Tutti i mercoledì negli Stati Uniti vengono pubblicate decine di albi a fumetti. Ogni Maledetta Settimana è la rubrica che tutti i venerdì, come un osservatorio permanente, racconta uno (o più) di questi comic book.
Una trans che si difende da clienti violenti e li stermina nel bel mezzo di un’orgia; un nazionalista nero che abbatte bianchi per strada con un fucile da cecchino; un contabile e truffatore che per arricchirsi avvelena l’alta società; un serial killer che unisce l’utile al dilettevole e fa il sicario per la mafia. Sono i quattro antieroi a cui viene chiesto di salvare quel che resta degli Stati Uniti dopo un terribile attentato.
Un gruppo di donne arabe apparentemente incinte si è infatti fatto esplodere a New York, causando l’equivalente di una deflagrazione nucleare, che ha fatto della Grande Mela un cumulo di macerie radioattive. Di non essere riuscito a fermare l’attentato si sente colpevole l’agente Frank Villa, che nell’esplosione ha perso la moglie e per le radiazioni ha perso anche l’amante. Perso pure il lavoro, si è fatto assumere dalla società leader del sistema carcerario industriale americano e ha reclutato i quattro assassini di cui sopra, perché ognuno di loro ha avuto più o meno inconsciamente dei contatti con gruppi terroristici legati all’attentato.
Mentre dopo la devastazione di New York ogni singola fazione americana lotta contro l’altra in un pulviscolo di incontrollabili guerriglie urbane, i gruppi terroristici dei nazionalisti neri, dei suprematisti bianchi e degli integralisti musulmani si sono invece alleati per distruggere gli Stati Uniti una volta per tutte, con la collaborazione di uno scaltro speculatore e trafficante.
Questo è lo scenario dipinto da Howard Chaykin in The Divided States of Hysteria, serie di Image Comics più satirica e grottesca che distopica, dove l’autore esagera fino al parossismo lo scontento della società americana e l’assenza di identità condivisa, dileggiando le divisioni etniche e ideologiche interne al Paese. Una nazione che oltretutto appare politicamente inerte e che ha demandato le sue funzioni alle oligarchie, come per il sistema carcerario. Non ci sono speranze di rifondazione per l’America, ma Frank Villa riesce paradossalmente a far funzionare la sua squadra di assassini, o almeno ci riesce fino a un certo punto e comunque quel tanto che gli basta per la sua missione.
Chaykin dipinge allo stesso modo come opportunisti i leader dei vari gruppi terroristici, disposti a mettere da parte le loro ideologie totalmente inconciliabili pur di realizzare lo scopo comune che li ossessiona più di ogni altro: la distruzione degli Stati Uniti – non senza un bel tornaconto economico personale.
Dunque è solo chi ha obiettivi chiari che può operare insieme a dispetto delle differenze, mentre chi avrebbe una vita più normale e meno propensione alla violenza si sente esasperato da una società che procede ormai solo per inerzia, senza una vera direzione. Pertanto, quando l’Unione cade nel caos, emergono le pulsioni entropiche che solo il relativo benessere e il senso di sicurezza tenevano sotto controllo, svelando la fine di ogni Destino Manifesto o Sogno Americano.
Se come provocazione The United States of Hysteria è sicuramente efficace, lo è meno come narrazione, dispersa in didascalie, dialoghi e sotto-dialoghi paralleli tra una vignetta e l’altra che rendono la lettura densa e difficoltosa, senza ripagarla di chissà quale ricchezza. Allo stesso modo la formula grafica – sommersa in una rappresentazione dell’inquinamento acustico e del flusso costante di informazioni – si mangia lo spazio bianco tra le vignette, sfumandone i contorni in una cacofonia di caratteri che rende il tutto visivamente ancora più pesante, seppur originale. Non mancano comunque passaggi godibili e battute pungenti, il tutto sempre con la volgarità esplicita caratteristica dell’autore.
Mentre sesso, turpiloquio e iperviolenza sono già stati trattati da Chaykin in tono grottesco, il gusto infografico, piaccia o meno, aggiorna la sua satira e fa di The United States of Hysteria una serie unica e attuale.
Bonus: Master of Kung-Fu #126
Si tratta della “parte uno di uno” di quello che viene denominato “il giorno di riposo di Shang-Chi”. Questo albo è però un’operazione volutamente beffarda, che dileggia il rilancio Marvel Legacy: riprende la numerazione storica dedicata al personaggio, ma non si tratta di una ripartenza, bensì di un one-shot, del tutto chiuso e senza che la serie sembri proseguire nei prossimi mesi.
Anche come storia di per sé è del tutto trascurabile. Scritta dal wrestler CM Punk, disegnata da Dalibor Talajic e colorata da Erick Arciniega, è un assurdo fill-in senza una serie intorno. Shang-Chi si prende una pausa dalle sue attività di spia e di Avenger (che nessuno ci sta raccontando da tempo) e sgomina un ridicolo villain, che spera di riconquistare i favori dell’Hydra trasformando una piovra in un maestro del kung fu. Con l’aiuto di una scimmietta, precedente salvata dallo scienziato pazzo, Shang-Chi si batte in pose alla Bruce Lee contro ninja sottopagati.
L’umorismo però non riesce a essere brillante e i disegni di Talajic sono molto al di sotto dello standard al quale questo artista ci ha abituato. Così lo speciale, dopo la bella copertina di Javier Rodriguez, rivela subito un’anima cheap, da episodio riempitivo di un mensile che però non esiste più.
Se ne avesse l’intenzione potrebbe persino essere un’uscita situazionista all’interno del rilancio Marvel, ma non ha sufficiente irriverenza né meta-testualità e dunque risulta solo in un esperimento, anche interessante e moderatamante divertente, ma in sostanza fallito.