Monstress: il fantasy ibrido di Liu e Takeda

Monstress potrebbe davvero essere una serie fighissima. Storia, disegni, personaggi: le carte in regole ci sono tutte. Ma le potenzialità della nuova serie Image Comics di Marjorie Liu (X-23, Han Solo) e Sana Takeda (X-23, Ms. Marvel) rimangono in parte inespresse, per via di alcune problematiche nella narrazione e nel world-building.

Pubblicato di recente da Mondadori Oscar Ink, Monstress è un fantasy dall’impostazione piuttosto classica. Vi ritroviamo un mondo diviso in regioni e abitato da razze in perenne conflitto tra loro. Arti magiche sono praticate con estrema disinvoltura, mentre gli spettri di antiche divinità lovecraftiane aleggiano minacciose e incombenti. Gatti parlanti dispensano consigli, e divinità umano-animali (alcune sembrano un po’ dei furry) oscillano tra splendore e decadenza.

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All’interno di questo coté dal sapore più o meno convenzionale, le autrici inseriscono però elementi di sicuro interesse e presa sul pubblico. Primo fra tutti, l’ibridazione. Riverberando il carattere interstiziale del proprio lavoro, a metà tra il manga e i comics americani, le autrici affidano il ruolo di protagonista a una giovane ‘arcanica’, ossia a un «ibrido di umani e antichi». Spesso caratterizzati da disabilità o vere e proprie aberrazioni fisiche (ad esempio alla protagonista manca un braccio), gli arcanici rappresentano i paria dell’universo di Monstress, e vengono venduti come schiavi alle potenti streghe della Cumaea.

Le streghe ci ricordano il secondo aspetto di interesse del fumetto: tutti (o quasi) i personaggi sono femminili. Soprattutto, i personaggi nelle posizioni di comando. Affidare una preminenza – anche solo numerica – alle donne rispecchia la salutare tendenza verso la diversificazione che ha investito la cultura pop negli ultimi anni, e specialmente i fumetti Image (Saga, Paper Girls, Wicked + Divine). Non è molto chiaro, almeno da questo primo volume, ma la scelta assume una precisa connotazione politica e/o simbolica.

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È evidente che gli arcanici sono una semplice ma efficace metafora per trattare questioni come il razzismo e il meticciato. Ma meno perspicuo è il valore narrativo ed extranarrativo affidato a una così specifica conformazione di genere. Liu e Takeda vogliono dirci qualcosa sul rapporto uomo/donna, sul carattere essenziale di queste categorie, e/o sull’intersezione tra dinamiche di oppressione sessiste e razziste? Oppure si limitano a sostituire il patriarcato con un matriarcato senza ipotizzare ripercussioni evidenti nella struttura sociale?

Questi interrogativi e spunti critici si infrangono però contro un’impalcatura narrativa non sempre all’altezza. La sceneggiatura di Liu è a tratti confusa, farraginosa, oltremodo espositiva. Vengono affastellati personaggi e situazioni senza che il lettore abbia la possibilità di metabolizzare il tutto, tant’è che dal secondo capitolo le autrici inseriscono delle verbose appendici in cui elaborano snodi e punti oscuri presentati nel fumetto. Il più delle volte non si tratta di approfondimenti e contestualizzazioni alla Watchmen, ma di spiegazioni necessarie alla comprensione delle vicende. Altro che “show, don’t tell”.

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Una situazione simile caratterizza il comparto visivo. I disegni di Sana Takeda sono tanto belli ed evocativi quanto poco funzionali alla narrazione. Apprezzabile è la mescolanza tra strategie di rappresentazione occidentali e asiatiche, ad esempio tra realistico e deformed, così come l’uso narrativo del colore. Ma la regia è caotica, la composizione ostentata in maniera ripetitiva e prevedibile – basti vedere l’abuso del dutch angle e delle vignette oblique. Sembra che il layout rispecchi il carattere ornato ed eccessivo del design generale – vestiti, architetture –, con evidenti ripercussioni sulla leggibilità e sulla fruizione.

Monstress potrebbe davvero essere una serie fighissima, ma risente di incertezze visive e narrative che rendono difficoltosa la lettura. Non si tratta però di un’opera da buttare. Lontane dal mero escapismo troppo spesso associato al fantastico, le autrici usano il genere come specchio deformante per raccontare una storia attuale e politica. Soprattutto, ci fanno riflettere sul carattere fluido e performativo dell’identità, come forma di appartenenza improntata sul divenire piuttosto che sull’essere. Ci troviamo di fronte a un Saga in salsa fantasy-orientaleggiante? Ai prossimi numeri l’ardua sentenza.

Monstress vol. 1
di Marjorie Liu e Sana Takeda
Traduzione di Chiara Libero
Mondadori Oscar Ink, 2017
208 pagine a colori, € 19,00