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MangaIl retrofuturo rarefatto di "Levius", insolito manga steampunk

Il retrofuturo rarefatto di “Levius”, insolito manga steampunk

Levius è un fumetto anomalo. Muove come un aerostato che prende quota e s’invola felice, tra banchi di nuvole e vapori assortiti, fino a quando non lo vedi più. Cerca altezze improbabili per poi negarti il piacere della visione e nasconderti le sue virtù. Forse l’altitudine ha causato una vertigine di troppo.

Il paragone sarà pure peregrino, ma non è del tutto campato per aria. Scritto e disegnato da Haruhisa Nakata (e disponibile in Italia per Star Comics), il manga contiene uno spirito riottoso che sfugge alle etichette con cui abitualmente ci troviamo a parlare di manga. E se ti metti a guardarlo da vicino, per cercare qualche conferma o una smentita, rischi di perderti un po’. Probabilmente tra qualche nube incendiata dal sole.

levius manga star comics recensione

Levius è il nome del protagonista, un biondo orfanello la cui vita è stata interrotta dall’arrivo della guerra. Al termine di uno scontro particolarmente cruento, infatti, il ragazzo perde un braccio e si ritrova con la madre gravemente ferita, in coma. Viene dunque accolto ed ospitato dallo zio un po’ scapestrato e sino ad allora sconosciuto. Zack, questo il nome del parente, sembra vivere in una parentesi di pace che si è cucito addosso. Con l’arrivo di Levius, però, l’uomo viene scosso dal torpore e riportato alle sue responsabilità famigliari, politiche ed etiche.

Tuttavia, affinché questo possa accadere – e la trama possa procedere, il personaggio di Levius finisce per dedicarsi al letale sport che tanto appassiona i suoi concittadini: il pugilato meccanico. Dotato di un braccio bionico, il giovane si troverà presto a scalare le gerarchie della violentissima disciplina, in un clima di scontro eterno.

La radice da cui si dipana la storia è dunque la vicenda esistenziale di un combattente immaginario, immerso in un seducente retrofuturo. L’ambientazione è una declinazione pseudo europeizzata di un ideale steampunk, a cavallo tra Ottocento e Novecento. Nelle capitali e nei regni maggiori domina incontrastato il gusto barocco (e al contempo gotico) unito a uno spirito risorgimentale: architettura vittoriana portata alle estreme conseguenze. Le città sono punteggiate di voluttuose cattedrali ed edifici ricolmi di cupole, guglie e miscellanea lanciati verso le più alte stature.

Levius manga star comics recensione fumetto

Ad ogni modo, nelle città e nelle regioni emerge da subito un clima di tensione perenne, il frutto marcio di una guerra amorfa e asimmetrica che dura da tempo, sebbene sulla carta sia ormai terminata. Strada facendo scopriamo scampoli del mondo dove ha sede il racconto: alcune notizie generali di storia e geopolitica, la natura di alcune tra le forze in campo, minuscole e sistematiche parabole intorno a un apparato militare e industriale ormai sovrapposti e pericolosamente dominanti.

Al netto di un po’ di confusione sugli scenari sociali il quadro è chiaro: il mondo intero è un teatro di battaglia e la boxe meccanica la sua metafora – e passatempo – principale. Cioè tanto una valvola di sfogo per il popolino quanto il terreno elettivo per misurare la tenuta degli accordi internazionali, le dimensioni e i rapporti di potere sottaciuti.

La lotta come riscatto, l’azione come pretesto

Levius manga star comics recensione fumetto

Levius, in questa prospettiva, appare come l’anomalia per eccellenza. Nemmeno lui ha ben chiaro il motivo della sua stessa lotta, che inizialmente viene giustificata con un’allucinazione diurna venata da una nota di morboso romanticismo. E ammantata di ambiguità. Un dubbio che attraversa lo stesso lettore: perché il protagonista è lì a combattere? Levius è in effetti un personaggio taciturno, tanto tranquillo da risultare inquietante. Così forte il trauma passato che la sua personalità è stata frammentata sino a renderlo più muto che taciturno. Diventa dunque difficile affezionarsi, tanto algido e straniante è il suo essere e agire. Senza contare che il trattamento narrativo subìto dal protagonista sembra più il risultato della messa in scena di un archetipo (o di uno stereotipo) che una scelta volta a scolpire un carattere unico e preciso. Combatto, dunque sono.

È proprio qui, insomma, che si esplicita una tra le dimensioni principali del racconto: la lotta senza quartiere genera il senso del discorso, quasi nello spirito di un battle shonen. Lo sforzo agonistico d’un personaggio – invero un po’ anonimo – per rimanere a galla nella sua stessa vita tiene in piedi tutto il resto. Una sorta di psicologismo alla rovescia. Ma sarà davvero così?

In realtà Nakata stesso dimostra d’intrattenere un rapporto ambiguo con la sua creazione e con la tipologia di prodotto in cui si muove, il seinen di fantascienza e di impianto action. Tanto per dirne una: nonostante la loro presenza ricorrente, gli scontri non sono – non sempre – il carburante principale per l’avanzamento della trama. E se li confrontiamo alla qualità media dei disegni, soprattutto quelli estranei alle battaglie, risultano talvolta persino un po’ tirati via.

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O ancora: così come il personaggio di Levius risulta difficile da inquadrare, altri comprimari e protagonisti compaiono sulla scena senza preavviso, come se fossero sempre stati in scena o giù di lì; alcuni hanno un sentore grottesco e quasi parodico, altri sanno di ricalco spicciolo o archetipico, pochi rimangono veramente impressi nella memoria.

Levius è insomma un seinen bizzarro, incostante, forse persino incoerente. Mischia alcune dinamiche di genere (la forza di volontà come motore propulsivo dei personaggi, gli scontri brutali e disperati, la struttura piramidale da scalare, lo scontro ideologico e lo scambio morale, ecc) con scelte narrative spesso tutt’altro che lineari. E soprattutto, una forma visiva parzialmente inedita.

Lo stile di disegno, tra rarefazione e sfocature

Proprio su questo piano si manifesta il valore aggiunto del fumetto: l’estetica, più che il racconto. Uno stile al tratto, lievemente punk, certamente molto steam.

Nelle sequenze di battaglia, ad esempio, la regia compie scelte insolite, preferendo un’idea di rarefazione e di congelamento temporale rispetto ad una consueta precisione dell’azione e dei colpi. Una composizione che arriva pressoché a sconfessare il linguaggio dei combattimenti da shonen, quasi che l’idea del mondo di gioco di Nakata venga più dal cinema di Leni Riefenstahl in Olympia che dai battle manga.

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Ancora più interessanti delle scene di lotta sono i tanti passaggi che mettono in primo piano la pura presenza di luoghi, oggetti e dei dialoghi stessi: volti che parlano e guardano, edifici che svettano o fanno da sfondo, interni, abiti, materiali, corpi. Qui la regia si sofferma sui particolari apparentemente di poca importanza – capelli fluttuanti, uccelli in volo, dettagli architettonici, occhi sgranati o espressioni corrucciate – e rivela il nocciolo vero della creatività dell’autore. Un virtuale “spazio bianco” di stasi e possibilità che amplifica il peso di tutto il resto. È quindi la ricerca grafica e visiva a dettare il ritmo alla narrazione, non il contrario.

La linea sottile di Nakata, unita a un tratteggio più marcato all’occorrenza, offre un quadro pulitissimo nelle singole vignette (i neri sono usati con grande parsimonia), e fortemente evocativo. Un disegno più grigio che nero, che offre un’impressione di freddezza eterea, persino algida, che fa il paio con il look androgino e glaciale del protagonista e caratterizza tutto il racconto.

Gli elementi di quinta o in primo piano delle vignette vengono poi messi spesso “fuori fuoco” o sfumati, con una tecnica di sfocatura digitale che crea un senso di profondità all’immagine, tanto piacevole e utile ai fini narrativi quanto a tratti straniante. Si potrebbe dire che nel mondo di Levius “non si vede bene”: non solo ciò che sta sullo sfondo appare davvero distante nello spazio, ma anche nel tempo storico. A sfocare, in questo mondo disfatto da una guerra poco precisata, sono sia la vista che la memoria. Ma se confusi risultano anche molti dettagli del presente, e in primo piano, allora il risultato è ancora più incerto. Qualcosa non torna mai, in Levius, un manga che racconta la fatica di trovare una ‘definizione univoca’ – delle ragioni della Storia, dell’identità di un ragazzo, e dello statuto dell’immagine stessa.

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Peccato però che quando questa intuizione si consolida in un racconto, il discorso cambia. Nel momento in cui è utile tessere i fili della trama, la tela ahimè si sfalda.

I personaggi, già a tratti incerti nel loro essere ed apparire (passano dal registro tragico al parodistico, il serio e il serioso, il melò e l’esagerazione torture porn, la commedia e il comico puro), cominciano a sembrare monodimensionali. Mentre le motivazioni, gli schemi e le forze in campo si perdono per strada, l’interesse per la narrazione finisce per dissolversi insieme alle divagazioni e alla sospensione dell’incredulità. Persino la scansione cronologica non lineare contribuisce allo spaesamento del lettore, nonostante il tentativo di evocare una dimensione altra che ci introduca a dovere al mondo di Levius.

L’autore dimostra insomma di non avere il polso adatto a tenere insieme il racconto, oppure ha subìto qualche magagna produttiva ed editoriale di troppo (i primi numeri, a nome Levius, sono stati pubblicati sulla rivista Maison Ikki, la seconda parte Levius/est su Ultra Jump).

Sia quel che sia, se puntate Levius fatelo soprattutto in funzione del disegno, mirabile e personale visione ‘europea’ di un ottimo stilista del manga. Forse si tratta del frutto acerbo di un percorso di sperimentazione in fieri. Chissà. Di certo questo Nakata merita di essere seguito. E con sincera curiosità.

Levius n. 1-2-3
di Haruhisa Nakata
traduzione di Yupa
Star Comics, 2016-2017
brossura, 240 pp, colore e b/n
5,90 € a vol.

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