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Premi e mostre del Festival di Angoulême 2018: un bilancio

A una settimana dalla sua chiusura, mi sono preso il tempo di stendere alcune annotazioni (personali, naturalmente, e in particolare sul Palmarés) a proposito della 45 edizione del Festival del Fumetto di Angoulême. Ma anche per ragionare sull’esposizione dedicata a Cosey – il Grand Prix de la Ville di questa edizione – e sul futuro del festival.

cosey angouleme 2018
Il manifesto di Angoulême 2018 disegnato da Cosey

I Premi: un Palmarès senza grandi sorprese

Parto da un ‘piccolo’ aspetto di natura rituale: la cerimonia di premiazione, quest’anno, è stata condotta dal Direttore artistico Stéphane Beaujean, facendo sentire la differenza rispetto a quella dell’anno scorso, dove era stata la stessa presidente di Giuria, Posy Simmonds, a condurla aggiungendo una parte di classe e di rivendicazione autoriale. Sebbene più ordinaria, la conduzione di Beaujean è stata in compenso simpatica, veloce e gradevolmente allietata dai disegni dal vivo (con altri ancora che fungevano da scenografia) di due tra gli autori più interessanti del fumetto d’autore francese, François Olislaeger e David Prudhomme (il secondo comincia a essere pubblicato in Italia da Coconino Press e Oblomov Edizioni).

Gradualmente è andato disvelandosi un palmarès di buona qualità, anche se non sorprendente rispetto al fuoco d’artificio dell’anno scorso. Il titolo vincitore del premio più importante, quello per il Miglior libro uscito nel 2017, La saga de Grimr (Delcourt) dovuto a un giovane autore francese, Jérémie Moreau (il quale ha ricevuto le pronte congratulazioni del Ministro della Cultura francese Françoise Nyssen), è infatti un interessante romanzo storico dal taglio e dall’ambientazione originale, l’Islanda delle grandi carestie, della povertà, della sopraffazione e del dominio danese.

Tuttavia si potrebbe dire che questo autore non ha l’intensità, la densità, la gravità dei grandi autori del fumetto del passato che hanno realizzato opere analoghe. Penso a nomi come gli argentini Alberto e Enrique Breccia, l’italiano Sergio Toppi ma anche i francesi, un po’ troppo dimenticati, Claude Auclair (in particolare Bran Ruz, splendido romanzo a fumetti ambientato in una Bretagna arcaica che venne pubblicato a puntate a partire dal primo numero della rivista A suivre, insieme a Corte Sconta detta Arcana di Hugo Pratt e Ici Même di Forest e Tardi) e Michel Crespin.

Saga De Grimr

Si può ovviamente obiettare che essendo Moreau un giovane autore, è necessario dargli tempo. Siamo sostanzialmente di questo parere, e aspettiamo di leggere La saga de Grimr nella traduzione italiana che uscirà quest’anno per Tunué. Al tempo stesso, pur capendo la necessità di un’alternanza tra opere più radicali e opere dalla maggiore accessibilità ma pur sempre autoriali, ci chiediamo se la discrepanza non sia un po’ eccessiva arrivando subito dopo un capolavoro assoluto come Paesaggio dopo la battaglia di Eric Lambé e Philippe de Pierpont, il titolo che vinse l’anno scorso.

Troppa durezza sarebbe fuori posto, ma possibile che non ci fosse un’opera sempre accessibile ma più potente, più forte, del pur forte La saga de Grimr? Chi l’ha detto, infatti, che una maggior accessibilità o una certa forma di leggerezza debbano essere per forza sinonimi di minor profondità o di minor sperimentazione? Ci tornerò sopra in chiusura.

Marion Fayolle Les Amours Suspendues

A confronto ci è parso maggiormente degno di aggiudicarsi il premio al Miglior libro del 2017 il titolo che si è aggiudicato il secondo premio, il Premio Speciale della Giuria, nemmeno questo geniale ma comunque notevole, andato a Les amours suspendues di Marion Fayolle (éditions Magnani), autrice in crescita del fumetto sperimentale francese ma che mantiene un certo grado di accessibilità.

Buoni o anche ottimi gli altri premi e sui quali non abbiamo molto da dire se non su quello al Premio per il Patrimonio, andato al primo tomo di Je suis Shingo di Kazuo Umezu. Vista però la quantità immensa di titoli che riserva la lunga storia del fumetto giapponese, forse sarebbe bene istituire un Premio al Patrimonio specifico al manga, altrimenti rischia di vincere sempre la produzione del Sol Levante, per l’apprezzamento quasi fanatico che suscita.

Je Suis Shingo Umezu Kazuo

Infine, una coda polemica: è un po’ incomprensibile che – fatto salvo La terra dei figli di Gipi – siano rimasti fuori se non dal Palmarès quanto meno dalla Selezione finale alcune opere fondamentali come Ghirlanda di Mattotti e Kramsky, Scalp di Hugues Micol, Variations di Blutch e Sputa tre volte di Davide Reviati.

L’equilibrio instabile tra eventi e ricerca

Per il resto, se il festival ci pare abbia trovato una mano salda e innovatrice nella direzione artistica del giovane critico Stéphane Beaujean, deve però trovare una migliore quadratura del cerchio tra le grandi esposizioni-evento (spesso dal taglio storico) e l’attualità, la ricerca.

Visto che Beaujean da critico è stato appassionato difensore del manga come del fumetto d’autore più innovativo e sperimentale, e totalmente privo di snobismi verso il fumetto popolare occidentale, sembrerebbe una figura adatta a trovare le connessioni, i vasi comunicanti tra i vari segmenti. Come pure, credo, ponti più solidi andrebbero trovati con il Museo del Fumetto di Angoulême, che si avvale ormai di un patrimonio di tavole originali davvero molto ampio e con una nuova Direttrice che pare dinamica oltre che competente.

Quanto al Grand Prix de la Ville, il consueto riconoscimento “alla carriera”, lo statunitense Richard Corben, autore chiave degli anni Settanta e Ottanta che ha saputo unire in maniera molto personale fantascienza e underground, grottesco e realismo (e spesso iperrealismo), l’ha spuntata sul compatriota Chris Ware e sul francese Emmanuel Guibert. Sarà dunque lui a presiedere il prossimo festival, come quest’anno lo svizzero Cosey, con annessa ampia esposizione sulla carriera dell’autore di Den e di Bloodstar nel regno di Aesir.

Corben è un artista potente, totalmente a sé stante, e se la maggioranza degli autori via “referendum” lo ha votato, sarebbe altrettanto interessante conoscere il perché, le motivazioni, quali sono le eventuali influenze sul loro lavoro. La sua scelta è, insomma, sia legittima che paradossale: per quali ragioni è durato tanto a lungo il “silenzio”, intorno a Corben?

Questa vittoria solleva anche altre domande: Corben è ancora in attività, ma la sua vittoria pare più un tributo al passato. Forse allora va trovata una soluzione per un festival che oltre a volersi sempre più internazionale, vorrebbe essere in contatto sempre maggiore con il presente, con la creazione odierna. Per avere un Chris Ware o un Mattotti, per esempio, presidenti di Giuria. E magari abbassando anche l’età per il Grand Prix. Ormai quasi tutti i maestri “decani” sono stati premiati e di conseguenza passare a premiare autori più giovani, come a volte in passato è già stato fatto – si veda il caso di Lewis Trondheim –, sarebbe opportuno. Anche perché vorrebbe dire cominciare a premiare autrici, in quantità ben maggiore rispetto all’attuale deserto.

Infine, davvero tanti gli incontri, e, tra questi, vogliamo citare la Master Class con Naoki Urasawa passando per Gipi e Alejandro Jodorowsky, regista, scrittore e sceneggiatore di fumetti, Mattotti e Kramsky, Emmanuel Guibert, fino allo storico inglese Paul Gravett che ha presentato Mangasia, la ricca esposizione itinerante nel mondo intero e lanciata a Roma dal Palazzo delle Esposizioni, o ancora Cosey. Sulla esposizione di quest’ultimo voglio attardarci in chiusura perché, oltre che davvero significativa su un autore ancora troppo sconosciuto da noi, è anche un ottimo esempio di fumetto per tutti ma insieme raffinato.

Cosey, un umanista ‘popolare’

Vincitore nella scorsa edizione del Grand Prix de la Ville come quest’anno è stato per Corben, sorta di premio alla carriera dal taglio internazionale che permette al premiato di avere un’esposizione di consacrazione nell’edizione successiva (e di converso una grande visibilità dei propri titoli nelle librerie francesi), Cosey è un autore che con la serie Jonathan – come pure con innumerevoli singoli romanzi a fumetti – ha reso adulto il graphic novel per il grande pubblico. E in questo ci ricolleghiamo a quanto detto in apertura su La saga de Grimr.

Cosey ha cominciato la sua carriera all’inizio degli anni Settanta sulle pagine del giornale di Tintin e subito le sue storie, spesso ambientate in Himalaya e Stati Uniti e intrise di umanesimo, beat generation, fascino profondo per il mistero della vita e grande amore per le relazioni umane, hanno incontrato il favore del pubblico. Come pure un segno grafico innovativo quanto lo è la composizione delle tavole, soprattutto nel contesto del giornale alfiere della cosiddetta linea chiara.

cosey grand prix angouleme 2017
Cosey

Del suo bellissimo sguardo sugli esseri umani e in particolare sulle donne – ne è testimone anche il recente Calypso, che lo vede alle prese con il bianco e nero con risultati eccellenti – ne testimoniavano le grandi tavole originali dell’ampia esposizione all’Hotel Saint Simon, quasi una passerella di volti femminili sempre delicati e forti. Un abbinamento difficile da ottenere. Così come rivelavano al meglio il suo notevole segno grafico, fatto di opposizioni dietro a un’apparente linearità: sensuale e descrittivo, impressionista ed espressionista, nitido ma dai movimenti eleganti. La mistica si confonde nella metafisica in questo maestro della sottrazione grafica e soprattutto della traccia, come giustamente evidenziato dai curatori della mostra.

In Cosey la traccia nella neve o sul foglio di carta sono realmente un tutt’uno, che prende una connotazione quasi panteistica. Un segno alla ricerca dell’essenza delle cose. Le tavole esposte, con un andamento per temi e assonanze di leit motiv più che cronologico, ne erano la perfetta espressione. Una carriera di opere intense che dimostra che un tempo, anche quando si faceva fumetto “popolare”, si faceva forse meglio rispetto a certe opere d’autore di oggi che si vogliono accessibili a tutti (e ci riferiamo ancora a La saga de Grimr).

Per chiudere una piccola appendice sull’esposizione dedicata a Gilles Rochier, autore su cui il quotidiano Libération ha ritenuto di aprire addirittura il dossier riservato al festival. Rochier ha fatto della propria condizione di disoccupato congenito delle politiche liberiste, spesso travestite da politiche centriste o anche di sinistra, un elemento cardine delle sue opere autobiografiche, offrendo anche un elemento di ulteriore rinnovamento al già florido fumetto autobiografico.

Va sicuramente tenuto d’occhio, anche se non ci convince al cento per cento, ma rende anche più evidente che il fumetto d’autore francese, a parte qualche raro autore come Etienne Davodeau o artisti belgi come Lambé e De Pierpont, parla raramente di temi del genere. Lasciando così tutti assettati e desiderosi di bere acqua-disegnata di vita vera, sotto forma autobiografica.

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