“Death Note” spiegato (quasi) in breve

Nel lontano 2003 apparve sulla rivista Shōnen Jump un manga destinato a diventare, in breve tempo, un fenomeno editoriale “di culto” dentro e fuori dal Giappone: Death Note, un’opera composta da 108 capitoli raccolti in 13 tankōbon (12 più una guida alla lettura) pubblicati tra l’aprile 2004 e il 4 luglio 2006 e tradotti in Italia da Planet Manga.

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La copertina di “Weekly Shonen Jump” #1764 – No. 1, gennaio 2004, su cui è stato pubblicato il primo capitolo di “Death Note”

L’idea era di un certo Tsugumi Ōba, un autore misterioso, di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima e di cui tutt’oggi non si sa ancora nulla. Tanto che voci di corridoi raccontato che possa trattarsi dello pseudonimo di un mangaka più esperto, perché la partenza della serie parve subito talmente solida e complessa da lasciare increduli molti: «Ōba esordiente? Maddàai…». Ai disegni l’editore aveva affiancato Takeshi Obata, un fumettista di 34 anni appena emerso grazie alla serializzazione di Hikaru no go, vincitore dello Shogakukan Manga Award nel 2000. Obata risultava perfetto per rendere la cupa suspense che domina l’opera, grazie ai suoi tratti vividi e precisi, i dettagli realistici al limite del maniacale e un sapiente uso/abuso del nero.

Weekly Shōnen Jump, la rivista di casa Shūeisha ammiraglia della produzione di shonen manga, con Death Note offriva un debutto diverso dal solito non solo per il risalto dato a un team creativo esordiente a cui dedicava la copertina, ma per il concept stesso del manga. Uno shōnen differente dal solito, e non tanto per il genere – un poliziesco, in fondo, con toni thriller – quanto per un’assenza: ben poche scene d’azione, in favore di “battaglie” spesso tutte psicologiche. Certo, anche i temi –- morte e religione – non erano la solita minestra riscaldata nella tradizione ipercinetica degli shonen, ma a sorprendere fu l’insolito mix fra questi e la scarsità di action, col risultato di porre Death Note sul confine tra gli shōnen e i più maturi seinen, grazie anche a dei protagonisti oramai adulti.

Cosa racconta, dunque, Death Note?

Light Yagami è un brillante – e naturalmente affascinante – diciasettenne annoiato ed esasperato dalla criminalità che sembra dilagare in Giappone. Teppisti, assassini, ladri e molestatori: l’autore non tarda a mostrarci il lato peggiore della società moderna, che agli occhi di Light appare meritevole di essere eliminata.

Light Yagami death note manga
Light Yagami

Un giorno come un altro, mentre passeggia nel cortile della scuola, Light trova per terra un quaderno e lo raccoglie, entrando così in possesso del Death Note (lett: quaderno della morte), un taccuino nero dalle proprietà sovrannaturali: permette al suo utilizzatore di uccidere chiunque, semplicemente scrivendone nome e cognome, a patto che se ne conosca anche il volto.

“Le parole possono uccidere”, dunque? L’antica metafora, presa drammaticamente alla lettera, si svilupperà lungo il manga in due archi narrativi che girano attorno ad altrettanti temi: la noia e la giustizia, il tutto naturalmente accompagnato da un’ovvia costante, la morte.

1. Noia. Da Riuk a Elle, dal gioco degli dèi alla sfida psicologica (voll. 1-7)

Dopo un primo assaggio del potere che si ritrova in dono, Light fa la conoscenza del proprietario originale del quaderno. Si chiama Ryuk, una creatura mostruosa visibile e udibile solo dal possessore del Death Note, con una predilezione per le mele e vestito come una rockstar gotica. Una specie di Joker anoressico, con lo sguardo allucinato e i capelli di Vegeta.

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Ryuk

Ryuk dice di essere uno shinigami, un dio della morte che, stanco di giustiziare i mortali dall’alto del suo mondo – che pare una installazione di Arnaldo Pomodoro, ma nel cimitero degli elefanti Disney – ha deciso di rubare un Death Note al suo re, scriverci sopra le istruzioni per l’uso sotto forma di regole e farlo cadere sulla Terra. Per gioco. Anche gli dèi si annoiano, insomma.

È quindi il caso che porta a Light Yagami lo strumento necessario per realizzare il suo sogno. Con inaspettata freddezza non mette mai in questione l’assurdità di questa situazione, e inizia una personale crociata contro la criminalità. Una missione fulminante, con un successo inimmaginabile tale da stupire lo stesso shinigami al loro primo incontro: elimina un’infinità di uomini e donne malvagi, con lo scopo di creare una Utopia in Terra, un mondo migliore, libero dal crimine e dalla malvagità in pieno stile rinascimentale. E all’interno di questo scenario perfetto, si auto-attribuisce un ruolo assoluto: Dio della Giustizia.

Prima che tutto il pianeta si ritrovi “epurato” da questa crociata tanto ideale quanto distruttrice, le sue azioni attirano sia l’attenzione dei media, che lo soprannominanoKira (dalla pronuncia giapponese di killer, cioè “assassino”), e poi dell’Interpol, che chiede aiuto a Elle, il miglior detective del mondo. Elle è un ragazzino dall’apparenza sciatta, una specie di emo antisociale, forse autistico, con una personalità dai tratti ansiosi e ossessivi. Si rivelerà prestoil personaggio più brillante della serie (oltre che il più amato): con un abile stratagemma riesce subito a identificare la provincia di appartenenza di Kira, del quale diventa la nemesi.

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Elle

Light riesce a infiltrarsi nelle indagini grazie all’intervento della polizia giapponese in cui milita suo padre. Elle inizia a sospettare che possa esserci una talpa nella task force e chiede all’FBI di indagare su tutti i membri e sulle rispettive famiglie. Alla famiglia Yagami viene assegnato l’agente Raye Pember, di cui Kira scopre facilmente il nome, portandolo a uccidere tutti gli altri agenti statunitensi per poi eliminarlo definitivamente. La cosa però suscita dei sospetti nella sua fidanzata, Naomi Misora, la quale si reca dalla polizia dove incontra Light, che per farla fuori la porta al suicidio. Il gesto attirerà l’attenzione di Elle, che ripercorrendo gli ultimi giorni di vita della ragazza scoprirà del suo incontro con il giovane Yagami, che da allora diventerà il suo bersaglio numero uno.

Nonostante le cimici e le telecamere nascoste, Light riesce comunque a portare avanti la sua missione sotto gli occhi dell’investigatore, il quale, per sorprenderlo, gli svelerà di ritenerlo Kira. Il giovane studente universitario allora decide di unirsi alla task force con lo scopo di dimostrargli la sua innocenza, e fra i due nemici/amici inizia una splendida partita a tennis psicologica (e nel cap. 20 a tennis si sfideranno davvero).

A rendere epica – come nella tradizione shonen – la loro sfida, sono le numerose “regole” del Death Note che i lettori apprendono capitolo dopo capitolo. Ad esempio, è possibile specificare la causa di morte (ma entro un certo tempo) o indicare quando dovrà avvenire. E per esprimere i suoi effetti non è necessario utilizzare l’intero quaderno: il potere è nella carta, ed è perciò sufficiente un solo frammento di pagina.

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Misa

A complicare le indagini nel quarto volume interviene un “secondo Kira”, che si palesa uccidendo in diretta dei conduttori televisivi. La sua vera identità è quella di Misa Amane, una giovane e seducente idol gotica. Misa imita Kira e ne è ossessionata al punto da accettare la più potente regola del Death Note: il suo possessore, rinunciando a metà della propria aspettativa di vita, ottiene gli occhi di uno shinigami. Ovvero potrà scoprire il nome e l’aspettativa di vita di chiunque, solo guardandolo in volto.

Light sfrutta il suo fascino sulla ragazza che, poco dopo aver scelto di collaborare, viene arrestata da Elle con l’accusa di essere il “secondo Kira”. Essendo già lo stesso protagonista nel mirino dell’investigatore, Misa viene quindi convinta ad abbandonare il Death Note dalla sua shinigami Rem – una specie di transessuale bianca e viola, con gli orecchini di Esmeralda ma il mascellone di Ronn Moss (e lo sguardo di chi, nella vita, ha sempre rosicato) – perché così facendo secondo le regole perderà ogni ricordo connesso al quaderno della morte. È il momento del colpo di scena che ha segnato la Death Note mania e il successo della coppia di mangaka.

Lo stesso Light decide dunque di sfruttare la regola del “passaggio di proprietà” del quaderno, mettendo in atto il piano più brillante dell’intera serie. Sfruttando i sentimenti di Rem nei confronti di Misa, Light inganna la shinigami convincendola a consegnare il quaderno a Kyosuke Higuchi,un dirigente d’azienda senza scrupoli, mentre lui sotterra il Death Note consegnatogli da Ryuk. Dopo essersi fatto mettere dietro le sbarre assieme a Misa con la scusa di temere di essere lui stesso Kira, fa capire allo shinigami di voler rinunciare al quaderno, cancellando la propria memoria. Così facendo Higuchi entra in azione come “nuovo Kira”, con l’effetto di consentire ai due giovani di essere scarcerati.

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Rem , Light e Ryuk

Il congegno del piano prosegue: Rem aiuta Misa a ricostruire i propri ricordi, quest’ultima decide di sfruttare il proprio fascino per estorcere a Higuchi le prove dei suoi crimini. Nel frattempo Light, che anche se dimentico di aver posseduto il Death Note è pur sempre un membro della task force, aiuta Elle a catturare il criminale, che consegna il quaderno agli agenti. Questi, toccandolo, sono in grado di vedere Rem, mentre Light riacquista la memoria, così come aveva calcolato sin dall’inizio. Un piano riuscitissimo e brillante, peralrtro contorto, che Ōba ci svela con un epico flashback nel volume 7

Ricordate inoltre la questione della carta? Light sicuramente. Sfruttando infatti un pezzetto di diario tenuto nascosto fino ad allora nell’orologio, e una “falsa regola” aggiunta di suo pugno sul Death Note secondo cui si muore dopo essere rimasti 13 giorni senza utilizzarlo, Light scrive il nome di Higuchi (che la polizia pensa essere Kira) il quale in prigione muore d’infarto. Così facendo la polizia ha finalmente un colpevole e Light viene scagionato definitivamente.

Ma l’arco narrativo è destinato a chiudersi con un altro colpo di scena. Per proteggere Misa, ancora sospettata di essere il secondo Kira, Rem scrive sul suo diario il nome di Elle, uccidendolo. Con questa mossa, però, Rem interferisce con l’aspettativa di vita della ragazza e infrange una regola del Death Note. Risultato: anche Rem muore. Insomma, un attacco kamikaze in piena regola: Light saluta e ringrazia, rimasto – almeno per il momento – senza più ostacoli sul suo cammino.

Quella di Elle è a detta di molti una delle migliori morti mai rappresentate in un manga, e a ragione. La sceneggiatura di Ōba è magistrale: un susseguirsi di colpi di scena così perfettamente incastrati ad un ritmo talmente incalzante che nel momento clou i dialoghi diventano superflui cedendo il passo ai magnifici disegni di Obata, al quale basterà un mero punto esclamativo sul ghigno di Light per mostrarne al lettore la vittoria. Da brividi.

2. Giustizia. Da Mello a Near, successori di Elle (voll. 8-12)

Light inizia così a portare avanti sia il ruolo di Kira che di Elle, inconsapevole che alla Wammy’s House, un istituto da cui arriva Elle simile alla scuola per mutanti del professor Xavier, due orfani prodigio sono stati informati della morte del detective. Near  è un ragazzino dai capelli color platino che fonda un’organizzazione internazionale per fermare Kira, ormai idolo delle folle, e Mello il suo diretto rivale, che entra a far parte di un’associazione mafiosa.

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Mello

Entrambi hanno lo scopo di recuperare il Death Note in possesso della polizia giapponese, ma mentre il primo inizia una guerra psicologica con Light, Mello ricorre a rapimenti e omicidi: per non farsi mancare nulla ricatterà (con successo) persino il presidente degli Stati Uniti, portandolo al suicidio. Va beh. Essendo Mello riuscito nel suo intento, Kira propone un’alleanza alla polizia, fornendo loro il suo diario per recuperare quello rubato. A farsi carico di questo compito è l’inconsapevole padre di Light, che prende possesso degli occhi dello shinigami per uccidere Mello. Per un attimo di debolezza viene però ferito mortalmente, dimostrando ancora una volta che i buoni in Death Note hanno vita breve.

A questo punto crescono i dubbi che Elle, Kira e Light siano la stessa persona, ma siccome il suo motto è “squadra che vince non si cambia” quest’ultimo ricorre nuovamente allo stratagemma di un Kira sostitutivo, prima sfruttando un magistrato fanatico di Kira e poi una giornalista che aveva una cotta per lui.

Dopo una serie di omicidi/suicidi che hanno oramai stufato anche il lettore più accanito si arriva finalmente al confronto finale tra Near e Light, che messo alle strette con il trucco più banale di tutto il fumetto (un quaderno fasullo) rivela di essere Kira e viene fermato dall’unico poliziotto che dopo cinque anni di indagini nutre ancora dei dubbi sull’identità del killer. Ormai in fin di vita, Light cerca la salvezza in Ryuk, il quale però, impassibile, scrive il suo nome sul diario. Un anno dopo, morti tutti, Near eredita il trono di Elle. Il nome di Kira invece, oramai scolpito nell’immaginario comune, viene ancora temuto e osannato da molti come “la Giustizia”.

Simboli. Death Note fra mito, religione e nomi parlanti

Se gli ultimi capitoli del manga vi sono sembrati eccessivamente ridondanti non preoccupatevi perché non siete i soli: gli autori hanno ammesso di aver allungato il brodo per raggiungere il capitolo 108. Questo perché si tratta di un numero dal forte significato simbolico nella cultura buddhista: in Giappone per salutare l’anno nuovo una campana viene suonata 108 volte, tante quante le tentazioni a cui resistere per raggiungere il Nirvana.

Ma questo è solo uno dei moltissimi simbolismi che troviamo nell’opera di Ōba e Obata, a partire da tutti i dettagli grafici che rimandano alla cultura cristiana, come le copertine dei volumi avvolte in croci e rivisitazioni iconografiche della Trinità (voll. 6 e 10), fino a nomi parlanti come “carta”, che in giapponese si pronuncia kami proprio come “dio”.

Anche gli orfani della Wammy’s House sono dotati di nomi particolari, che evocano in maniera palese la pronuncia fonetica di tre lettere dell’alfabeto in ordine volutamente sequenziale. Nella versione nostrana questo dettaglio è però fastidiosamente meno evidente che in giapponese, dato che il nome originale di Elle è “L Lawliet”, ma in italiano è stato cambiato in Elle perché se ti piacciono i manga un po’ devi soffrire.

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Allo stesso modo è interessante analizzare il rapporto che lega gli shinigami ai corrispettivi umani. Light e Ryuk hanno diversi tratti in comune, tant’è che originariamente Obata voleva disegnare lo shinigami come un giovane simile a Light, ma con ali e capelli neri: entrambi sono molto furbi, sono annoiati dal mondo in cui vivono e provano un interesse reciproco basato su fascino e curiosità.

Nonostante quindi fra i due si crei fin da subito un legame, è importante notare come questo sia diametralmente opposto a quello che lega Rem e Misa: non implica alcuna forma di affetto e soprattutto non altera la neutralità caratteristica dello shinigami. Ergendosi a Mefistofele faustiano, Ryuk interpreta un perfetto diavolo tentatore (ben evidente anche grazie all’onnipresente mela rossa, simbolo iconografico di tentazione e peccato) che agisce solo per tornaconto personale e con estremo distacco, tant’è che come il più infame degli spoileristi annuncia fin da subito che a momento debito scriverà sul suo quaderno il nome di Light. Dal canto suo Light è un classico antieroe adamitico-prometeico: scende a patti col diavolo per ottenere un potere divino, ma così facendo compie il peccato di hybris che segnerà inevitabilmente il suo destino.

È innegabile che parte del successo dell’opera sia dovuta a una politica di character design molto efficace: dopotutto in quegli anni sembrava che la moda emo fosse destinata a conquistare la galassia più velocemente dei Sith, e la dubbia morale di Light passa spesso e volentieri in secondo piano rispetto al suo fascino magnetico. Ciononostante è un manga assolutamente degno della fama e del successo guadagnatosi, con un aspetto cervellotico originale, un’atmosfera incalzante e coinvolgente e anche una fedele trasposizione animata (ma se avete visto il live action di casa Netflix fate un favore a voi stessi e neuralizzatevi).