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10 anni di Lilith: la fine di una grande epopea. Intervista a Luca Enoch

di Laura Scarpa*

Luca Enoch ha sempre avuto un debole per i personaggi femminili giovani, atletici, energici, ma soprattutto pronti alla lotta e ad affrontare il conflitto tra bene e male. Dopo Sprayliz, nata sulle pagine dell’Intrepido e poi pubblicata in una serie tutta sua, nel 1999 Enoch creò Gea, la prima serie a cadenza semestrale di Sergio Bonelli Editore, da lui interamente scritta e disegnata. Quando nel 2007 la serie giunse al termine, Bonelli volle replicare un format simile, ed Enoch creò Lilith, una figura forse più sfaccettata di Gea, metà umana e metà demone.

Ora, dopo 18 numeri e 10 anni, Lilith ha concluso la sua epopea. Ne parliamo con l’autore, concentrandoci anche sull’altra sua serie per Sergio Bonelli Editore attualmente in corso di pubblicazione, Dragonero, e sui suoi progetti futuri.

Leggi anche: Lilith è finito, lunga vita a Lilith

lilith luca enoch bonelli

10 anni, 18 uscite. All’inizio si parlò di contratto decennale e dunque con un limite di 20 uscite, ma già avevi annunciato che ti saresti fermato a 16 o 18. Su che cosa si basava questa stima? Un percorso e delle tappe della storia o piuttosto su una tua “durata” preferita?

Volevo equiparare la durata di Lilith con quella di Gea. 18 albi la prima, 18 la seconda. Con Gea ci siamo fermati un paio di albi prima del previsto, su richiesta di Sergio Bonelli, mentre con Lilith avevo pianificato 18 numeri sin dall’inizio.

18 numeri sono quelli frequenti in una miniserie, solo che di solito sono mensili o bimestrali e dunque si dà da 1 anno e mezzo a 3 anni di pubblicazione. Ben diverso invece reggere un racconto, che ha un suo continuum narrativo, anche se a episodi chiusi, ritrovando ogni 6 mesi i lettori e programmando 10 anni di uscite. Su che cosa si è basata la tua fiducia in te stesso e nel pubblico?

La fatica è tutta dell’autore mentre al lettore è richiesta pazienza e costanza. Io avevo già un discreto pubblico che mi aveva dimostrato fiducia e affetto e che mi aveva seguito nei 9 anni di Gea e che ha accettato di farlo anche con la nuova protagonista. La produzione di questa serie, come di quella precedente, è stata senza soluzione di continuità. Il lettore doveva subire l’attesa di 5/6 mesi tra un’uscita e l’altra, ma per me non ci sono stati momenti di pausa.

sprayliz luca enoch

Lavorare a un personaggio a suo modo seriale, completamente da soli, è molto raro e diffcile. Tu però sei un habitué. Da Sprayliz, a Gea e a Lilith, gestendo completamente in solitaria testi e disegni. Un grande impegno. Come ti sei rapportato con gli editor prima e durante il lavoro? E ti hanno aiutato a modificare o a capire meglio quello che facevi?

Ricordo che quando iniziai Gea avevo come editor Antonio Serra che, a ogni episodio, mi avvertiva di come fossi fuori norma e che tuoni, fulmini e saette sarebbero caduti sulla mia testa. Con qualche discussione, meno di quello che temessi, tutto quello che proponevo veniva accettato dalla direzione di Canzio e passava il controllo editoriale di Bonelli. Dal quinto/sesto albo fui lasciato per conto mio a misurarmi con direttore ed editore. I conflitti sono stati sporadici ma in tutti i casi mi sono allineato alla volontà della casa editrice.

Direi che mi è stato lasciato molto spazio libero, sia per Gea che per Lilith, il mio angolo del matto dove mi lasciavano sfogare senza lasciarmi oltrepassare certi limiti: una situazione ottimale, per un autore.

Lavori sceneggiando con Vietti, ma quando disegni sei anche autore totale e solo… Che differenza tra collaborare e fare l’autore completo?

Dragonero lo stiamo costruendo a quattro mani, Vietti e io. Perché una cosa divenga operativa e quindi parte del mondo di Dragonero occorre che entrambi si sia d’accordo, altrimenti non si procede. Lavorando da solo non ho limiti ma nemmeno controlli. Nessuno, in sostanza, che mi dica che quello che faccio non gli piace, ma nemmeno che mi faccia notare che quello che sto scrivendo non quadra.

Come sei riuscito a mantenere quei ritmi, in particolare nel disegno: hai avuto aiutanti? Hai usato il computer per rendere il lavoro più fluido?

Nessun aiutante. Per produrre con costanza 25 tavole al mese ho dovuto pianificare la mia attività con precisione maniacale e con pochi giorni di agio a fine mese. L’utilizzo del computer per elaborare le tavole (campiture nere e toni di grigio) mi ha aiutato molto nel rispettare i tempi.

In Gea la struttura era alla base più classica: il percorso di un eroe (eroina in questo caso) per adempiere ai suoi compiti e arrivare a maturità, secondo uno schema, complesso, ma noto. Lilith mi sembra in realtà tornare su questo stesso schema, ma con una maggior indipendenza e maggior ambiguità verso il lettore. L’eroina non è più il guardiano del bene, e il percorso, variando nei secoli, appare in superficie meno lineare. Quanto di Gea c’è in Lilith?

Molto, direi, nella storia: la consapevolezza raggiunta a fatica che il Bene spesso non sta dove ce lo indicano maestri, genitori e autorità. La responsabilità – non desiderata – della sorte di un numero imprecisato di perfetti sconosciuti, tutta sulle spalle delle protagoniste. La decisione finale, presa in totale solitudine e nella piena consapevolezza di poter sbagliare.

Poco, nel racconto: lineare quello di Gea, simile a quella dei giochi di ruolo dove il protagonista acquisisce poteri e consapevolezza a mano a mano che avanza nella trama. Spezzato e confuso quello di Lilith, il cui spaesamento doveva essere, nella mia intenzione, compagno di quello del lettore.

gea luca enoch bonelli

Quando sei partito col progetto, che cosa avevi già chiaro in mente?

Avevo ben chiari l’inizio e la ne della vicenda. Quello che sarebbe stato nel mezzo, come diceva Hugo Pratt, è l’Avventura.

Enoch, Gea, Lilith, da te stesso alle tue storie, la Bibbia e i miti sembrano essere i testi di riferimento. Non solo i nomi, ma – come insegna Pratt – i nomi sono la natura dei personaggi, il loro significato e ruolo. Se Gea era dunque una ragazzina, che modi cava il concetto di Madre terra, Lilith, prima moglie di Adamo, è anche essere diabolico, ma anche simbolo della donna indipendente, per le femministe; ha una complessità morale varia, e una sessualità importante. L’elemento sessuale, sempre libero nelle tue storie, qui diventa chiave che scardina… Una scelta tua personale di evoluzione del pensiero?

In Gea l’elemento sessuale, oltre a essere fonte di gag tra lei e i vari comprimari, era anche ingrediente attivo e fondamentale per la liberazione dell’energia interiore della guerriera. In Lilith, il sesso viene prima utilizzato come arma, per manipolare, confondere e ottenere ciò che la protagonista vuole; poi, come via di fuga dalla terribile solitudine che la accompagna nei suoi balzi temporali.

Il nudo, per motivi editoriali, è stato reso in modo abbastanza neutro, tanto che il corpo di Lilith è a volte quasi mascolino, doppio. Quanto è cambiato nel corso dei 18 numeri? Quanto è cambiata Lilith, graficamente e caratterialmente?

Il nudo è l’uniforme di Lilith. Infatti quando l’ho vista con un’anonima maglietta bianca nell’immagine di gruppo di The Editor Is In, non mi è nemmeno sembrata lei. Il suo corpo non l’ho mai inteso come mascolino, ma atletico, tonico e allo stesso tempo seducente quando doveva esserlo.

Lilith luca enoch bonelli
Da Lilith n. 17

10 anni, 18 storie in epoche molto diverse. Il tempo è il nucleo e la chiave di lettura di questi episodi. Ti sei basato su studi e teorie sul tempo?

No. In realtà ho abbandonato ogni teoria sui viaggi nel tempo e i suoi paradossi, per utilizzare un singolo segmento temporale – quello in cui si trova Lilith in ogni storia – che influenza il tempo che verrà ma che non è influenzato dal futuro, recidendo come nodo gordiano il paradosso del viaggiatore del tempo che uccide un suo antenato e che pertanto non potrebbe essere esistito nella realtà da cui è partito.

L’ucronia è un aspetto che ha sempre incuriosito l’uomo, perché comprende la possibilità di scegliere, il potere di cambiare le cose. Ma è anche quello che spesso pensiamo, pentendoci di frasi non dette, di scelte “sbagliate”, di occasioni mancate. Ci capita di pensare che cosa sarebbe successo se un personaggio o fatto storico fosse cambiato. Nella tua vita hai mai pensato che avresti potuto agire diversamente e perdere o guadagnare qualcosa?

Se non avessi detto, se avessi fatto… sono interrogativi che prima o poi ognuno si pone, anche solo per fantasticare su quello che avrebbe potuto essere e che non è stato. E non importa se uno è soddisfatto o meno della sua vita, non serve desiderarne un’altra per lasciarsi sedurre da questi “what if…”.

Nel racconto di Lilith, ci sono alcune libidini che ho potuto soddisfare: la prima è ambientare le vicende della protagonista in epoche storiche che ho sempre desiderato disegnare (dall’antica Roma al western, dalla civiltà mesoamericana degli aztechi al “mondo fluttuante” del Giappone); una seconda è stata quella di raccontare episodi storici poco frequentati dalla narrativa a fumetti ma che mi hanno sempre interessato (il fronte austriaco della Grande Guerra, il sacco di Nanchino, la “scoperta” dell’America da parte dei normanni); infine ho cercato di mostrare come ucronie “importanti” e considerate come il male assoluto nella narrativa di SF, come la vittoria della Germania nella grande guerra europea, avrebbe dato vita a un mondo tutto sommato simile a quello attuale (gli eserciti invasori tedeschi in Iraq e Afghanistan sono quasi identici a quelli americani e inglesi della nostra realtà e uguale è la situazione di sfruttamento e insicurezza dei paesi dove essi si recano), mentre singoli eventi sconosciuti ai più, come il diverso esito della battaglia di Sekigahara in Giappone, nel 1600, stravolge i futuri scenari mondiali.

lilith luca enoch bonelli
Da Lilith n. 18

Anche le nostre stesse vite dipendono dall’incontro di due individui in un certo momento… A volte è la piccola storia, a volte la Storia, che influenza anche le nostre nascite… Il tempo passato negli anni del fumetto, come ha cambiato il tuo lavoro, e ti ha cambiato intimamente?

Sì, un tempo uscivo, facevo cose, vedevo gente. Ora vivo rintanato nel mio loculo e lascio che siano le mie due figlie a godersi la grande città mentre io la subisco.

Il bene e il male. Hai sempre dato loro un’ambiguità, una scelta non dogmatica. In questo finale lo enunci chiaramente e capovolge persino le situazioni e idee pregresse del lettore. Era lo scopo finale che già ti prefiggevi? È questo il nucleo del racconto intero?

Il nucleo del racconto è l’inganno che l’uomo moderno continua ad autoinfliggersi: la convinzione di essere al centro del mondo, il fulcro attorno a cui ruota tutto, il figlio prediletto del dio di turno, il soggetto principe che dispone di un mondo da assoggettare. Questo è diverso dal concetto del mondo come organismo vivente, in cui l’uomo è visto come un virus pernicioso. Nel mio racconto l’uomo fa parte di un complesso unicum fisico e spirituale, di cui ha perso ogni consapevolezza e in cui è richiamato a rientrare.

dragonero

La storia termina, ma sotto sotto hai annunciato anche dei possibili spin-off, che ci spiegheranno quello che è successo ad alcuni personaggi e derivazioni ucroniche… che cosa dobbiamo aspettarci? Storie annuali? Volumi da libreria? Sempre con Bonelli?

Questo dipende solo dalla Bonelli. Io di idee ne ho gonfi cassetti.

Oltre a un episodio tutto firmato da te di Dragorero, quale sarà la tua prossima storia che leggeremo come autore completo?

Una sfrenata e, spero, divertente storiella di Groucho, che fa parte di un progetto ancora top secret per la direzione di Roberto Recchioni e che verrà presentata alla prossima Lucca Comics.

*Questo articolo è originariamente apparso su Scuola di Fumetto n. 107, ora in edicola.

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