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RecensioniNovitàBattaglia il vampiro e il sangue di Pasolini

Battaglia il vampiro e il sangue di Pasolini

Già dall’immagine in copertina viene messo in chiaro che uno degli intenti di “Ragazzi di morte” è scioccare, scandalizzare. Il disegno, realizzato da Massimiliano Leonardo (in arte Leomacs) e colorato da Luca Bertelè, mostra un minaccioso personaggio in trench mentre sorregge con la mano sinistra la testa decapitata di Pier Paolo Pasolini. Alle spalle di costui ci sono quattro individui, nascosti dietro inquietanti maschere carnascialesche. L’energumeno che impugna il macabro trofeo è Pietro Battaglia, il vampiro siciliano che, in quanto vampiro, non può morire. Dunque è invincibile e, grazie alla sua immortalità e a una completa mancanza di scrupoli, ha messo (e mette) il suo zampino, regolarmente a fin di male, in tutti gli eventi più scottanti della storia italiana contemporanea.

battaglia ragazzi di morte pasolini cosmo

Creato negli anni Novanta da Roberto Recchioni per i disegni del già citato Leomacs, Battaglia è da qualche tempo titolare di una testata a fumetti di cui Ragazzi di morte, in edicola dal 31 luglio, costituisce l’ottava uscita.

Già negli ultimi numeri della saga erano stati trattati in modo molto irriverente temi e personaggi controversi, dalle foibe a Padre Pio passando per Moana Pozzi, ma nell’affrontare l’assassinio di Pasolini (avvenuto il 2 novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia), ossia uno dei fatti di cronaca più oscuri e clamorosi del Novecento, è stata sfoderata una speciale spregiudicatezza, considerando anche il vero e proprio culto – politicamente, socialmente e culturalmente trasversale – di cui Pasolini è oggetto, l’aura di santità laica da cui è circondato.

Di tutto ciò gli autori di Ragazzi di morte (Recchioni e Luca Vanzella ai testi, Valerio Befani e Pierluigi Minotti ai disegni) non si sono curati affatto; anzi, aderendo a modo loro alla mistica pasoliniana della “bestemmia”, hanno programmaticamente scelto la via della dissacrazione, del rifiuto di ogni timore reverenziale. Il Pasolini di “Ragazzi di morte” viene sì descritto come un artista geniale e un polemista di eccezionale intelligenza, ma anche, impietosamente, come un uomo contraddittorio (le crude ed esplicite scene di sesso mercenario con i ragazzi di vita, ribattezzati appunto nel titolo del fumetto – ennesima trasgressione – “ragazzi di morte”) e non privo di debolezze, si pensi alla sequenza in cui Ninetto Davoli, qui chiamato Nino, durante un affollato pranzo afferma «Dovete vedere come zompa sulle recensioni quando esce un suo film», sentendosi rispondere «Suvvia, Nino… Non smontarmi subito, lasciami un po’ di vanità!».

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Pur risultando ben documentati riguardo alla biografia pasoliniana (a parte un errore nelle prime pagine, allorché il domicilio di Pasolini nel 1975 viene collocato nel quartiere romano di Monteverde, mentre era già da oltre dieci anni all’Eur), gli autori danno l’impressione di non provare nessun particolare coinvolgimento emotivo rispetto alla vicenda umana dell’artista friulano, e questo li rende estremamente disinvolti nel maneggiarne l’impegnativa figura.

È come se, scaltramente, nel corso di tutto l’episodio (nelle cui tavole spesse pennellate di cupissimo nero convivono con bianchi abbacinanti) Recchioni e Vanzella giustificassero la loro mancanza di riguardo verso Pasolini per mezzo di dichiarazioni, riportate testualmente, di Pasolini medesimo. Dichiarazioni come questa: «Io penso che scandalizzare sia un diritto, essere scandalizzati un piacere, e chi rifiuta il piacere è un moralista». Ed ecco perché gli autori hanno buon gioco nel sentirsi autorizzati a “maltrattare” Pasolini, a essere – per riprendere il termine che abbiamo usato all’inizio – scandalosi.

Uno dei pregi di Ragazzi di morte è aver saputo tenere assieme, coinvolgendovi direttamente il personaggio di Battaglia (che rivestirà nella vicenda un ruolo di primissimo piano), le tesi più complottiste sull’omicidio del poeta con quelle che invece lo vorrebbero semplicemente vittima di un agguato di giovani prostituti. Non manca, nel fumetto, il riferimento a un capitolo del romanzo Petrolio dai contenuti così compromettenti da dover essere a tutti i costi recuperato; non manca un quartetto di politici, finanzieri e uomini di potere corrotti, sadici e dediti a ogni depravazione che richiamano direttamente quelli dell’ultimo film pasoliniano, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”; non mancano, lo si è detto, i marchettari romani, compreso un omologo di Pino Pelosi. Qui in più, oltre a un tocco di soprannaturale, non viene  risparmiato – a riprova di una notevole libertà d’intenti – neppure il Pci, i cui vertici sono rappresentati come un’accolita di inetti eterodiretti dall’Unione Sovietica.

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Certo, per quanto legittima, l’immagine di Pasolini che viene restituita da Ragazzi di morte è parziale, arbitraria; forse anche ingiusta. Ma Pasolini, nel gettare sempre il proprio corpo nella pratica artistica e intellettuale, nel proporsi anche fisicamente come interlocutore del proprio pubblico, aveva senz’altro messo in conto (anzi, lo aveva probabilmente desiderato) di essere “mangiato” dal prossimo – e quindi poi “risputato” – in forme imprevedibili e talvolta non ortodosse.

Sono sempre Recchioni e Vanzella a rievocare quella favola indiana, tanto cara a Pasolini che si identificava nel protagonista, in cui un maharaja si inginocchia davanti a delle tigri che stanno morendo di fame e dice loro: «mangiate me». È grazie a questa disponibilità a essere “divorato” che ancora oggi, a più di quarant’anni dalla sua morte, Pasolini può finire al centro di un’opera discutibile ma forte, al contempo greve e sofisticata – e alla fine dei conti riuscita – com’è il fumetto Ragazzi di morte.

Battaglia – Ragazzi di morte
di Roberto Recchioni, Luca Vanzella, Valerio Befani e Pierluigi Minotti
Editoriale Cosmo, 2017
144 pp., b/n
5,00 €

*Questo articolo è stato originariamente pubblicato in forma ridotta e rielaborata su Libero del 22 luglio 2017

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