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Sunday Page: Marino Neri

Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Emiliano, Marino Neri, classe 1979, è fumettista e illustratore. La sua firma ha solcato le pagine di Internazionale, Le Monde, Rolling Stone e le copertine dei libri Feltrinelli. Tra i suoi lavori più importanti i fumetti lunghi Il re dei fiumi (2008), La coda del lupo (2011) e Cosmo (2016). Di quest’ultimo aveva dialogato con Valerio Stivé sulle nostre pagine.

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Una tavola di Jaime Hernandez da Love and Rockets, un flashback all’interno di un arco narrativo che vedrà Maggie tornare a Hoppers, per fare i conti con alcuni fantasmi, reali e non… È una pagina molto semplice e complessa allo stesso tempo. Precisa e piena di tensione. Descrive alla perfezione la grande capacità di montaggio di Hernandez che non mette mai nulla a caso, dal singolo segno all’inquadratura…

Oltre a questa dopo ce ne sarebbero altre di tavole che esprimono la stessa tensione visionaria. Ma questa è la prima di tutto l’arco narrativo, e viene da una serie di tavole dove lo stile “commedia” scorre fluido e innocuo. Insomma è una vera sferzata.

Mi spieghi perché secondo te questa tavola è davvero grande?

La forza della tavola sta nel montaggio e nel ritmo. Tra l’altro a un primo sguardo verrebbe da leggerla in maniera sbagliata, dall’alto al basso, prima le vignette di sinistra e poi quelle di destra. Ma anche con questo tipo di lettura “verticale” la tavola mantiene intatto il suo senso. C’è una grande tensione che monta. Al massimo del ritmo, appena dopo il primissimo piano, accompagnati dalla stessa voce che chiama la protagonista, con una “inquadratura” da dietro, veniamo riportati alla realtà. L’ultima vignetta dopo il primissimo piano è un cambio fortissimo: come se qualcuno ci svegliasse da un sogno, veniamo riportati a uno sguardo “oggettivo”.

Hai scelto Love and Rockets, quindi immagino ti piaccia o sia stato importante nella tua vita di lettore/autore. Cosa ti piace di questa serie? E ti ricordi come l’hai scoperta?

A dire il vero ho letto completamente l’intera serie dedicate a Maggie e a Hopey solo due anni fa. Conoscevo meglio l’opera del fratello, Beto, di cui avevo letto Pigrizia, Nuove storie dalla vecchia PalomarUna zuppa per il Crepacuore. Ma adesso che Panini 9L ha pubblicato l’intera Love and Rockets Collection ho recuperato anche l’opera di Jaime. Sono sempre stato attratto dal suo bianco e nero, più classico e misurato di quello di Beto, ci vedo dentro le lezioni di maestri americani come Roy Crane, Jesse Marsh e Alex Toth: tutto è composizione e “scacchiera”. Penso che le sue figure femminili abbiano qualcosa anche di John Romita Senior, ma forse mi sbaglio.

Hernandez ha una precisione chirurgica, un controllo totale che sembra mantenersi nella caratterizzazione dei personaggi e negli intrecci delle trame. E a dispetto di questo “controllo” a livello narrativo tutto è riportato con freschezza e fluidità, i registri passano dal comico al drammatico dal realistico al fantastico. C’è una libertà invidiabile. Qua forse si vede l’origine messicana. Vengono in mente alcuni romanzi corali e di “realismo magico” tipici o certo cinema spagnolo. Il tutto sempre narrato con un piglio “anarchico”: c’è il punk, la sessualità, la lotta libera, la fantascienza e ogni tanto qualche super eroe.

Un’altra cosa che sorprende è il ritmo narrativo, devo aver letto da qualche parte che Alan Moore propose a Gibbons la griglia a nove vignette per Watchmen dopo aver letto queste pagine.

Il mezzobusto del cane ha un che di terrificante, immerso nell’ombra, con solo lo scintillio dei denti in vista, ma anche austero perché sembra la stia guardando dall’alto in basso come un nobile che si è stancato perfino di fare le battute di caccia che tanto lo divertivano. E il contrasto è ancora più forte dal fatto che lei lo chiama “cagnetto”.

Il flashback che vediamo in questa scena è stato raccontato come aneddoto 45 pagine prima e ci viene introdotto drasticamente, senza preavviso a conclusione di un capitolo, nel frattempo ci sono altre tre o quattro sotto trame che si sviluppano e intrecciano. Nel racconto l’amica “matta” di Maggie, Izzy delira sull’esistenza del diavolo che “manipola il mondo” e che Maggie racconta di aver incontrato la sera di Halloween sotto forma di cane nero (poi mostrato nella tavola che ora vediamo). Nel capitolo dopo, una Maggie ingrassata e biondo platino fa visita ai parenti nel vecchio quartiere di Hoppers e qua riascolta vecchi racconti sui fantasmi e sui “cani neri”: manifestazioni del diavolo. Insomma tutto questo per dire che sì, lo sguardo “sufficiente” del cane, nasconde qualcosa di volutamente diabolico.

Secondo te la scelta della posa del cane che sta per spiccare il salto è azzeccata? Perché a prima vista sembra che stia semplicemente in piedi.

In effetti penso che intenzione dell’autore fosse di mostrare il cane che si erge in piedi. Nella sesta vignetta poi vediamo che “galleggia” a mezz’aria… Anche qui quindi un elemento fantastico.

Anche il modo in cui taglia il viso di Maggie non è canonico. Secondo te a che scopi asservisce?

Può darsi che il taglio sul viso di Maggie serva a diverse cose: una senz’altro ad aumentare il senso di inquietudine. Insomma qua l’autore fa qualcosa che non ti aspetti. Il taglio non tiene presente neanche dell’occhio che sta a sinistra: poteva escluderlo totalmente aumentando lo zoom, invece ne nasconde solo un pezzo e questo rende ancora più destabilizzante la scelta. Sappiamo che una vignetta decentrata oltre a dare più dinamismo aumenta la drammaticità dell’immagine. Un altro senso di questo taglio penso possa avere origine compositiva: mentre a destra il cane/diavolo mantiene sempre una centralità che direi totemica, per non rendere eccessivamente statica la sequenza, Hernandez sposta il viso della protagonista verso sinistra. Tutto studiato ma proposto con semplicità e naturalezza.

Può essere che Hernandez abbia spostato il viso di Maggie a sinistra solo per far spazio al ballon che entra a destra, sono ragionamenti che noi autori facciamo spesso, ma questo comunque finisce anche per muovere la composizione, insomma dà alla tavola un certo effetto.

Tu hai mai paura che qualcuno legga nei tuoi lavori qualcosa che non avevi previsto o, peggio, travisi qualcosa?

Se il lettore travisa quello che ho fatto, cioè interpreta male un’azione o addirittura non comprende un passaggio è colpa mia, è come fare un errore di sintassi. Ma se cerca e analizza i tipi di inquadratura o i tagli e magari trova una seconda lettura, allora ben venga.

Una scena del genere come l’avresti messa su carta? Le scelte che fa ti rispecchiano come autore? Ovviamente dipende anche da cosa avresti voluto comunicare, ma diciamo a parità di messaggio e sensazioni, come le avresti veicolate?

È una domanda interessante. C’è un passaggio nel libro Chiacchiere di Bottega nel dialogo tra Gil Kane e Eisner in cui Kane sostiene che ci sono diversi registri per raccontare una storia: espressionista, architettonico oppure drammatico e dinamico dove tutto è subordinato ai personaggi della storia.

Mi sembra di poter dire che Hernandez lasci che la storia venga condotta dai personaggi, questo vuol dire lasciare a loro il compito di movimentare il racconto. La regia è spesso “ferma” nei totali in cui i protagonisti guidano la narrazione. Un approccio più teatrale, ma proprio per questo più difficile da mettere in scena (anche se non è l’unico registro che Hernandez utilizza, anzi gioca spesso spostando la narrazione come ho detto prima).

Io tendo ad utilizzare una regia differente, più attiva: muovo di più l’inquadratura. In più non ho mai utilizzato una struttura a nove vignette. È una cosa a mio parere molto difficile, frazionare il tempo e l’azione così tanto. Penso che a parità di messaggio avrei utilizzato uno stile più semplice, probabilmente con una striscia lunga in cui i due personaggi sono contrapposti l’uno davanti all’altro, di profilo. Una inquadratura senza troppa immaginazione ma molto efficace.

Poi avrei giocato con i particolari: lo sguardo del cane, la faccia stupita e poi il cane che si alza, le zampe sospese. Forse avrei mischiato di più le carte. Ma la scelta di Hernandez mi piace così tanto che penso non sarei mai riuscito a fare una tavola di questo livello. D’altra parte stiamo parlando di uno che ha un controllo pazzesco, nelle tavole successive dello stesso arco narrativo la storia prende pieghe surreali mantenendo la stessa griglia.

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