Il primo film sui Guardiani della Galassia aveva sorpreso un po’ tutti. James Gunn ci aveva spiazzati, facendo qualcosa di troppo diverso da qualsiasi altra pellicola di supereroi. E molto più divertente. Praticamente due ore di battute, citazioni alla cultura pop anni Ottanta, tanta azione e pochissimi momenti in cui si prendeva sul serio.
Non è quindi una sorpresa che il secondo episodio continui su questa linea. Il regista è lo stesso, il cast pure, e assieme portano avanti esattamente quanto costruito nel film precedente, sia nella trama che nello stile. Sia nel bene che nel male.
La trama
I Guardiani della Galassia hanno salvato la Galassia da Ronan e consegnato la Gemma dell’Infinito al sicuro nelle mani dei Nova Corps. Gunn era stato ben attento a chiudere tutte le (poche) trame nel caso in cui non ci fosse stato un secondo episodio. In fondo, la Marvel non era poi così sicura di sbancare con un gruppo di eroi meno che minori.
L’unico discorso rimasto aperto era quello relativo al padre di Peter Quill. Chi è il misterioso genitore alieno che ha abbandonato sulla Terra una donna umana incinta di suo figlio? Il mistero inizia a svelarsi già dalla prima scena, quella che, anche senza scene d’azione e voli spaziali, ti fa pensare che, in fondo, è valsa la pena spendere i quattro euro di supplemento per il 3D.
Sulla Terra nel 1980 incontriamo la signorina Quill e un tizio capellone. Sembrano una coppia normalissima e innamoratissima finché lui non la porta a vedere uno strano fiore blu che ha piantato nel bosco. Abbiamo incontrato il padre alieno di Star-Lord.
Stacco, si va nello spazio 34 anni dopo, quindi poco dopo la conclusione del primo film. I Guardiani stanno combattendo contro un mostro gigantesco per proteggere una popolazione di antipaticissimi uomini dorati. Li salvano, li fregano, fuggono da loro e vengono salvati da un Kurt Russell in gran spolvero. Ecco, abbiamo incontrato di nuovo il padre alieno di Star-Lord, Ego.
Cosa funziona e cosa no
Da queste premesse, presenti già nel trailer, la trama si sviluppa in modo abbastanza prevedibile. Nulla di troppo scontato, che ti faccia prevedere le battute successive, ma nemmeno guizzi di originalità o colpi di scena magistrali. A James Gunn non interessa tessere una storia che ci cambierà la vita, ma semplicemente intrattenerci per due ore.
Immagino che nessuno vada a vedere i film Marvel convinto di assistere a opere di altissima cinematografia. Non stupitevi però se, usciti dalla sala, vi troverete rilassati e divertiti, ma proverete anche una sottile delusione: il film resta sempre piatto e non ha picchi emotivi particolari. Anche l’unico vero colpo di scena non vi sorprenderà troppo e risulterà immediatamente assorbito e digerito nel flusso della narrazione.
Per fortuna la parte action compensa la trama esile, grazie a buoni effetti speciali e all’umorismo che permea ogni momento. Ottimo esempio, e forse scena migliore del film, è la seconda, ovvero la presentazione dei personaggi durante un combattimento con un mostrone in piano sequenza, con la camera che gira intorno a una piattaforma circolare seguendo Baby Groot. Tutta ottima computer grafica, valorizzata dal 3D e dalla musica degli Electric Light Orchestra.
Avendo curato poco la trama, Gunn sembrerebbe aver voluto mettere al centro della pellicola i personaggi, cercando di dare uno spessore alla banda di cialtroni che si ritrova tra le mani, indagando i rapporti tra di loro che nel primo film, per forza di cose, erano stati solo abbozzati. A questo si aggiunge l’ovvio nuovo tema principale, ovvero quello del rapporto padre-figlio di Peter Quill con Ego e con Yondu, il mercenario blu che l’ha rapito dalla Terra e cresciuto invece di portarlo da suo padre.
Purtroppo anche questo aspetto rimane sempre superficiale, troppo schiacciato tra azione e battute. È tutto troppo prevedibile e già visto. E la cosa più fastidiosa è il continuo rimarcare questo ovvio, esplicitare quanto sullo schermo è già chiarissimo. James Gunn sembra trattare il suo pubblico come degli idioti. O dei vecchi, come insegna Stanis La Rochelle. O forse ha solo preso troppo alla lettera le indicazioni del marketing di realizzare un film adatto ai bambini.
Film che, tutto sommato, sta in piedi per due oneste ore di divertimento. Non siamo ai livelli della sua prova precedente, di Captain America: Winter Soldier o di Ant-Man, ma per fortuna nemmeno negli abissi di Thor 2 e Iron Man 2. C’è ritmo, c’è azione, c’è umorismo: possiamo farci bastare questo per un film tratto da un fumetto di supereroi.
La parte nerd
I due film di Guardiani della Galassia si muovono separati dal grosso del Marvel Cinematic Universe: non ci sono grandi punti di collegamento, soprattutto in questo secondo episodio in cui non si citano nemmeno Thanos o le Gemme dell’Infinito. Ma sono diversissimi anche come approccio ai fumetti originari.
Una delle caratteristiche che ha fatto amare da subito i film MCU dai Marvel-zombie è stata l’aderenza ai personaggi creati da Stan Lee, Jack Kirby, Steve Ditko e soci. Non tanto nelle trame delle storie, quanto nel loro carattere e, bene o male, nelle loro origini. L’Iron Man di Robert Downey Jr o il Cap di Chris Evans si comportano come le loro controparti di carta, così come Dottor Strange, Ant-Man e Thor. Nei film del “blocco Avengers” non c’è un momento in cui il nerdone con la maglietta di Guerre Stellari si possa alzare in piedi gridando allo scandalo, a differenza di quanto succede in film che stravolgono le caratteristiche principali dei supereroi.
James Gunn, invece, fa quello che vuole dei personaggi, riscrivendoli come gli torna più comodo.
Prendiamo per esempio Star-Lord. Innanzitutto vengono ignorate completamente le sue storie originarie (di cui potete leggere abbondantemente qui). Sono fumetti di quarant’anni fa, dimenticatissimi quanto era dimenticato il personaggio fino alle saghe cosmiche di metà anni Duemila. In due parole, è sì figlio di un alieno, ma non viene rapito e cresciuto nello spazio. Il suo rapporto con la madre è differente. E non è figlio di Ego il Pianeta Vivente, classico nemico di Thor e Fantastici Quattro, che nulla c’entra con i Celestiali, ma del sovrano del pianeta Spartax. Anche nelle storie più moderne, non è spaccone e caciarone quanto la sua versione cinematografica.
Ancora, Gamora non è simpatica, è una spietata assassina, e non è figlia adottiva di Thanos. Groot in origine era cattivo, non diceva solo «Io sono Groot», ma sapeva parlare e spiegare abbondantemente i suoi piani malvagi. Drax non è un alieno, ma un terrestre ucciso da Thanos e fatto risorgere come macchina da guerra implacabile con il solo scopo di ucciderlo; non è affatto stupido, è solo molto molto poco amichevole.
Stakar Ogord, personaggio introdotto in questo film e interpretato da Sylvester Stallone (si parlava prima di cultura pop anni Ottanta? Spoiler: si cita più volte anche David Hasselhoff) non è un capo ravager, bensì Starhawk, uno dei Guardiani della Galassia originari.
Al gruppo originario dei Guardiani appartiene anche Yondu: non è un pirata spaziale, è molto più crestato, e oltre alla freccia comandata con il fischio porta anche un arco e un grazioso gilet. Uno dei loro nemici è Taserface, personaggio meno che minore nel film, schernito per il suo nome ridicolo, nel fumetto un alieno del pianeta Stark, che nel futuro venera e indossa la tecnologia di Iron Man.
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James Gunn in pratica ha preso pochissimo dei personaggi dei fumetti, il nome e (a volte) l’aspetto fisico. Si è comportato come un bambino che ha ereditato uno scatolone pieno di action figures di personaggi che non conosce. Legge sulle confezioni il nome e si inventa lui chi sono per costruire le storie che vuole.
È una cosa che con personaggi importanti, conosciuti, con caratteristiche più fissate e 50 anni di storie alle spalle non è possibile, se non nel segreto della propria cameretta. Nessuno al cinema si permetterebbe di rendere zia May una ex-supereroina, raccontare una storia d’amore tra Carnage e Kraven il cacciatore o di trasformare Stephen Strange in un hippy (ehi, almeno per ora). Ma in questo caso stiamo parlando di personaggi minori – chi diavolo conosce o si ricorda di Taserface?!? – e nessuno, tranne forse Jim Valentino, si lamenterà di come sono usati. Gunn ha dato loro una nuova vita in un primo film ottimo e in un secondo meno buono o se non altro meno originale, ma che è comunque superiore a gran parte della loro precedente vita cartacea, e basta questo a placare le poche grida di sdegno.