Tagliare la corda

BANDE A PART(E) [capitolo 11]
Da Hara-Kiri alle Graphic Novel – storie di fumetti e rivoluzioni marginali

Dove si scopre che la linea Maginot era persino più fragile della linea chiara e che se cade il capocordata, per non andare giù con lui devi tagliare la corda.

Alternare per capitoli dispari e capitoli pari le storie dei ragazzi e delle ragazze (veramente poche, purtroppo) che fecero l’impresa, mi piace ma ogni tanto mi confonde. Dove eravamo rimasti sulla linea dispari? Ah si, stavamo dicendo di quanto fu importante l’arrivo di Georges Bernier nel gruppo che fonderà Hara-Kiri. Allora qualche parola su di lui, per capire chi era, spendiamole.

Il sergente strillone

cavanna bernier
Cavanna e Bernier

Metti di essere nato alla fine dei ruggenti anni Venti in una addormentata cittadina della provincia francese nord-orientale. Metti che sei cresciuto, orfano di padre, in una casa cantoniera ad Auberville, lungo una tratta ferroviaria secondaria tra Reims e Metz. Metti che tua madre, carattere energico ma castrante e un po’ bigotta, vive il proprio lavoro di casellante come fosse una fede religiosa. Metti che ti ha rifilato un nome desueto e ridicolo, di cui ti vergogni e che vorresti cambiare, perché lo sai bene quanto possono essere stronzi e impietosi gli adolescenti di tutti i nord-est del mondo, con un loro coetaneo che si chiami Georget. Forma nobile e arcaica del più comune Georges, che suona purtroppo, in bocca ai francesi, come il suo femminile Georgette. Metti che l’inquietudine che hai accumulato per l’insulsa vita di provincia e per la continua lotta con gli idioti conformisti, unita alla tua non proprio agiata situazione economica, non ti ha fatto seguire un corso di studi regolare, ti ha fatto cambiare giovanissimo un bel po’ di lavori e ti ha procurato qualche rogna con le autorità preposte a mantenere l’ordine sociale perché hai praticato, anche con serenità, la nobile arte del furto. Beh! Metti insieme tutto questo: il minimo che puoi fare, appena ne hai l’età, è arruolarti nella Legione Straniera.

Così, poco dopo aver raggiunto la maggiore età Georget Bernier si cambia il nome in Georges, si arruola e va a combattere in Indocina. Racconta lui stesso di essersi arruolato a 19 anni, perché, essendo tormentato dalla paura della povertà, voleva garantirsi due pasti quotidiani. Un periodo che lo marchierà a vita. In medio oriente Georges si troverà faccia a faccia con la guerra, la morte, la prostituzione, il sesso di ogni tipo e genere, l’oppio … Ma il problema è che la vita militare non faceva per lui. Non andava d’accordo con gli ufficiali. Tanto che presto si guadagnerà fra la truppa il soprannome di inculasergenti. Dopo 28 mesi lo rispediscono in Francia.

Così deve di nuovo trovarsi un lavoro. E cosa può fare un reduce d’Indocina senza arte né parte e congedato non proprio con tutti gli onori? Lo strillone. Verso gli inizi del 1954 tra gli altri giornali per cui fa l’ambulante gli vengono affidate copie di un giovane giornale satirico fondato l’anno prima da Jean Novi. Zero.

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“Zero” n. 23 del novembre/dicembre 1955

Come si perde una battaglia

Con la stessa ambiguità i francesi la chiamano Drôle de guerre, i tedeschi Komischen krieg. In effetti fu una bella presa in giro per lo Stato Maggiore francese. Incapaci, come solo i militari sanno esserlo, di comprendere la contemporaneità, i generali francesi (va detto però: con l’eccezione di un giovane spilungone brillante di nome De Gaulle, che predicava la necessità, per difendere i confini nazionali, di un forte e agile esercito mobile) ritenevano il concetto base della Linea Maginot validissimo per fermare una possibile invasione dal centro Europa. Pensata dopo La Der des Ders quale risposta al trauma dell’invasione tedesca, fortemente voluta da Pétain, prendeva il nome dal ministro della guerra André Maginot che l’aveva progettata: prevedeva una linea di fortificazioni che, a distanza di ogni 5 kilometri lungo il confine tra l’Alsazia-Lorena e la Germania, garantissero l’impenetrabilità di quel confine. Fu costruita tra il 1928 e il 1935. Costò più di tre miliardi di franchi. Non servì mai a niente.

come si perde una battaglia

Dopo aver invaso la Polonia, i tedeschi piazzarono qualche striminzita divisione corazzata davanti alla Linea Maginot, mentre il grosso delle Panzer Division, fregandosene della sua neutralità, attraversavano nel maggio del 1940 il Belgio, scavalcavano le Ardenne (che i generali francesi ritenevano baluardo naturale insuperabile da un esercito moderno) e si lasciarono la Maginot dietro le spalle. Il 14 giugno 1940 la beffa si conclude e la croce uncinata sventola sulla Torre Eiffel. Il governo francese si rifugia a Bordeaux. Il 22 giugno Pétain, succeduto al Primo Ministro Reynaud, firma l’armistizio. La Terza Repubblica è finita. La Francia viene divisa in due: una zona militarmente occupata, al nord; un governo collaborazionista, con sede a Vichy e presieduto da Pétain, al sud. L’Alsazia e la Lorena vengono annesse alla Germania. Non è solo per i trascorsi storici che i nazisti se le annettono. Sono due regioni ricche di miniere di ferro e di carbone, per questo caratterizzate allora dalla più grossa concentrazione di industrie siderurgiche. Tutte messe sotto il diretto controllo della Wehrmacht.

Il piccolo crucco bastardo

Quando da alla luce Jean-Marc, il 13 aprile del 1941, la giovanissima Charlotte Reiser lavora come operaia in una di queste acciaierie. A Réhon. Non si sa niente del padre. Appena finita la guerra, nel 1946, viene accusata di non essersi tenuta alla debita distanza dall’invasore; infatti, dicono, suo figlio ha i tratti troppo ariani: capelli biondi e occhi azzurri. Per Charlotte è meglio cambiare aria. Affida a una famiglia di contadini normanni il piccolo Jean-Marc e se ne va a Parigi.

reiser
Reiser

L’infanzia di Jean-Marc nella provincia normanna non è certo felice. I compagni di scuola lo trattano da “piccolo crucco bastardo”. Lui si difende coi pugni o con le parole. Si inventa, per esempio, che suo padre era un partigiano di nome Rouissillon, ucciso dai tedeschi. Quando ha nove anni preferisce spesso lavorare in fattoria piuttosto che andare a scuola. Nessuno in quegli anni lo ha mai visto piangere, guardare le ragazze o disegnare. A dodici anni se ne va a Parigi, per raggiungere sua madre. Lei lavora come infermiera in un centro di analisi. La povertà in cui vivono è estrema. Ma a Parigi almeno ci sono i cinema, e Jean-Marc scopre i film di Disney. Anche se a uno sguardo superficiale sembra impossibile, avranno su quello che diventerà un peso fondamentale.

A Parigi frequenta un istituto tecnico. La scuola, allora come oggi è un universo concentrazionario, che ha, almeno in qualche sporadico caso, l’unico pregio di farti scoprire per sottrazione quello che ti piace fare: Jean-Marc scopre che gli piace disegnare. Caricature feroci (insomma, quanto può essere feroce un ragazzetto di quell’età: no, a guardare i suoi primi lavori non potresti mai nemmeno sospettarla la ferocia cui riuscirà ad arrivare dopo) dei compagni e degli insegnanti. Il disegno diviene un atto liberatorio e di rivalsa. Nel segno Jean-Marc si ispira alle illustrazioni di Jean Bellus, uno stucchevole umorista che da noi non sfigurerebbe sulla Settimana Enigmistica, e propone dei suoi lavori a Ici Paris, Radar e France Dimanche. Tutti rifiutati.

reiser

Profondamente scoraggiato nel 1956 lascia la scuola: il diploma? Lo prenderà in un’altra vita. Cerca lavoro e lo trova come fattorino per un grossista di vini. La ditta Nicolas pubblica un giornale che si chiama La Gazette de Nectar. Jean- Marc non ha smesso di disegnare e nel 1959 pubblica su quel bollettino una doppia pagina con otto illustrazioni umoristiche. La breve biografia che accompagna i disegni recita che il giovane autore, innamorato dell’arte del disegno, ad esso consacra tutto il suo tempo libero. Non è proprio vero. Va anche un sacco al cinema. È uscendo da una sala cinematografica che viene abbordato da una ragazza che gli vende un giornale assolutamente, dice lei, anticonformista: Cordées. Lo sfoglia e gli viene un’idea. La redazione sta in boulevard Bonne – Nouvelle. Ci faccio un salto, si dice, magari gli interessano i miei lavori. Va. A riceverlo c’è un certo François Cavanna. Dirà poi Reiser che quello è stato il più grande incontro della sua vita. Sicuramente gliel’ha cambiata.

Già tempo di andarsene

A questo punto bisogna sistemare qualche discordanza tra le testimonianze. Roba da poco e trascurabile, ma dato che ogni tanto non è male essere noioso e pedante, lo faccio. Dura un niente. Giuro. Dunque. Cavanna racconta di avere incontrato Reiser quando il giornale si chiamava ancora Zero. Reiser sosteneva di avere pubblicato le prime cose su Les Cordées. Ora: la cosa più sensata sarebbe andare a vedere i giornali, ma non conosco nessuno che ne possieda le annate complete. Non conosco nessuno a dire la verità, che ne possieda nemmeno un numero. E comunque sono sicuro abbia ragione Reiser. A Cavanna la nuova testata scelta da Jean Novi non piaceva ed è probabile quindi che riferisca le cose più rilevanti (e l’arrivo di Reiser, porcaputtana se lo fu!) al periodo in cui il giornale aveva la testata che lui preferiva. Ma Zero cambia testata nel 1958. I primi disegni di Reiser, con la firma di Giem (dalle iniziali del suo nome: una specie di probabile omaggio a George Rémi) sono pubblicati da Cavanna nel 1959 inoltrato, su questo non c’è dubbio. L’avventura editoriale di Jean-Marc Reiser

piccolo, biondo, carino come un paggio, l’aria di un uccellino diffidente, intimidito ma più diffidente che intimidito, e non a caso: ha solo 16 anni. (Bête et méchant, p.126, traduzione mia)

inizia quasi certamente su le Cordèes. Novi aveva deciso di cambiare nome al giornale nonostante il parere contrario di Cavanna:

Mi aveva spiegato – racconta Cavanna – che i venditori si lamentavano che Zero non piaceva agli sbirri, suonava troppo come una sfida, una presa per il culo, mentre Cordées suggeriva concetti di solidarietà, di scoutismo. Non me l’aveva spiegato proprio in questi termini, ma il succo era questo. E poi, comunque, il padrone era lui. (Bête et méchant, p.228, traduzione mia)

Effettivamente i poliziotti non amavano i venditori ambulanti e in particolare quelli che vendevano Zero. Probabilmente turbavano quello che consideravano il desiderio d’ordine dei cittadini per bene. Infastiditi da questi appiccicosi e insistenti accattoni che importunavano i buoni borghesi cercando di vendergli giornali irriverenti. In certe zone della città, poi, questo fastidio diventava odio aperto. Ovviamente i luoghi dove più andava difeso il decoro della città, che erano però anche i luoghi dove il giornale si vendeva meglio. Gli sbirri non potevano certo arrestare gli strilloni, anche perché spesso erano minori, ma potevano – come con qualsiasi passante –  fermarli e chiedergli i documenti. Spesso non li avevano e così li portavano in centrale per accertamenti. Dieci ore in guardina. Una giornata di lavoro sprecata.

cordees jean novi bernier reiser cavanna
“Cordées” n° 46 del novembre/dicembre 1958

Non era certo un lavoro facile quello del venditore di Zero. Era roba per gente tosta. Bernier aveva un modo per scegliere i suoi strilloni. Tutte le mattine prima di distribuire le copie e le zone di vendita portava tutti quelli nuovi al bar. A bere una cosa. E ordinava lui: un bianco secco per tutti. Quelli che rifiutavano, che dicevano di preferire un bicchiere di latte, un caffè, una spremuta o, peggio di tutto, una Coca-Cola, quelli avevano finito con lui prima di cominciare. Era sicuro che non avrebbero venduto niente.

Così con il nuovo nome il giornale evita i problemi di distribuzione, ma diventa via via sempre più anodino, sempre più adeguato al pensiero dominante. Poi, poco dopo la scelta del cambio di testata, Jean Novi ha la malaugurata idea di morire, a trentotto anni, per un infarto. Denise Novi succede a suo marito nella proprietà e nella direzione del giornale. Imprime alla testata una svolta ancora più borghese. Cavanna è sempre più insofferente. Insomma, proprio quando Reiser arriva, è già quasi ora di tagliare la corda.

// Prosegue fra due settimane…

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