Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci presenta una tavola. E spiega le ragioni per cui vi è particolarmente legato, o cosa lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica ospitiamo Lewis Trondheim, uno dei maggiori esponenti del fumetto francese, artefice di opere che vanno dal canonico (La Fortezza) allo sperimentale (La nuova pornografia). Recentemente ha scritto una delle storie del Topolino francese di Glénat. Sposato con la colorista Brigitte Finkdale, insieme a un manipolo di autori ha fondato la struttura editoriale L’Association, che ha pubblicato nomi come Guy Delisle e Marjane Satrapi.
La tua scelta è abbastanza tradizionalista, Polly and Her Pals di Cliff Sterrett. Perché l’hai scelta?
Questa tavola ha ottantacinque anni. È sempre leggibile, divertente, creativa e moderna. Mi piacciono le piccole storie di Dot & Dash che ci sono sempre in cima. È un elemento visivo molto carino. La pagina è muta, una cosa che non capita sempre. La forza del fumetto ‘senza parole’ è che può essere letto da chiunque.
Eppure le due storie non sono avulse l’una dall’altra. Dot & Dash è immersa nel bianco mentre in Polly and Her Pals domina il nero, chiarendo a prima vista che sono due fumetti diversi, con due diversi finali (il primo felice, il secondo con un insuccesso).
Mi piace moltissimo il lavoro sulle masse di nero. Di entrambe amo le invenzioni grafiche, sugli alberi, e le distorsioni, sulle finestre e nelle scale.
E come usa lo spazio. Vediamo realizzarsi fisicamente la compressione degli spazi. Sono scene non fondamentali per lo svolgimento ma indispensabili per veicolare una sensazione di oppressione.
Lo stesso succede nella forte ellisse della penultima vignetta, che è tutta una suggestione.
Quando hai scoperto Polly and Her Pals?
Circa trent’anni fa. Mi ha fatto riflettere molto sulla vita, sulla durata di un fumetto nel tempo. E da allora cerco di fare fumetti che possano essere letti più volte e che siano accessibili ai lettori anche tra cinquant’anni, se possibile. Non mi piace l’idea di un consumo di fumetti che si esaurisce immediatamente, come fossero kleenex.