Misdirection: distrazioni, sviamenti, fraintendimenti. Intervista a Lucia Biagi

In Misdirection, l’intenzione dell’autrice Lucia Biagi è chiara fin dal titolo: ci troviamo di fronte a una storia di percorsi errati, malintesi, equivoci. Questo nuovo graphic novel dell’autrice di Pets Punto di fuga inizia con una situazione di apparente pace, una classica vacanza famigliare in montagna (l’ambientazione è Sestriere) dove Federica, la protagonista, trascorre le giornate con gli amici, tra i quali anche Noemi, abitante autoctona del paese.

La pace è destinata a incrinarsi quasi subito, il giorno in cui Federica non riuscirà più a trovare Noemi. Accompagnata dall’amico Giorgio (e dalle sue stesse creazioni, collage, piccoli video, usati come brevi sipari grafici durante la narrazione), Federica compirà un vero e proprio viaggio all’interno del paese e delle sue dinamiche sociali e relazionali.

Il disegno pop, la bicromia, gli espedienti narrativi della Biagi e gli elementi di genere giallo sono dettagli che rendono il libro un lavoro interessante ed articolato, del quale abbiamo discusso con l’autrice stessa.

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Dove nasce l’idea della trama di Misdirection?

Non ricordo l’esatto momento in cui è nata l’idea principale, che si potrebbe riassumere in: «se un giorno la tua amica scompare, che fai?», ma sono abbastanza sicura che la maggior parte delle idee e decisioni per Misdirection le ho prese proprio quando ero a Sestriere in avanscoperta.

Hai pensato subito alla possibilità di inserire elementi narrativi del genere giallo?

Le vicende della trama sono totalmente frutto della mia fantasia; credo che le mie letture e visioni (compreso il programma TV Chi l’ha visto?) mi abbiano influenzato tantissimo, sin dall’inizio volevo che la storia fosse strutturata come un giallo, anche se poi non lo è del tutto.

Come mai hai scelto di concentrarti su quel particolare momento, il passaggio tra l’adolescenza e la vita adulta? È un tema che era presente già da Punto di fuga.

Mi piace parlare di adolescenti in generale, anche se Sabrina di Punto di fuga ha già 26 anni, quindi proprio adolescente non direi, perché è la fase nella vita in cui cominci a definirti e a fare le prime scelte importanti.

Credo sia tipico dell’adolescenza sbagliare un sacco di cose e io sono appassionata e interessata ai personaggi che sbagliano, che si comportano male, che fraintendono e che si evolvono. Confesso che certe volte, anche se ho ben più di trent’anni, mi rimane ancora la sensazione di non essere un individuo completo e che l’età adulta vera non arrivi mai. E mi sa che questo è grave.

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Misdirection1Perché hai scelto di ambientare la storia in un paese turistico di montagna, che tu sembri conoscere bene?

Non so se si possa dire che conosco bene Sestriere. In realtà non ci ho mai vissuto e mi sono molto basata sulla differenza di impatto che mi aveva lasciato quando ci andavo in vacanza negli anni Novanta e come l’ho rivista di recente, quando mi sono trasferita a Torino e ho avuto la possibilità di tornarci spesso. Mi hanno affascinato i grandi edifici pseudo-moderni costruiti per accogliere le grandi quantità di turisti, che adesso hanno una vaga atmosfera di abbandono e antichi fasti dimenticati. Insomma un’atmosfera allegra, perfetta per questa storia.

Giorgio, il comprimario della protagonista, ha un evidente problema fisico. Perché hai deciso di caratterizzarlo in questo modo?

Ho visto alcune persone in giro con questa caratteristica e mi sono informata su questa malattia autoimmune che si chiama alopecia totalis. Ho pensato che desse a Giorgio quel tocco perfetto a renderlo “diverso” e ed evidenziava ancora di più la sua personalità forte e al tempo stesso il suo difficile rapporto con gli altri coetanei.

Più in generale, come lavori allo studio dei tuoi personaggi? Fai parecchi studi in precedenza o lasci che crescano assieme alla storia?

Lavoro tanto sui personaggi, ovviamene quelli principali, prima di iniziare a scrivere la trama nei particolari, perché mi aiuta a farli muovere con più sicurezza e a scrivere dialoghi convincenti. Spesso loro prendono voce propria e per assurdo è la storia che cresce con loro, non il contrario.

Misdirection è narrato dal punto di vista di Federica, quindi è lei che ha principalmente spazio e che ne esce caratterizzata più dettagliatamente. Mi sono molto concentrata sul dargli una voce credibile per l’età che ha e anche sul cercare di farla evolvere durante la storia.

Ho notato, leggendo anche alcune recensioni, che qualcuno ha pensato che ci sia una mia volontà di prendere le parti di Federica o comunque condividere delle sue idee, cosa che non è assolutamente vera. Ho cercato di mantenermi il più distaccata possibile e di non rendere visibile la mia opinione sugli eventi narrati che, a essere precisi, è lontana da quella iniziale di Federica.

Il terzo personaggio principale, Noemi, la ragazza che scompare, è anche il mio preferito. Per lei il discorso della caratterizzazione è ancora diverso, perché tutto quello che si scopre di lei è sempre raccontato e visto dagli occhi di altri personaggi, attraverso flashback o racconti. Devo dire che l’effetto che ha provocato nelle persone è contradditorio, pochi si schierano dalla sua parte e ha creato un istintivo muro di antipatia. Forse, se le persone si chiederanno il perché, posso anche dire di avere raggiunto gran parte del mio scopo.

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Come è nata l’idea degli intermezzi in cui racconti parti della storia sotto forma di “collage”, gli stessi con i quali Federica crea delle piccole storie bidimensionali in slow motion? In Punto di fuga intervallavi invece la narrazione con dei diagrammi. Ti piace utilizzare questi “escamotage” propri del linguaggio a fumetti?

Mi piace utilizzarli perché ho scelto di evitare didascalie con i pensieri e quindi era la soluzione perfetta per farli esprimere in un altro modo. Volevo che Federica avesse un lato “artistico” ancora acerbo e ho provato a disegnare, addirittura con la mano sbagliata (la destra, perché sono mancina), nel modo più naif possibile, quello che poteva essere una sua rappresentazione della realtà. Poi ho pensato che fosse importante, per una ragazzina di 13 anni, la comunicazione sui social per esternare se stessa e così è nata l’idea dei video. Ho provato a farne uno in stop motion e ho fatto una schifezza quindi non l’ho mai pubblicato, mi giustifico dicendomi che era perché ero in treno.

Parlando dello stile, continui la scelta di mantenere la bicromia come nel tuo precedente libro. Come hai scelto i colori, questa volta?

La scelta della bicromia è nata sperimentando con l’ autoproduzione e ha continuato a convincermi quando ho disegnato Punto di fuga perché mi sembrava che desse potenza ed espressività alla storia. Generalmente scelgo un colore più scuro che serve a sostituire il nero del tratto e un tono più leggero per le mezze tinte. Il verde è stata quasi una scelta obbligata vista la quantità di alberi e prati, il viola mi sembrava che si accoppiasse bene, che il risultato fosse freddo ma pop e anche un po’ anni Novanta come è giusto per Sestriere. Questi due colori mi ricordano le tute da sci fluo che mettevano i miei genitori da piccola.

In Punto di fuga usavi anche i retini, e mi sembra che anche il tuo stile fosse diverso. In Misdirection sembri cercare un maggiore “realismo”, sempre all’interno di uno stile pop e immediato. È un’evoluzione “naturale” o hai volutamente adattato l’approccio?

Credo che sia stato abbastanza naturale, quando disegnai Punto di fuga stavo sperimentando come sintetizzare al massimo il tratto, avevo bisogno di staccarmi dal mio vecchio stile e da alcuni manierismi.

Adesso ho trovato un equilibrio e quindi sono tornata ad aggiunge tratti e particolari su quello stile ultra sintetico. E poi ho avuto un supporto visivo notevole per l’ambientazione, ho accumulato tantissime foto, e questo ha reso il tutto leggermente più realistico, anche se ancora ne sono ben lontana.

Com’è il tuo rapporto con le nuove tecnologie e coi social? Questi aspetti della vita contemporanea hanno un peso importante nel libro. Soprattutto, come li vivi in rapporto all’esser un’autrice di fumetti?

Io sono decisamente di un’età diversa rispetto ai protagonisti e il mio rapporto con i social, sia nella vita privata che nel lavoro, non ha assolutamente niente a che vedere con quello che ho immaginato sia il loro. Ho fatto un po’ di ricerche e cercato di osservare i ragazzini per capire che applicazioni fargli usare e come. Sono super curiosa sull’argomento, ma non sono per niente dipendente da smartphone.

Quando ho cominciato a fare fumetti il web quasi non esisteva, ho aperto un blog qualche anno dopo, ma la mia formazione è anagraficamente precedente. Principalmente uso i classici Instagram/Facebook/Twitter per autopromozione, il minimo indispensabile perché sono pigra, e se qualcuno mi tiene a parlare in una chat più di 5 minuti vado in smania… Confesso che non leggo quasi niente online, non ho un Kindle, la mia fortuna è che ho un negozio di fumetti e quindi posso permettermi un’infinità di materiale cartaceo da leggere.