“Freccia Nera”, il ritorno del sovrano silente

Tutti i mercoledì negli Stati Uniti vengono pubblicate decine di albi a fumetti. Ogni Maledetta Settimana è la rubrica che tutti i venerdì, come un osservatorio permanente, racconta uno (o più) di questi comic book.

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Si è conclusa con il numero 12 Black Bolt, la serie dedicata a Freccia Nera, l’ex sovrano degli Inumani la cui voce è in grado di piallare montagne e forse persino distruggere pianeti. Sceneggiata da Saladin Ahmed, poeta e scrittore di fantascienza al suo debutto nel fumetto, è stata quasi interamente disegnata da Christian Ward, che si colora da solo e proprio nei suoi impasti cromatici lisergici trova una forza espressiva a tratti violenta e altrove visionaria, capace di rendere realmente aliene le situazioni da incubo ideate da Ahmed.

Black Bolt, divisa in due archi narrativi, si è infatti aperta in una prigione infernale tra le stelle, dove nemmeno la morte offre una via d’uscita. Il carceriere è prossimo all’onnipotenza e tormenta i suoi prigionieri per ucciderli e infine resuscitarli, per poi ricominciare a torturarli. A questo orrendo destino era stato condannato il fratello di Freccia Nera, il folle Maximus, sostituitosi con l’inganno all’ex sovrano, che così è finito imprigionato al suo posto. Qui Freccia Nera ha conosciuto altri prigionieri, tra cui un ragazzino telepate dai molti occhi di nome Blinky e un terrestre: Carl Creel, alias l’Uomo Assorbente.

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“Black Bolt” #1, disegni di Christian Ward

Se questa prima fase è appassionante ma in fondo potrebbe avere un altro protagonista senza che cambi un granché, le sue conseguenze si fanno però strada nell’animo di Freccia Nera, lo obbligano a ripensare alla sua posizione di autorità, al suo rapporto con la legge e fanno di lui un uomo davvero cambiato.

Tornato sulla Terra – dove però non trova Medusa, a sua volta impegnata in un’odissea spaziale raccontata nella serie Royals di Al Ewing –, Freccia Nera comunica con gli altri grazie alla telepatia di Blinky. Questo causa prima la gelosia di Ahura, suo figlio, ma finirà per mostrargli un lato di suo padre che non conosceva. Freccia Nera si apre dunque come mai prima d’ora, cresce e trova nuovi alleati, necessari a sconfiggere definitivamente il carceriere, che in fondo è a lui speculare per ragioni che preferiamo non rivelare.

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“Black Bolt” #12, disegni di Christian Ward

Se l’arco del personaggio è da manuale e assolutamente soddisfacente, a fare davvero la forza di questa serie sono però questioni di stile. Abbiamo già detto del valore visionario dei disegni e dei colori di Ward, che si scatenano soprattutto in scenari mentali grazie alla telepatia di Blinky, ma anche la prosa di Ahmed non è da meno, riuscendo a reggere perfettamente lunghi di passaggi di voce interiore con un tono che si fa via via più epico e dolente.

Ahmed è sicuramente tra le migliori penne scovate dalla Marvel negli ultimi tempi e di certo – dopo una sua prossima serie ancora laterale, ossia Exiles – non stupirebbe vedergli affidato qualcuno dei personaggi maggiori della Casa delle Idee. Ward invece si rivedrà presto su Thor, dove darà il cambio a un altro artista molto personale nell’uso del colore come Mike Del Mundo.

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“Black Bolt” #7, disegni di Frazer Irving

Ai disegni, oltre a Ward, partecipano per un episodio Frazer Irving e per una manciata di pagine Stephanie Hans, entrambi talenti dal gusto molto pittorico, poco interessati al dettaglio degli sfondi o al realismo delle figure, cui preferiscono l’atmosfera come Ward.

Se Hans può risultare un po’ stucchevole in certe situazioni, fa gioco che le sia affidata una delle poche parti romantiche della storia, mentre Irving è perfetto per l’odissea aliena di Freccia Nera che dalla prigione torna verso la Terra. Il disegnatore può così scatenarsi nell’inventare scenari e creature originali, inoltre il cambio di stile risulta giustificato da quella che è una sorta di parentesi nel racconto (e infatti ha luogo come interludio tra i due archi narrativi principali). Così Black Bolt mantiene una buona e intelligente continuità artistica, cosa davvero insolita ormai per la Marvel, se non appunto su progetti di prestigio e relativa autonomia.

Bonus: Isola #1

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Lo sceneggiatore Brendan Fletcher e il disegnatore Karl Kerschl avevano già collaborato alla serie Gotham Academy e ora hanno ideato e lanciato per Image Comics Isola, un dichiarato omaggio al fantasy dello Studio Ghibli e in particolare a La principessa Mononoke con i suoi animali enormi e parlanti. Li affianca il colorista Msassyk, che a sua volta ha fatto parte del team di Gotham Academy, e dunque si tratta del prodotto di una squadra rodatissima.

Isola racconta di un giovane guerriero in viaggio per territori ostili insieme a una tigre blu dalle striature arancioni, che in realtà è la sua regina trasformata in animale. Li segue una figura misteriosa e li ostacolano invece alcuni spregiudicati cacciatori, inoltre i due si imbattono nel corpo di un enorme animale che sembra appunto uno degli dei-animali di La principessa Mononoke, con un vignetta che riprende proprio l’occhio enorme e malato del Dio-cinghiale nel film di Miyazaki.

Difficile scrollarsi di dosso l’atmosfera e la sensazione di un omaggio forse fin troppo spudorato, ma si tira un sospiro di sollievo quando la persona che segue la coppia non si rivela essere una ragazzina mascherata bensì un vecchio.

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Ci sono però altri passaggi davvero un po’ troppo debitori dello Studio Ghibli, per esempio in un momento di quiete la regina sembra riprendere le sue fattezze umane, mentre il guerriero la vede solo con la coda dell’occhio, non diversamente da come la protagonista di Il castello errante di Howl, trasformata in vecchia megera in alcuni momenti, per lo più lontani dagli sguardi altrui, ritornava al suo aspetto originale di ragazza.

La serie comunque è raccontata in modo efficace e ha una storia originale, spiace però che i colori e i disegni, con la propria brillantezza, sembrino quasi voler spingere l’omaggio fino a far somigliare il fumetto a un anime-book (ossia un fumetto che usa i fotogrammi di un film). Per fortuna la gabbia grafica è varia e ha vignette dal taglio molto diverso dal rettangolo dei frame cinematografici, ma rimane comunque difficile trovare calore in queste immagini e superare la sensazione di un prodotto fin troppo derivativo. È però troppo presto per escludere che il procedere della storia sappia superare questa prima impressione. Così fosse, ne riparleremo.