Se vogliamo semplificare, la carriera fumettistica di Garth Ennis può essere suddivisa in due filoni. Da una parte, troviamo riletture irriverenti e decostruzioniste del supereroe, declinato secondo diverse affiliazioni di sotto-genere. È il caso di Preacher (1995-2000), Hitman (1996-2000) o Punisher (Marvel Knight, 2000-2004 e MAX, 2004-2008). Dall’altra parte – e in tempi più recenti – troviamo le storie di guerra, che raccontano avvenimento noti e meno noti della seconda guerra mondiale e di altri conflitti. Tra queste, le serie più note, si possono menzionare War Stories (2001-) e Battlefield (2008-).
La prospettiva è di solito quella statunitense, in coerenza con il modello storico e produttivo per cui la patria di adozione di Ennis detiene gli strumenti di produzione simbolica. Quello che non viviamo, lo viviamo attraverso Hollywood, o i comics americani.
Dreaming Eagles si inserisce così nel secondo filone, per raccontare un’americanissima vicenda del secondo conflitto mondiale: la storia del 332° Gruppo Caccia dell’Aeronautica militare degli Stati Uniti. La prima squadriglia di caccia composta da piloti afroamericani costituita nel 1941. I primi neri a volare su un caccia o su un bombardiere, in un’epoca in cui erano ancora in vigore le leggi segregazioniste. Se abitavi nel sud ti era vietato andare al cinema o al ristorante dei bianchi, ma potevi tranquillamente partire per l’Europa e morire in guerra.
Per storicizzare e movimentare la vicenda, gli autori impiegano una frame story. La narrazione principale è infatti posta come racconto di un veterano fittizio che, nel 1966, racconta la propria esperienza al figlio, un militante del movimento per i diritti civili degli afroamericani. Il parallelismo tra le due esperienze viene esplicitato, in maniera anche un po’ didascalica, fin dalle prime battute: «per te non è importante… tu hai avuto la possibilità di combatterli! Tu li hai potuti uccidere i nazisti!» lamenta il riottoso ragazzo al padre che ne disapprova l’impegno politico.
Per quanto la cornice narrativa si risolva in maniera un po’ troppo semplicistica, la duplice dimensione storica comporta tutta una serie di tensioni e ambiguità ideologiche che vale la pena di menzionare.
Innanzitutto, la partecipazione afroamericana al conflitto mondiale è rappresentata come un processo ambivalente. È sì un momento desegregazionista ed emancipatorio, ma al contempo una conferma della profonda contraddizione sottesa alle due società americane, che erano dal punto di vista legislativo “separate ma uguali”.
In secondo luogo, il fumetto ci mostra come le potenzialità rivoluzionarie del 332° vengano interpretate fin da subito in senso conservatore, volto a confermare la perfettibilità del sistema americano. Perfettibilità che conferma, tra le altre cose, la superiorità morale nei confronti del nemico tedesco. Come spiega con orgoglio il protagonista Reggie, «l’America può migliorare, signore. la Germania no».
C’è però anche un terzo aspetto, per certi versi metatestuale, che riguarda la romanticizzazione dell’esperienza bellica attraverso le modalità del racconto di guerra. Il secondo capitolo si apre con una poesia di John Gillespie Magee Jr, war poet della Seconda guerra mondiale, che produce una visione romantica, eroica e quasi superomistica dell’aviazione militare. Ripresa anche all’interno del fumetto, la poesia contrasta con la (parziale) presa di coscienza da parte del protagonista degli aspetti più sgradevoli della guerra. Per esempio, il fatto che anche i nemici tedeschi siano “persone”.
Intendiamoci, Dreaming Eagles non diviene mai una conscia denuncia della guerra come orrore totale e assoluto. Anzi, «fare il proprio dovere» è confermato come strumento doloroso ma necessario di emancipazione, nel 1942 così come nel 1966. Ma entrambi i narratori – Ennis e Reggie – riescono a comprendere, nelle due accezioni del termine, gli aspetti meno romantici e più problematici dello sforzo bellico. Come afferma al termine del volume, «Sono convinto del fatto che, quando attribuiamo a uomini mortali imprese più vicine a quelle dei miti o delle leggende, in realtà facciamo loro un disservizio».
Sempre nella postfazione, Ennis spiega di aver recuperato dalla tradizione del romanzo storico il meccanismo per cui un personaggio inventato è posto all’interno di un contesto reale:
«La procedura che seguo ogni volta che scrivo una storia con un’ambientazione militare è quella di essere quanto più preciso, inserendo tutti i dettagli tecnici, gli scenari, gli armamenti e via dicendo, e soltanto dopo inventare una serie di personaggi immaginari con cui sia possibile raccontare la storia che ho in mente».
La cura dei dettagli è in effetti uno degli aspetti più interessanti del libro. In particolare, Simon Coleby riesce a riprodurre con convincente fedeltà le caratteristiche dei caccia, veri e propri protagonisti del fumetto. Semmai, gli si può lamentare una certa rigidezza compositiva nella scelta delle inquadrature e delle splash page, utilizzate in maniera un po’ ripetitiva. Convince anche poco la resa di alcuni volti, in particolare quando tende al realismo fotografico. È evidente nel caso di Benjamin O. Davis Jr., la cui inquietante apparizione alle pag. 74-75 sembra un filtro sulla foto di Wikipedia.
Dreaming Eagles è dunque, in definitiva, una storia semplice ma efficace. Non vi troverete chissà quali profonde riflessioni storiche o politiche, ma semmai la voglia di raccontare un aspetto meno noto della Seconda guerra mondiale e, nel contempo, di intrattenere un po’ con spettacolari battaglie aeree. Certo, i personaggi secondari sono un bel po’ monodimensionali, ma ci possiamo passare sopra. La doppia dimensione storica e il paragone con gli anni ’60 danno poi un respiro più ampio del ‘normale’ racconto di guerra. Anche qui niente di sorprendente, ma una scelta che certamente aiuta a rendere un fumetto di guerra più appetibile ai lettori meno avvezzi a questo genere.
Dreaming Eagles
di Garth Ennis e Simon Coleby
traduzione di Leonardo Rizzi
saldaPress, novembre 2017
166 pp., colori
edizione brossurata: 15,90 €
edizione cartonata: 20,90 €