Zeni geba: l’anima nera del fumetto giapponese per ragazzi

È oggettivamente difficile pensare a Zeni geba (Il potere dei soldi, 1970-71) come a uno shōnen manga. Eppure la rivista che lo ha ospitato – inutile dirlo, tra mille polemiche – è proprio quella Shūkan Shōnen Sunday sulle cui pagine si erano lette le avventure di Obake no Qtarō (Qtarō il fantasma, 1964-76), Iga no Kagemaru (Kagemaru di Iga, 1961-66) e Jaianto robo (Giant robot, 1967): una classica rivista per giovani e adolescenti, insomma, tra epopee di ninja o di enormi robot; tra storie di bambini alle prese con buffi personaggi o di adolescenti impegnati nello sport con dedizione estrema.

ZaniGeba1Quando però nel 1970 iniziano le avventure di Zeni geba di George Akiyama (n.1943), si ha come la sensazione che per il manga fosse arrivato il momento di una decisiva e inevitabile svolta. Se diamo un’occhiata ai manga pubblicati nel decennio dei Sessanta, salterà subito all’occhio un particolare degno di nota. Accanto a opere di grande spessore e interesse, si moltiplicavano i cloni di serie di successo, tristemente ancorate al progetto “format vincente non si cambia”. Era evidente, quindi, una tendenza assai diffusa al riciclo dell’intreccio narrativo a discapito della creatività degli artisti.

Di certo, nessuno si sarebbe mai aspettato che a dare una sferzata a quel paludato universo potesse contribuire George Akiyama, dapprima assistente del mangaka Morita Kenji (n.1939) e poi autore di alcuni gag manga, primo fra tutti Derorinman (1969-70). Sempre nel 1970, ancor prima dell’inizio di Zeni geba, Akiyama aveva fatto gridare allo scandalo con un altro manga, Ashura (id., 1970-71), pubblicato sulla rivista rivale Shūkan Shōnen Magazine. Questo controverso manga sembrava annunciare metaforicamente il cambiamento in atto con una scioccante sequenza iniziale: così come una madre era pronta a cibarsi della carne del proprio figlio pur di sopravvivere, anche Akiyama era pronto a “cibarsi del fumetto” (o almeno, di ciò che era stato il fumetto) pur di contribuire alla sopravvivenza dell’estro creativo dell’artista e salvare il “manga” dall’impasse.

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Ma vediamo in che termini Zeni geba si pone in contrasto con il precedente modello di shōnen manga partendo dalle due parole di cui si compone il titolo: “zeni” (soldi, denaro) e“geba”, un termine che deriva dal sostantivo tedesco “gewalt” (potere), frequentemente usato dagli studenti giapponesi durante le contestazioni degli anni Sessanta. Il leitmotiv della serie è il “denaro” e il suo peso all’interno della società moderna.

“Il denaro è tutto, il denaro è potere”, o almeno così sembra che la pensi il giovane protagonista, Gamagōri Fūtarō, vittima di una società in cui potere e immagine rappresentano il miglior biglietto da visita. E Fūtarō non ha nulla di tutto questo. La natura, infatti, non è stata troppo gentile con lui e il suo occhio deforme è la causa della sua emarginazione a scuola. A casa, poi, vive da solo con la madre malata, mentre il padre, inaffidabile e ubriacone, li ha abbandonati fuggendo chissà dove con un’altra donna. Madre e figlio conducono una vita di stenti e di miseria, tra l’umiliazione e l’indifferenza di tutti. Anche il medico che ha in cura la donna non ne vuole più sapere e si rifiuta di assisterla gratuitamente. A nulla valgono le lacrime del piccolo Fūtarō che lo implora di salvare la madre: quella stessa notte, la donna muore lasciandolo solo al mondo. Il bambino si convince che nulla conta più dei soldi e inizia un’ambiziosa e cieca scalata per il successo: si sposa con la figlia sfigurata e affetta da handicap di un magnate dell’industria, uccide il suocero e ne eredita il posto, corrompe chiunque pur di entrare in politica.

Che cosa è la felicità per Fūtarō? Se lo domanda il protagonista alla fine del fumetto, complice un articolo che avrebbe dovuto scrivere: sulle pagine bianche scorrono le immagini di quella che sarebbe potuta essere la sua vita con un lavoro e una famiglia normale. Fūtarō, invece, ha rifiutato tutto questo e ha riposto la sua fiducia nel denaro, in quei pezzi di carta con cui ha corrotto l’animo delle persone fino a renderle schiave. Alla fine, però, quel gesto estremo che chiude il fumetto potrebbe essere la risposta al suo fallimento come uomo o alla sua vittoria sulla vita.

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È comprensibile il clamore suscitato da questa serie ai tempi della pubblicazione. Fūtarō viene tratteggiato come una vittima del capitalismo, di una società che rincorre solo il successo e il denaro. Nel frattempo, però, lui stesso si trasforma in un carnefice che si macchia dei peggiori crimini, dalle violenze fisiche e psicologiche nei confronti della moglie all’uccisione del proprio figlio. Fūtarō è un personaggio ambiguo, non è il solito eroe magnanimo di un qualsiasi shōnen manga: ecco perché il lettore è in bilico tra la compassione e il ribrezzo, tra l’adorazione e il rifiuto. Tematiche off limits per Shūkan Shōnen Sunday, ma vitali per un autore controverso come Akiyama, tanto da spingerlo ad abbandonare il mondo dello shōnen manga per rivolgersi a un pubblico di soli adulti. Eppure, ancora oggi Zeni geba può essere preso come modello – a tratti, forse, un po’ troppo estremo – quando si è alla ricerca di uno shōnen manga che coniughi intrattenimento e contenuti. Sfruttando il fascino del suo personaggio, un po’ vendicatore un po’ oppressore, Akiyama sovrappone la fiction alla realtà facendo riflettere il suo giovane pubblico su temi, a quei tempi, di grande attualità (le lotte studentesche; le conseguenze del disastro di Minamata, etc.).

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Ecco quindi che il manga si affrancata dal ruolo di “semplice svago”, per diventare strumento di informazione e di denuncia. Ed è proprio per questo motivo che non si può fare a meno di considerare Zeni geba un classico intramontabile, l’anima nera del fumetto per ragazzi.