Lilith è finito, lunga vita a Lilith

Luca Enoch ha scelto bene, un bel nome per avviare la serie a fumetti di Sergio Bonelli Editore, un nome che a mio avviso la definisce meglio dal punto di vista artistico e creativo. Lilith, l’eroina delle 18 puntate eponime uscite semestralmente a partire dalla fine del 2008 e arrivate a conclusione in questi giorni, è infatti un nome antico, ricco, complesso. Compare nell’epopea di Gilgamesh come demone femminile associato alla tempesta, diventa poi una figura ebraica (è un demone notturno e la prima compagna di Adamo) e comunque è portatrice – dal nostro medioevo in avanti – dell’idea di adulterio, lussuria, stregoneria.

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lilith bonelli

Ma Lilith (o Layla) è anche un simbolo di femminilità accanto a quella della Grande Madre, in un mix tra neopaganesimo, femminismo estremo e chissà cos’altro, che attraversa gli ultimi 150 anni del nostro tempo. Insomma, Enoch ha pescato molto, molto bene fin dal nome per costruire la sua storia. La trama è semplice, ma vale la pena ricordarla per sommi capi perché nove anni sono in effetti parecchio. In un futuro lontano i terrestri sono prigionieri del loro stesso pianeta a causa del parassita alieno Triacanto. Viene addestrata Lyca, una bambina, per sterminare il Triacanto viaggiando nel tempo e intercettando tutte le linee temporali in cui il parassita sta per fiorire.

Le cose non sono così semplici: Lilith (questo il soprannome di Lyca) è accompagnata dal suo partner eterico, lo Scuro, e capisce fin dai primi albi che le cose non tornano. I fenomeni non combaciano, i morti non muoiono, le ombre sono vive, i cardi raziocinanti, mentre la storia così come la conosciamo noi svanisce e il mondo imbocca una differente linea temporale in cui l’America è scoperta anche dai giapponesi. Ma Lilith è viva o è morta? E lo Scuro, che diventa lentamente visibile, cos’è? Perché bisogna sconfiggere il Triacanto, che invece cerca di mettersi in contatto con lei? Nel diciottesimo albo, in una formula ridotta rispetto al progetto originario di venti uscite, tutto arriva a sintesi. O almeno, quasi tutto.

Lilith è un esempio di fantascienza distopica, che con il tema del viaggio nel tempo crea ucronie, cioè deformazioni della storia come la conosciamo “noi”. È anche l’opera più completa di Luca Enoch, che è ideatore, soggettista, sceneggiatore, disegnatore e pure copertinista degli albi di Lilith (si scrive da solo pure la quarta di copertina e l’introduzione: un vero “one man band”). Albi che tra le altre cose sono abbastanza ricercati sul mercato, dato che hanno visto crescere l’interesse nel tempo per la storia e che sono considerati un appuntamento stagionale tra i più gustosi per gli appassionati di quel particolare punto di intersezione tra fumetto d’autore e popolare che la Bonelli rappresenta così bene.

lilith bonelli

Ho sempre apprezzato molto Luca Enoch, soprattutto per le cose che ha il tempo di sviluppare e portare avanti con calma. Ha una sensibilità rara sia per la narrazione che per i personaggi femminili, costruisce trame non banali attorno a una piccola montagna di documentazione colta ma non saccente, e anche se il suo tratto non è sempre incisivo ha comunque acquistato una felicità di interpretazione che si fa perdonare qualche indecisione stilistica.

La “fine” di Lilith (non dico niente di più sul diciottesimo albo per non togliere soddisfazioni a chi non l’ha ancora letto e spoilerare una serie di valore) non è una vera fine ed è comunque monumentale, sontuosa. Lascia aperte però ancora alcune “stanze”. Ho sempre la speranza di vedere un giorno ripreso il percorso, magari dopo che questa prima serie sarà stata rieditata, magari con qualche tavola aggiuntiva, in un formato celebrativo di questa saga che, con una qualità straordinariamente costante, è riuscita a tenere alta l’attenzione per quasi un decennio su un tema difficile da trattare e lo ha fatto in pratica senza sbagli.

Già. Perché qui di sbagli non ce ne sono. Il tema del viaggio del tempo e quello dell’invasione aliena del parassita Triacanto sono solo uno strumento che giustifica lo sviluppo della trama, ma ne sono anche il semplice presupposto. Infatti, il limite di tanta fantascienza, anche e soprattutto quando viene declinata a fumetti, è la mancanza di equilibrio tra l’idea tecnologica e quella narrativa. Certo, tutte le storie secondo gli studiosi si possono riassumere in una dozzina di plot essenziali, però bisogna che questi canovacci vengano per così dire “personalizzati” e ben declinati nel contesto che li si è voluto creare attorno.

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La psicostoria creata da Isaac Asimov, con le “crisi Seldon” come acme dello sviluppo del piano pensato dallo scienziato Hari Seldon, si intrecciano alla perfezione con i vari momenti della narrazione della Prima Fondazione (da noi conosciuta anche come Cronache della Galassia). L’equilibrio fra tecnologia, macrostoria e microstoria (quella dei protagonisti dei vari capitoli e vari libri) è brillante. La stessa cosa succede ad esempio con La notte che bruciammo Chrome di William Gibson, il papà del cyberpunk: un’antologia che assieme al romanzo Neuromante sempre di Gibson rende bene l’idea di quanto sia importante per la fantascienza mescolare con sapienza gli elementi: storia, trama, presupposto tecnologico.

Ho citato solo esempi positivi e “lontani” dal mondo del fumetto apposta per sottolineare come si fa quando si fa bene. E Luca Enoch, dal canto suo, ha fatto bene: la storia c’è, ha retto bene per un decennio nel suo lento percolare e alla fine ha regalato un crescendo tutt’altro che banale. Di Lilith rimane indimenticabile il carattere sbruffone, l’esibita “naturalità” (gira nuda senza problema), i momenti di rabbia intensa e omicida (che la rende un killer inarrestabile, anche grazie ai potenziamenti tecnologici sulla superficie della sua pelle) ma che sono simmetrici alle grandi passioni che genuinamente la animano. E soprattutto il desiderio di essere a tutti i costi una vera persona, come tratto del suo carattere oltre che come strumento narrativo.

Lilith è una scusa per viaggiare nel tempo e ripercorrere alcuni snodi della storia, all’inizio in maniera filologica e poi in un crescendo di ucronie sempre più verso un mondo fantastico che ricorda il gusto della fantascienza televisiva americana degli anni Settanta e Ottanta. Ma non è solo una scusa per narrare qualche storia ben documentata: per qualche insondabile motivo in Lilith Enoch è riuscito a trasfondere anche qualche microscopica traccia di “vita”, anzi di quella vita artificiale che ha il dubbio di essere veramente tale, e s’interroga.

lilith bonelli

La tensione che anima il personaggio lo rende davvero tridimensionale e vicino a noi. Almeno, per quanto possa essere vicino alla sensibilità del lettore medio di fumetti Bonelli una invincibile ragazza del futuro che torna per estirpare un parassita alieno dal petto dei nostri contemporanei, eliminando nel contempo anche molto di loro in maniera spettacolare e cruenta.

Enoch ha messo la parola fine a un lavoro di respiro, di passione, di intelligenza che ricorderemo a lungo. Sia per la sua ricchezza, sia per la sua particolare cadenza semestrale, sia per il suo essere “opera conclusa”, finita, che termina. Per chi viaggia nel tempo e apre infinite porte e infinite possibilità, anche questo è un bel paradosso, molto umano e molto delicato al tempo stesso.