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RecensioniNovità"Sigmund Freud: Isteria". Tra sesso, droga e psicoanalisi

“Sigmund Freud: Isteria”. Tra sesso, droga e psicoanalisi

Lungo tutto il Novecento, la psicoanalisi e le arti hanno avuto un rapporto simbiotico. Le teorie di Freud hanno influenzato in maniera palpabile la letteratura e il teatro – pensiamo ai vari modernismi –, pittura e scultura, persino la musica. Anche grazie alle successive riformulazioni di Jung e Lacan, le idee del neurologo austriaco hanno inoltre lasciato un segno indelebile sulla critica letteraria, portando alla creazione di più di una scuola di interpretazione psicanalitica. Freud stesso fu un apprezzato esegeta: la sua lettura di Amleto, per esempio, è tutt’ora studiata e analizzata.

Il perché di tale influenza? In parte, è dovuta al fascino e alla malleabilità delle categorie critiche freudiane al di fuori dell’ambito strettamente clinico. Le topiche, in particolare, hanno saputo suscitare la curiosità di un nuovo pubblico borghese e piccolo-borghese che si avvicinava alla letteratura divulgativa. Ma soprattutto, Freud tradusse in un linguaggio oggettivo e scientifico ciò che era dominio esclusivo di artisti e ai letterati: i desideri, le paure, i sogni.

Freud isteria magic press

Il rapporto tra la psicoanalisi e le arti è una delle possibili chiavi di lettura di Sigmund Freud: Isteria. Biografia a fumetti scritta da Richard Appignanesi e disegnata da Oscar Zarate (esatto, quello di Un piccolo omicidio con Alan Moore), racconta i primi anni di carriera di Freud. Si concentra così sulle difficoltà iniziali e le ristrettezze economiche, gli studi sulla cocaina – che Freud contribuì a diffondere come tonico e anestetico –, il biennio francese alla Salpêtrière con Jean-Martin Charcot, il ritorno a Vienna e l’attività di ricerca con Joseph Breuer.

Concentrandosi più sull’aspetto professionale che su quello privato, Appignanesi e Zarate restituiscono un Freud umano, dedito alla professione e interessato in maniera genuina al benessere dei pazienti. L’espediente di incasellare la vicenda biografica come lunga retrospezione dell’anziano Freud permette inoltre di instaurare un dialogo continuo tra il giovane medico e l’affermato psicoanalista, che commenta in retrospettiva i propri errori e le ingenuità.

L’aspetto più interessante del volume riguarda il rapporto con Charcot, e l’influenza del suo lavoro sulla successiva nascita della psicoanalisi. Tramite Freud, Appignanesi e Zarate ci raccontano come l’approccio ipnotico di Charcot fosse basato sull’osservazione clinica delle pazienti, le cui manifestazioni isteriche avevano un carattere oltremodo spettacolare. La diagnosi parte così da un’osservazione distaccata, contemplativa, quasi scopofilica: “Esamina senza dire una parola. Non chiede mai ‘Cosa c’è che non va in te’” (49). Per rappresentare questa forma di interazione medico-paziente, Zarate cita a più riprese il celebre quadro Une leçon clinique à la Salpêtrière (1887) di André Brouillet, in cui è posto al centro proprio il dualismo spettatoriale/performativo che suscitò l’interesse di Freud.

Une leçon clinique à la Salpêtrière (1887) di André Brouillet
Une leçon clinique à la Salpêtrière (1887) di André Brouillet

Gli autori ci ricordano anche l’importanza del disegno e delle rappresentazioni pittoriche nella codificazione dell’isteria: “Charcot aveva lo sguardo acuto dell’artista. Dipingeva e disegnava di continuo, a volte sotto l’effetto dell’hashish” (50). La Salpêtrière era costellata di immagini, schizzi, tavole, fotografie di soggetti in preda ad attacchi isterici: “Paul Richer, professore di disegno anatomico all’Accademia di Belle Arti, aveva illustrato le posture quasi da automa delle isteriche durante i vari stadi dei loro attacchi” (57).

Ma nella seconda parte del fumetto ci viene descritto come, in modo graduale, Freud si interessi alla dimensione esperienziale del paziente. Soprattutto, come ricorra all’espressione verbale non-cosciente (prima) e cosciente (poi) come strumento clinico e terapeutico. Con la talking cure di Anna O., ci avviciniamo quindi a una nuova forma di interazione in cui il malato vocalizza la radice del proprio disagio, e il medico prova quindi ad “affidarsi alle parole del paziente per comprendere ciò che nasconde la sua malattia” (149).

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Anche se non viene articolato in maniera esplicita, è possibile identificare un interessante parallelismo. Mi sembra infatti che allo slittamento epistemologico e scientifico ne corrisponda uno semiotico e mediale. Nel momento in cui Freud introduce la discussione con il paziente, trasforma così una pratica contemplativa in una creazione ibrida. La fruizione scopofilica, muta e unidirezionale, diventa produzione comune di senso attraverso la combinazione di occhi e voce. Le tavole di Charcot acquisiscono il dono della parola. La pittura lascia il posto al fumetto.

Nelle tavole di Appignanesi e Zarate questo mutamento si riflette attraverso la proliferazione di narratori interni. Da oggetto di studio e contemplazione, le pazienti di Freud diventano autrici e attrici delle proprie storie. Le diverse mise en abyme sostituiscono al discorso monologico ottocentesco un mondo di micronarrazioni, in cui vengono proiettati ansie, ricordi e nevrosi di una sempre più angosciata classe media.

Da quegli anni, psicologia e fumetto non si separeranno mai più. Freud userà la parola “psicoanalisi” per la prima volta nel 1896, l’anno in cui molti – a torto o a ragione (più a torto, va detto) – fanno risalire la nascita del fumetto “moderno” con lo Yellow Kid di Richard Outcault. E le prime, grandi strisce a pagina intera pescheranno a piene mani dalle suggestioni Freudiane. Pensiamo a Little Nemo in Slumberland (1905-1926) di Winsor McCay, la cui esplorazione onirica sembra riprendere le leggi descritte ne L’interpretazione dei sogni (1899, ma tradotto in inglese solo nel 1913). E che dire di Krazy Kat (1913-1944) di George Herriman, in cui il rapporto tra topo, gatto e cane sembra modellarsi intorno al triangolo Id–Ego–Super-ego?

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Ma sto divagando. Al lettore che si chiede se, a conti fatti, Isteria è un buon fumetto, devo rispondere in maniera affermativa. Non nasconde mai la sua natura didattica – Appignanesi è innanzitutto uno stimato divulgatore umanistico –, ma racconta in modo misurato e appagante aspetti noti e meno noti dello psicanalista austriaco, e dell’importanza che il suo metodo ha avuto nella storia della medicina moderna.

A fine lettura, ci si sente come se si avesse imparato qualcosa. Magari, potevamo fare a meno dell’epilogo, una goffa tirata dal sapore moraleggiante. Lascia un po’ l’amaro in bocca, proprio sul finale. Ma non si può avere tutto. E così, ci accontentiamo anche solo di avere qualche curiosità in più per le nostre conversazioni spicciole: dalla talking cure allo small talk. “Ehi, lo sapevate che da giovane Freud era strafatto di cocaina?”

Sigmund Freud: Isteria
di Richard Appignanesi e Oscar Zarate
traduzione di Massimiliano Busti
Magic Press, luglio 2017
168 pp., b/n
15,00 €

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