ATTENZIONE: QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER
Tutti i mercoledì negli Stati Uniti vengono pubblicate decine di albi a fumetti. Ogni Maledetta Settimana è la rubrica che tutti i venerdì, come un osservatorio permanente, racconta uno (o più) di questi comic book.
Si è concluso questa settimana il crossover The Button, dipanatosi su quattro episodi: due sulla serie Batman e due su The Flash. Si tratta del primo significativo tassello che procede con quanto iniziato sullo speciale Rebirth, uscito ormai oltre un anno e mezzo fa, con la spilla del Comico di Watchmen che finalmente si attiva e lancia Batman e Flash in un’indagine nel flusso temporale, dagli effetti inattesi e drammatici per l’uomo pipistrello. Il tutto però senza fornire alcuna nuova risposta: i personaggi continuano a credere, come gli aveva detto Wally West, che qualcosa di più potente di Darkseid ha rubato anni della loro vita e delle loro memorie per ferirli prima di sferrare il proprio attacco.
Era già chiaro nello speciale Rebirth e lo è ancora di più adesso che tale entità sarebbe il Dr. Manhattan di Watchmen, ma perché mai gli sia presa questa fissazione apparentemente sadica nei confronti dell’universo DC Comics rimane un mistero e continua a lasciare molto perplessi, visto il finale dell’opera di Alan Moore.
Se non giungono delle risposte, cosa succede dunque in The Button? Innanzitutto accade che la spilla del comico fa riapparire l’arcinemico di Flash, Zoom, nella batcaverna, il tutto in modo però assolutamente gratuito, visto che sarebbe la vicinanza con la maschera dello psico-pirata ad attivare la spilla, Dio solo sa perché. Zoom, nel primo episodio, sceneggiato da Tom King, ha gioco facile dell’uomo pipistrello, ma nel suo delirio di onnipotenza finirà per incontrare qualcuno molto più grande di lui. Flash e Batman cercheranno nel mentre di capire cosa sta succedendo nel flusso temporale grazie al cosmic treadmill di Flash, ossia quella sorta di tapis roulant cosmico che il velocista aveva giurato di non usare più dopo Flashpoint.
Il vero colpo di scena arriva quando i due finiscono in quel che resta della linea temporale in teoria cancellata di Flashpoint, dove Bruce Wayne incontra nientemeno che suo padre. Una situazione capace di scuotere fin nel profondo il personaggio e le sue motivazioni, che però viene risolta frettolosamente e in modo pure poco sensato.
Il tutto si chiude con il teaser di Doomsday Clock, ossia la storia di Geoff Johns e Gary Frank che uscirà a novembre in cui Superman e il Dr. Manhattan si incontreranno. Secondo quanto spiegato da Johns non si tratterà di un maxi-evento, ma una storia più piccola e autonoma che porrà la parola fine su questo gran pasticcio di continuity. The Button inoltre contiene altri due teaser, del tutto slegati dalla storia, uno sulla Justice Society e l’altro sulla Legione, pagine che nella loro semplicità rischiano di restare più impresse del resto.
Tom King da parte sua ha firmato l’ennesimo numero di combattimento del suo Batman, che stringe i denti e si rialza fino allo stremo come aveva appena fatto con Bane, ma per lo meno lo congegna bene e usa la griglia a nove vignette di Watchmen (che per lui comunque non è certo una novità, visto che l’ha applicata praticamente in tutte le sue serie). Joshua Williamson invece risulta molto verboso nel cercare di spiegare il complesso intrico di continuity e la storia con lui procede a fatica, oltretutto King ha ben pensato di lasciargli il secondo episodio di Batman rendendo The Button del tutto squilibrato: una prima parte d’azione, anche efficace, e poi un infinito spiegone che però spiega poco e non convince nelle sue svolte narrative.
Ai disegni Jason Fabok su Batman guarda come sempre a Gary Frank e David Finch senza dimostrare alcuna personalità, ma per lo meno nella prima storia, grazie a King, il suo storytelling è efficace. Howard Porter, che non è mai stato un asso, fa un lavoro appena passabile su The Flash, ma niente di più. Sicuramente i rimandi al ritorno della continuity classica faranno piacere ai fan, ma questa è una storia che serve solo a motivare il reboot in corso e quel che racconta, cioè l’incontro tra Batman e suo padre, lo racconta piuttosto male e senza il coraggio di andare fino in fondo.
Bonus: Per via del ritardo di una settimana nella pubblicazione di The Flash, il finale di The Button è uscito in contemporanea al nuovo numero di Batman, che ne ignora del tutto le conseguenze ed è invece una storia autonoma, sicuramente fin qui la migliore di tutta la gestione di Tom King. Aiuta, non poco, che alle matite ci sia il suo sodale Mitch Gerads, con cui ha realizzato Sheriff of Babylon e che lo affiancherà anche nella prossima Mister Miracle. Aiuta pure che la storia sia un incontro tra l’Uomo pipistrello e Swamp Thing, intitolata infatti The Brave and the Mold. Il personaggio, estraneo all’universo di Gotham, porta con sé una ventata d’aria fresca e atmosfere più adulte, quasi da vecchia Vertigo.
La Cosa della palude arriva a Gotham perché qui è stato ucciso suo padre e anche se prende la notizia in modo stoico, perché la sua visione dell’universo è illuminata, decide di partecipare all’indagine. Ovviamente Batman è affascinato dalla reazione di Swamp Thing alla morte del genitore, che è molto diversa da quello che ha passato lui, ma altrettanto naturalmente la storia avrà un colpo di scena. Che ci siano voluti ben 23 numeri perché King scrivesse un episodio di Batman degno di lui è piuttosto deprimente, ma consola vedere che lo sceneggiatore non ha perduto il proprio talento.
Bonus 2: Si è conclusa la miniserie crime in cinque episodi pubblicata da Dark Horse Dead Inside, scritta da John Arcudi, disegnata da Toni Fejzula e colorata da André May. Si tratta di una storia piuttosto originale, dove un’agente incaricata di indagare sui crimini carcerari si trova di fronte un bestione ammazzato da un mingherlino, che subito dopo si è tolto la vita. Nella sua indagine, però, non riceve sostegno né dal suo capo né dal direttore del carcere e quindi inizia a sospettare un complotto, soprattutto quando scopre che l’uomo è stata ammazzato con un colpo di pistola, un’arma cui i detenuti ovviamente non dovrebbero avere accesso.
La vicenda è ricca di false piste e sorprese, che non riveliamo, e arriva a un finale convincente, a parte forse per il coraggio improvviso e quasi incredibile della protagonista, che si rivela un po’ troppo “badass” per dirla come gli americani. Se Arcudi è tra gli autori più interessanti e convincenti del panorama Usa, dove firma da molti anni la splendida BPRD, è certo meno famoso il team artistico, che svolge comunque un lavoro di grande atmosfera, caricando la storia di disperazione e di momenti da body horror che innervano il mistero di ulteriore inquietudine.