Alla ricerca della serenità. Intervista ad Alice Socal

Una giovane coppia, i dolori del cuore, una città straniera con il suo fiume che scorre in mezzo. Non è tanto nella trama, volutamente minimale, la forza del nuovo libro di Alice Socal, Cry me a river (QUI un’anteprima), quanto nella costruzione del ritmo degli eventi, nella ripetizione del tema che ci accompagna scorrendo fino alla fine. E nei comprimari, strani, buffi, onirici animaletti che compaiono dove serve un consiglio, a sciogliere nodi ed emozioni.

C’è quella sensazione che tutti hanno vissuto, in un momento triste o semplicemente riflessivo della vita, camminando lungo un fiume, o vicino all’acqua. In special modo durante i soggiorni all’estero, di studio o lavoro, quando ci si ritrova felici ma un po’ sperduti, e si vaga esplorando la nuova casa. A  fianco della quieta malinconia, ma anche del mormorio rilassante dell’acqua che scorre, si accosta un altro fiume, quelle delle lacrime che abbiamo prima o poi versato per amore. E il ritornello di una canzone, che ricompare ancora e ancora, portando con sé i ricordi.

cry me a river alice socal

Come e quando è nata l’idea di raccontare la storia di Cry Me a River?

Ho cominciato a pensare a un’idea di libro durante una residenza artistica di due mesi a Linz, in Austria. Successivamente mi sono trovata a vivere un periodo piuttosto confuso, durante il quale ho dovuto affrontare alcune situazioni personali, tra le quali la scelta tra il continuare a vivere ad Amburgo o rientrare in Italia.

Ho passato un’estate a Mestre, e mi sono dedicata totalmente al libro (che ho chiuso durante quei mesi), alla mia famiglia, agli amici. Non dico di aver usato consapevolmente il disegno a scopo terapeutico, ma pormi nello stato d’animo di stare serena e dedicarmi in toto a quello che amo di più, disegnare fumetti, mi ha portato ad affrontare le cose con nuova energia e a trovarmi di fronte a nuove situazioni positive. In fondo è quello di cui parlo sempre nei miei libri: come fare a trovare una certa serenità, ad arrabattarsi per cercare un proprio posto, una strada, una modalità di vita.

Hai scelto di strutturare il racconto come una canzone, intervallando il testo con la ripetizione del titolo, ogni volta disegnato con nuove soluzioni? D’altra parte, sulla ispirazione da Cry Me a River di Timberlake non hai certo fatto mistero…

Il libro nasce da varie suggestioni, tra cui la canzone. Il pezzo di Justin Timberlake mi è tornato in mente durante la mia residenza a Linz, dove la vista del Danubio mi accompagnava quotidianamente dal mio studio. Sono affascinata dalla forza e ingenuità della canzone: nel testo e nel video Justin ferito reagisce con determinazione e senza scrupoli, deluso dal tradimento della sua amata, e vuole vendetta. Dice più o meno così: “tu sei stata stronza e mi hai spezzato il cuore, ora è il tuo turno, piangi per me un fiume”. In quel periodo avevo sentimenti ed emozioni confusi e da elaborare.

Mi sono ritrovata a pensare a questa canzone dopo anni, e mi fa sorridere perché quel tipo di pop era molto lontano dai miei gusti di allora. Pensando alla canzone ed il video, una reazione come la sua era diametralmente opposta a quella che potevo avere io e questo paradosso mi divertiva. Il titolo mi piaceva e l’immagine del fiume di lacrime è visivamente evocativa. Nel libro ripeto più volte il titolo in vari stili tipografici, ma non l’ho fatto per ricreare una scansione ritmica simile a quella di una musica, piuttosto per divertimento e per creare una ridondanza ossessiva ed un ritmo nella narrazione.

In questo libro, rispetto ad altri tuoi lavori come ad esempio il precedente, Sandro, hai usato uno stile più sintetico, più lineare. Niente matite, tratteggi e chiaroscuri.

Ho cercato apposta uno stile veloce, sintetico e immediato. In parte per motivi pratici, volevo chiudere il volume in quel periodo passato a casa, e in parte perché volevo che la resa stessa del testo rispecchiasse la freschezza della storia. In Sandro il disegno è più “lento”, ho languito a lungo su alcune tavole, godendomi l’effetto di profondità che può dare la matita.

In Cry Me a River ho ricominciato da capo più di una tavola, per ottenere il risultato voluto, ma il disegno è sempre veloce ed azzardato dato che non si può cancellare quel segno così facilmente come con la matita. Ho usato dei pennarelli fine liner, pennarelli a pennello, e china nera più o meno diluita per i chiaroscuri. La matita permette un approccio più riflessivo e una resa più tridimensionale. Continuo a usare questa tecnica per le illustrazioni. Per quanto riguarda il fumetto vorrei continuare con la tecnica usata in Cry Me a River.

In Cry Me a River compaiono diversi animali. I due cani dei protagonisti, che hanno un ruolo simbolico importante, ma anche diversi strani animaletti parlanti, che sembrano animali guida. Tra cui un gambero gigante! Da dove vengono?

Non vorrei svelare troppi elementi della storia. Però sì, in effetti sono come degli animali guida, una presenza soprannaturale e goffamente mistica che si manifesta ai personaggi per spiegare o svelare cose. Ho scelto le loro forme in base a diverse suggestioni. Nel libro ad esempio il gambero gigante spiega da solo la propria presenza.

Internet ci delizia con video e GIF di animali coccoloni tenerissimi. Gattini, cani, panda che fanno cose buffe che ti riempiono il cuore di tenerezza e affetto. Altri animali non si prestano a questo tipo di fenomeno, ad esempio i gamberetti che si presentano più facilmente in foto in padella o in versione “Party shrimp” per buffet chic.… anche se per i gamberi di sicuro non c’è molto da festeggiare. Così ho fatto diventare il gambero un personaggio, e mano a mano si è preso spazio e importanza nella storia.

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In quale città è ambientata la storia? 

Come ho detto, ho passato due mesi a Linz. Chi ha visto la città può riconoscere qualcosa nelle tavole… ma non avevo nessun interesse particolare a mostrare una città precisa. Certo, Linz ha un fiume e una delle mie finestre, come ho detto, affacciava sul Danubio! Ma sono presenti anche suggestioni di altre città. Una scena è ambientata in un bar opulento e lussureggiante, simile a quelli di Piazza San Marco a Venezia. Volevo che fosse presente soprattutto un certo sentore di spaesamento dato dal trovarsi in un posto privi di forti punti di riferimento, dove l’aspetto della solitudine della coppia potesse essere accentuata.

Perché hai scelto l’elemento dei fiume, sia per l’ispirazione del titolo, che per la scelta della metafora del fiume di lacrime? C’entra qualcosa con l’idea dello scorrere del tempo narrativo?

Non ho pensato a questo parallelo tra il raccontare e lo scorrere del fiume, ma penso che la presenza dell’acqua sia allo stesso tempo rassicurante e spaventosa, come l’idea del tempo che continua a passare irrefrenabile. Le lacrime, anche se tante da riempire dozzine di bottiglie di plastica, da creare cascate o addirittura un fiume, sono pur sempre uno sfogo ed una liberazione. Dopo ti senti meglio, purificato. Per me lo scorrere dell’acqua ha soprattutto un effetto consolatorio, calmante. Un placido compagno stoico e discreto che accetta le cose così come sono.

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