ dispiaciuto veder morire Ezekiel. Mi piace disegnare Ezekiel.

È un vero figo.

[Spoiler per chi segue la serie nella edizione da edicola Saldapress] Sì, è stato un peccato perché penso che avesse molto da dire e da fare. Ma capisco le scelte di Robert. Il lettore pensa che il personaggio possa rimanere in gioco a lungo, perché ha un sacco di potenziale e ha una relazione irrisolta con Michonne, e così via. E tutto d’un tratto – pop! – è andato. È così che va con TWD: far fuori un personaggio che non penseresti mai se ne possa andare. Quindi capisco il motivo per cui Robert l’ha fatto morire, anche se era il personaggio centrale di quel ciclo narrativo. Oltre a questo, nessun rimorso, perché sapevo fin dal principio che in TWD nessuno sarebbe stato al sicuro. E questo aspetto ne costituisce metà del fascino.

Nessuno a parte Rick e Carl, no?

[Spoiler per chi segue la serie nella edizione da edicola Saldapress] No, nemmeno loro sono al sicuro. Non è uno spoiler, sto solo facendo congetture. Penso che Rick o Carl possano essere benissimo uccisi e il fumetto non ne risentirebbe, in termini di vendite. Non li stiamo tenendo vivi perché pensiamo che senza di loro il fumetto sarebbe spacciato, o il telefilm crollerebbe. Nessuno è letteralmente al sicuro.

charlie adlard walking dead negan

Di recente, il pubblico della serie televisiva è rimasto galvanizzato dall’arrivo di Negan. Pensi che Jeffrey Dean Morgan sia stato in grado di trasmettere le caratteristiche del personaggio originale?

Be’, spero di sì. Confesso che non ho ancora visto l’episodio. E non ho ancora visto la sesta stagione, quindi sono piuttosto indietro. Onestamente, guardare la serie mi sembra un po’ come fare i compiti, perché ovviamente ho un legame molto stretto col prodotto. Quando ho sentito che Jeffrey Dean Morgan era stato scelto come Negan – e sapevo che diversi attori famosi avevano fatto il provino per il ruolo – ho pensato che fosse la scelta giusta, perché ha quella scintilla che serve al personaggio. A differenza del Governatore, che non era così carismatico, Negan ha bisogno del carisma che Jeffrey gli può conferire.

Parlando dei tuoi altri progetti oltre a TWD, una delle cose più interessanti che hai fatto è La maledizione del Wendigo. Vuoi parlarcene un po’, visto che è passato un po’ in sordina?

È stato pubblicato da Soleil, insieme ad altri libri usciti senza troppo clamore. Al di là delle ristampe delle mie cose americane, Wendigo è stato il mio primo vero e proprio libro francese. Come ho detto prima, sono un grande fan del fumetto franco-belga; perciò, riuscire a fare una bande dessinée è stata per me un’opportunità fantastica.

Lavoravo oramai su TWD da due o tre anni, quando sono ritornato ad Angoulême – non ci andavo da un po’ – ed è stato strano, perché per la prima volta da anni ho portato un portfolio. Siccome sono un professionista, normalmente non mi serve un portfolio, dato che il mio lavoro è pubblicato. Ma non sapevo quanto i miei lavori fossero conosciuti in Europa e quanto avessero visto di mio. Quindi ho portato ovviamente TWD, ma anche Savage, che avevo fatto per 2000AD. Dal momento che avevo consapevolmente disegnato Savage in stile Europeo, pensavo che potesse essere il mio biglietto da visita per il mercato francese. E infatti, gli editor con cui ho parlato si sono concentrati solo su Savage. Conoscevano TWD, ma erano interessati all’altra serie.

Ho quindi raggiunto un accordo con Jean Wacquet, il caporedattore della Soleil. E infine, circa un anno dopo, ho ricevuto lo script di Wendigo, una sceneggiatura molto bella di Mathieu Missoffe. Ci ho lavorato nel modo in cui sto facendo ora Vampire State Building, ossia tra un numero e l’altro di TWD. Ci è voluto un po’ di tempo per portarlo a termine perché, come si può notare, è stato fatto in stile tipicamente europeo. Sono contento di lavorare su Vampire State, che è sempre di Soleil, perché la casa editrice fa ora parte di Delcourt, i miei cari amici che pubblicano TWD in Francia. È perfetto, è come essere in una grande famiglia.

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