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FocusInterviste«L’importante è non lasciare indifferenti.» Intervista a Marco e Giulio Rincione.

«L’importante è non lasciare indifferenti.» Intervista a Marco e Giulio Rincione.

Tra gli autori emergenti che si sono maggiormente in vista negli ultimi tempi, si possono di certo annoverare i fratelli Marco e Giulio Rincione. Il primo è sceneggiatore, tra le altre cose, di Noumeno#Like4Like (QUI un’anteprima), entrambi pubblicati da Shockdom; il secondo è autore unico di Paranoiae (sempre per Shockdom, con il nome d’arte Batawp) e illustratore di varie opere, tra cui Paperi, il primo fumetto a cui hanno lavorato insieme e a mio parere anche quello più complesso, equilibrato e interessante (e sul quale li avevamo già intervistati). Di recente entrambi hanno esordito in Sergio Bonelli Editore e per Lucca Comics and Games 2017 presenteranno una storia speciale su Groucho (di cui abbiamo parlato QUI).

Marco e Giulio sono gemelli, fanno due lavori diversi eppure sembrano allineati sulla stessa lunghezza d’onda autoriale. Le loro urgenze nel voler raccontare particolari storie in modi altrettanto particolari sono coincidenti: emerge chiara la priorità, come autori, di disturbare il lettore, spingerlo a riflettere, confinarlo in luoghi di riflessione oscuri e malati.

In occasione dell’incontro che hanno tenuto a Genova presso la fumetteria Comics Corner e della loro presenza al Genova Comics and Games, ho avuto modo di interrogarli sul loro lavoro.

paperpaolo paperi rincione shockdom

Partiamo subito con una domanda sull’ultimo tuo lavoro, Marco: #Like4Like. Un fumetto in due parti (realizzato insieme a Prenzy) che riflette sulla degenerazione della componente social nella nostra vita quotidiana. Come altre tue opere noto che hai l’urgenza di raccontare il reale quindi ti chiedo: quanto e importante il legame fra il tessuto sociale e l’immaginario che crei con le tue storie?

Marco: Credo sia parecchio importante perché una delle necessità che mi porta a scrivere è la volontà di raccontare il mondo in cui viviamo, che oggi è un mondo a più livelli. C’è una realtà fisica, concreta ma anche una realtà virtuale/social che non è meno reale. Ho quindi la necessità di raccontare come intendiamo vivere questa vita.

#Like4Like nasce nel 2015 ed è un po’ uno sfogo nei confronti del mondo social, che stava assumendo sempre più controllo nei confronti della nostra vita. La mia voglia era quella di spiegare a me stesso una possibile motivazione a questa vita. Anche Paperi intende esplorare comportamenti umani e problematiche che ci possono riguardare da vicino.

Immagino che una componente di ispirazione derivi da media altri. Come combatti la difficoltà di dire qualcosa di ovvio, scontato, banale laddove opere televisive, cinematografiche o musicali sembrano aver già detto tutto o comunque tanto?

Marco: Non ci poniamo il problema di essere estremamente originali perché non abbiamo letto o visto tutto ciò che c’è nel mondo, per cui di sicuro esiste già qualcosa di simile a ciò che racconto. Credo che ci siano due motivazioni che portano un autore a scrivere qualcosa. Una è quello di colpire il pubblico. Un’altra è quello di soddisfare se stessi, perché ci si sente in dovere di raccontare qualcosa che ci riguarda da vicino.

Noi rispondiamo al secondo bisogno: nel momento in cui creiamo una storia non ci poniamo il problema del plagio, perché di certo parte tutto da una mia idea. La base di partenza è qualcosa di ingenuamente genuino, diciamo così, che facciamo perché vogliamo farla noi.

like4like rincione prenzy shockdom

Vorrei parlare di un lavoro a cui avete lavorato insieme e che devo dire mi ha colpito molto, Paperi. Disturbante, coinvolgente e a suo modo davvero davvero originale. Una domanda per Giulio: qual è stato il tuo approccio visivo? Dalle tue tavole traspare un che di epico, come ti sei rapportato con Marco per rendere al meglio questa storia?

Giulio: Il mio punto di partenza è il divertimento. Paperi prima di diventare un fumetto era una serie di illustrazioni in cui ho voluto sperimentare, proprio perché si tratta di figure che siamo abituati a conoscere in versione molto cartoonesca. L’epicità credo che sia una conseguenza. Io ho uno stile abbastanza pesante, caratterizzato da una lettura molto lenta e articolata. Tendo a utilizzare tavole con poche vignette, quindi è come se ogni vignetta fosse un’illustrazione. La lettura in sequenza di illustrazioni tende a esasperare il tutto, come se fossero fermimmagine.

Il lavoro con Marco è abbastanza libero. Con Paperi, che è il primo fumetto a cui lavoriamo insieme, mi propone dei dialoghi quasi teatrali attorno ai quali costruisco uno storyboard. La struttura della storia e le varie fasi del soggetto sono cose che abbiamo decidiamo insieme. Ci confrontiamo su quello che vorremo contenesse la storia e su cosa deve succedere, poi so che Marco rimescolerà il tutto e tirerà fuori dialoghi migliori di quelli che potrei scrivere io. Ci tengo a precisare che siamo autori di storie non scrittore/disegnatore.

Paperi prende un’icona e la deframmenta, la ribalta, costringendo il lettore a ragionare in termini “altri”. Quanto è importante per voi decostruire il fumetto, distruggerne gli stereotipi e restituire al lettore una nuova esperienza di lettura? Quanto deve essere rivoluzionario il vostro lavoro e perché’?

Giulio: Paperi avrebbe un titolo alternativo che è Uomini. È stata un’occasione per parlare di temi che riguardano l’uomo, rendendolo però partecipe, perché ormai siamo anestetizzati alle notizie e ai problemi dell’uomo. Siamo talmente circondati da ogni tipo di informazione che ci siamo anestetizzati, non sentiamo più il dolore. Utilizzare un papero era un modo per avvicinare l’uomo al problema.

Non era nostra intenzione decostruire il fumetto Disney, quello è piuttosto un divertimento personale. Io non cerco di decostruire, piuttosto cerco di non ghettizzare. Il vero problema del fumetto è la ghettizzazione. Il fumetto è solo un mezzo per raccontare una storia. A volte la decostruzione e la rivoluzione sono solo un modo per dire che il fumetto può raccontare tutto. Il fumetto può piacere o non piacere, per me l’importante è non lasciare indifferenti.

Marco: Oggi nel fumetto parlare di rivoluzione è un po’ pleonastico, perché penso che tutte le rivoluzioni in questo campo siano già state fatte. La nostra voglia di decostruire e di deframmentare è solo dettata dalla voglia di esplorare ancora di più e di soffermarci sui piccoli dettagli. Questa è un po’ anche la politica dell’espressionismo: avvicinarsi a un dettaglio fino a renderlo disturbante e mostruoso.

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Giulio, il tuo è uno stile particolare che mescola illustrazione e pittura: una sorta di arte contemporanea applicata al fumetto. Quali sono i tuoi riferimenti?

Giulio: I miei riferimenti sono abbastanza noti: Dave McKean, Ashley Wood, Bill Sienkiewicz e Kent Williams, tutti disegnatori che, partendo da Klimt e Schiele, hanno distorto le prospettive e le figure nel fumetto. Tramite la conoscenza delle regole bisogna riuscire a trovare una propria dimensione.

È un approccio molto artistico.

Giulio: Molto libero. Ho delle regole a cui devo sempre sottostare, ma la prima è: deve rimanere negli occhi, non deve essere corretto ma forte.

Nonostante tu abbia adottato questo approccio personale e per certi versi controcorrente, sei riuscito a lavorare anche con grandi case editrici, in particolare con Bonelli. Intanto ti chiedo come è stata questa esperienza e soprattutto se volevi darci una tua riflessione personale sul fumetto in Italia.

Giulio: Credo che a volte dipingiamo la situazione peggio di come sia realmente. Credo che la Bonelli e il fumetto italiano siano pronti per diventare qualcosa di ancora più grande, c’è troppa offerta per non poterne approfittare. C’è spazio per quasi tutti.

Lavorare con Bonelli è stato inizialmente problematico, perché conoscendo la grande casa editrice – che ha sempre avuto i suoi schemi da non sovvertire mai – io stesso mi sono autoimposto delle regole. Ma ovviamente mi è stato fatto notare che se avevano scelto me c’era un motivo. Attraverso varie esperienze, da Orfani fino a Dylan Dog arrivando a Groucho, sul quale ho lavorato con Marco, mi sono liberato di ogni dubbio, ed è stato come lavorare per Shockdom. Quando ho lavorato con Michele Monteleone per Dylan Dog a un certo punto non gli mandavo nemmeno più le varie fasi delle tavole ma la pagina completa.

Marco: Io continuo a lavorare abbastanza liberamente, mantenendo i miei punti di riferimento. Da un punto di vista stilistico e non tematico cerco di avere un approccio un po’ più simbolista, utilizzando frasi concise. Per Bonelli avrei dovuto necessariamente modificare la mia scrittura, non avrei potuto permettermi uno stile troppo artificioso. In realtà, ho avuto piena libertà.

Giulio: Credo che la storia di Groucho sarà uno dei prodotti più in linea con il nostro modo di lavorare, non c’è stata nessun tipo di compressione.

timed rincione shockdom

Marco, nella tua scrittura ho notato che ti poni sempre in una posizione di forza nei confronti del lettore, racconti una sorta di cruda realtà in cui lo obblighi a riflettere su elementi a cui spesso non vogliamo pensare. Ma al tempo stesso ci ho trovato squarci di tenerezza, residui di un’umanità che sembra perduta. Vuoi dirci qualcosa a riguardo?

Marco: Ne ho parlato proprio di recente. Dalla mia scrittura ci si aspetterebbe un approccio duro, un ruggito arrabbiato, una scrittura incazzata. Invece c’è sempre un po’ di tenerezza, una voglia di conforto. In fin dei conti, nonostante mi ritrovi a esplorare questi mondi crudi, credo che la voglia di ritrovare un appiglio, qualcosa che possa salvarci, ci sia. Anche in Paperi, nella storia più dura di PaperFranco, la figura materna è comunque una salvezza, in un mondo che tende ad affossarci.

Ho notato che spesso nelle vostre opere sono presenti anche dei testi di narrativa, racconti brevi che completano la storia. Quanto è importante per voi questa compenetrazione fra diverse forme di narrazione?

Giulio: Per noi è fondamentale. È l’inizio di un percorso personale in cui alla fine fondere le due cose. Ci piacerebbe realizzare qualcosa che abbia l’unico obiettivo di raccontare una storia ma senza nessuna regola per farlo. Una storia può iniziare in un modo e finire in un altro, ma rimane sempre tale, anche se si cambia il mezzo e il modo con cui la stai raccontando.

Marco: Io ho una passione per la scrittura in prosa, ed è qualcosa a cui non posso rinunciare.

Passando a Timed, il nuovo progetto di Shockdom, che cosa ne pensate della crossmedialità e quanto questa può essere importante oggi per il fumetto?

Marco: Timed racconta diverse storie immerse in un universo in cui le nazioni decadono e il mondo è controllato da due grandi multinazionali che creano degli stati virtuali. Due diversi modelli di capitalismo. C’è un filone che segue le vicende politiche e di spionaggio di queste due realtà e un altro in cui si parla delle vite dei “Timed”, esseri umani ai quali viene diagnosticata una malattia mortale che di fatto è un super-potere.

È un progetto molto interessante, mi auguro che sia commercialmente vincente. Ha tutte le carte in regola per far breccia nel cuore dei lettori. Sono tutte storie fruibili in maniera autonoma.

Giulio: La crossmedialità è un modo per far incontrare e proseguire le storie su piattaforme diverse. Non posso svelare il potere della nostra storia, intitolata Vite di carta, ma posso dirti da cosa è tratto: dalla saturazione dell’utente medio che su Facebook scorre la bacheca e non ce la fa più a vedere i post delle atre persone. Questo è solo l’incipit, l’input iniziale.

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