“Damnation”: sfida infernale per il Doctor Strange

Tutti i mercoledì negli Stati Uniti vengono pubblicate decine di albi a fumetti. Ogni Maledetta Settimana è la rubrica che tutti i venerdì, come un osservatorio permanente, racconta uno (o più) di questi comic book.

doctor strange damnation cates spencer reis marvel comics

Si è conclusa questa settimana la miniserie Doctor Strange: Damnation, asse portante di un crossover che ha coinvolto, oltre alla serie regolare del mago supremo della Marvel, anche le testate di Iron Fist e Ben Reilly – Scarlet Spider e il one-shot Johnny Blaze – Ghost Rider. La miniserie è scritta dal titolare di Doctor Strange, Donny Cates, insieme a Nick Spencer, l’autore di Secret Empire, e infatti ne fornisce un corposo epilogo.

Bisogna quindi fare un passo indietro al regno del Capitan America a capo dell’Hydra, quando questi, in risposta alla resistenza di vari supereroi, ha per rappresaglia nuclearizzato Las Vegas. Il Dottor Strange, appena rientrato in possesso del titolo di Stregone Supremo e più potente che mai, decide di far letteralmente risorgere l’intera città, con tutti i suoi abitanti. Il suo incantesimo sembra funzionare, ma bastano pochi minuti perché emerga dal sottosuolo una minacciosa torre. Si tratta dell’Hotel Inferno, gestito da Mefisto in persona, che intende estendere il suo regno alla rediviva città del peccato e alle sue anime perse. Il demone ha gioco facile di Strange, indebolito dall’incantesimo e, sfruttando la loro innata litigiosità, ottiene presto anche il controllo dei Vendicatori che si trovavano sul posto, ossia Thor (in versione femminile), Falcon, Pantera Nera, Capitan Marvel e Occhio di Falco.

doctor strange damnation cates spencer reis marvel comics

Salvare la città diventa così compito di Wong, che con Stephen Strange aveva più o meno rotto i rapporti, ma che naturalmente non può restare a guardare mentre il suo amico finisce all’inferno. Raduna quindi un nuovo team di “Figli della Mezzanotte” che include Moon Knight, Blade, Elsa Bloodstone, Doctor Voodoo e Man-Thing, ai quali si aggiunge poi anche Ben Reilly, che del resto a Las Vegas ci vive. Il ruolo principale è però quello di Johnny Blaze, il Ghost Rider originale, che alla fine del crossover assume una nuova importante posizione nel Marvel Universe.

Il tutto è ingegnoso il minimo necessario e scritto con discreta verve, per lo meno sulle due serie principali, mentre i tie-in sono come al solito abbastanza deludenti. Iron Fist sembra non incastrarsi molto in questa vicenda e infatti tutta la parte a lui dedicata è una digressione per far tornare dall’inferno un personaggio. I testi di Ed Brisson sono a tratti anche spassosi, soprattutto con le battute che la madre di Fat Cobra rivolge al corpulento figlio, ma le matite di Couceiro sono poco più che ordinarie, inadatte a catturare le coreografie delle scene di lotta dei protagonisti. Il one-shot di Ghost Rider è invece disegnato da Phil Noto, che quantomeno è abbastanza fantasioso e d’atmosfera, anche se il dinamismo non è mai stato il suo forte. Il problema qui però sono i testi inutilmente verbosi e didascalici di Christopher Sebela. Sulle vicende di Ben Reilly, scritte da uno stanco Peter David e disegnate da Will Sliney, infine è meglio stendere un velo pietoso.

johnny blaze ghost rider damnation phil noto marvel comics

Molto meglio la serie regolare di Strange, disegnata e colorata da Niko Henrichon, che infonde un calore artigianale alle proprie figure ed è inoltre espressivo nei volti e fa un ottimo lavoro di composizione nelle tavole che fanno il punto della situazione. La miniserie principale invece è graficamente bipartita, con il primo e ultimo numero affidati a Rod Reis, mentre i due capitoli centrali sono dell’inadeguato Szymon Kudranski, che oltre a non essere un granché già di suo, con figure ed espressioni di rara staticità, ha uno stile molto diverso da quello pittorico del suo collega.

Ancora una volta la Marvel riesce a sabotarsi da sola, confermando la pessima abitudine della rotazione di artisti persino in una miniserie di soli quattro numeri. Ed è un peccato, perché Reis fa uno dei suoi lavori migliori, citando a tratti Bill Sienkiewicz ma offrendo anche molte soluzioni originali, soprattutto nello spettacolare finale. La sua arte però finisce per essere solo la bella cornice di una storia passabile ma non irresistibile e con un cuore pressoché inguardabile.

Leggi anche: 11 storie per conoscere meglio Doctor Strange