La contaminazione fantascientifica di Barrier era chiara già dal finale del primo numero. D’altronde, la fantascienza rimane sempre il genere letterario e universo simbolico di riferimento, per Brian K. Vaughan. Era quindi lecito aspettarsi una svolta in tal senso, anche per la nuova serie digitale distribuita sul portale Panel Syndicate. Ma in questa seconda uscita, lo sceneggiatore – in coppia con il disegnatore Marcos Martin – mette tutte le carte in tavola.
Avevamo lasciato i due protagonisti, Liddy e Oscar, in balìa di un raggio traente diretto verso un’inquietante navicella spaziale. Ed è lì che li ritroviamo, confusi, spaventati (Oscar) e senza vestiti (Liddy). La sopravvivenza diventa necessità primaria, in un ambiente oscuro e assai poco ospitale. Il veicolo si rivela infatti essere ricettacolo di spaventose creature aliene, simili agli orrori dimensionali immaginati da H.P. Lovecraft.
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In Barrier #2 accade ancora poco, ma abbastanza per tenere aggrappato il lettore. Si capisce che gli autori vogliono approfondire il dualismo semantico del termine alien, mettendo in relazione una situazione di immigrazione clandestina – descritta nel numero precedente – con un rapimento alieno. Ancora una volta, Vaughan adopera la fantascienza come strumento per straniare il lettore e stimolare una riflessione sul reale. La tensione politica e storica viene trasferita così nel dramma privato dei protagonisti, che si consuma nell’alterità organica della nave-madre. Lo spazio liminale della frontiera si trasferisce nel non-luogo dello spazio profondo, abitato da incubi organici e astrazione geometriche. Qui, lo squilibro di potere tra i nostri migranti coatti è capovolto, con l’americana Liddy regredita a uno stato pre-civilizzato.
L’aspetto più interessante di questo numero è quello visivo. Vaughan e Martin mettono in scena un mondo alieno, nel senso più radicale e immaginifico del termine. Pescano così a piene mani da numerosi riferimenti culturali, tra cui: il già citato Lovecraft; i marziani de La Guerra dei Mondi di H.G. Wells, ripreso da Vaughan anche in Paper Girls; le sezioni ‘spaziali’ del Miracleman di Alan Moore; la psichedelìa fantascientifica di Philippe Druillet. A queste suggestioni iconografiche contribuiscono i colori della sempre ottima Muntsa Vicente, in grado di restituire un look retro-lisergico alle matite digitali di Martin.
Se il primo capitolo di Barrier rappresentava la tesi – la migrazione come questione attuale –, questo secondo ne costituisce l’antitesi. In altre parole, lo sconfinamento nel fantastico, come costruzione di un impianto analogico. È tutto quindi nelle mani degli autori, che possono raccogliere questi spunti e costruire una sintesi efficace. Il materiale di partenza è buono, e il talento non manca. I recenti sviluppi storici possono dare inoltre ulteriori stimoli ai nostri, per traghettare Barrier in un 2017 in cui, ça va sans dire, si parlerà ancora molto di confini, migranti, deportazioni.
Osservazioni sparse:
– Come tutti i prodotti Panel Syndicate, i file possono essere scaricati con un’offerta libera. Potete quindi mettere zero soldi e scaricare impunemente il fumetto.
– La contaminazione storia-fantastico diventa più rilevante se consideriamo come il confine tra Mexico e Estados Unidos sia tristemente noto per la scomparsa dei migranti. Una vera e propria emergenza umanitaria, che ha riarticolato il concetto di ‘desaparecidos’ nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.
– Ritorna, nuova e migliorata, la giustapposizione tra inglese e spagnolo, in quello che è a conti fatti un fumetto bilingue. Un’altra delle marche stilistiche dello sceneggiatore.