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RecensioniNovitàSaga 8: "Benvenuti a Aborto City"

Saga 8: “Benvenuti a Aborto City”

Dopo quello che sembrava a tutti gli effetti un tragico season finale, Saga 8 è un numero di transizione. L’ottavo volume della serie fantascientifica di Brian Vaughan e Fiona Staples si prende una pausa per riannodare i fili narrativi, gestire le conseguenze di quanto accaduto in conclusione allo scorso numero, e gettare le basi del prossimo story arc. Si tratta quasi di uno starting point per nuovi lettori, nella miglior tradizione del fumetto seriale americano, con tanto di inesaustivo “riassunto delle puntate precedenti”.

La natura interlocutoria di questo numero non implica però che sia inutile o privo di spunti interessanti. Contiene infatti delle riflessioni significative proprio su quegli aspetti che la serie mutua per analogia dal nostro mondo, come l’identità di genere e l’aborto. E che usa come potente strumento nello sviluppo di trame e personaggi.

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Non era semplice ripartire dopo i fatti accaduti su Phang. Nelle parole della piccola Hazel, «Poche cose sono più difficili di un sequel». All’inizio di questo numero ritroviamo i nostri protagonisti su Pervious, pianeta periferico in pieno stile Far West, dove è possibile ottenere un’interruzione di gravidanza con mezzi legali e meno legali. Ed è a quest’ultimi che i nostri eroi dovranno ricorrere, visto l’evidente stato avanzato di Alana, che ha subito un aborto spontaneo durante i tumultuosi avvenimenti di Saga 7.

La dolorosa necessità della donna di richiedere l’escissione chirurgica del proprio feto diventa qui pretesto per mettere in scena una questione (biologica, psicologica, identitaria, etc.) assai poco presente e visibile nella cultura popolare, l’aborto spontaneo. Questa scelta risuona con il progetto di rappresentazione e normalizzazione di forme più o meno marginali di alterità che caratterizza la serie. Qui e altrove, Saga usa la fantascienza per portare alla luce esperienze identitarie che esulano dal prototipo maschio-bianco-eterosessuale-cisgender-in salute proprio di buona parte della geek culture contemporanea.

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Ma se consideriamo l’aborto in termini più generali, l’associazione tra tematica trattata e stereotipo culturale/estetico (il Far West) permette di inquadrare la questione all’interno del contesto statunitense contemporaneo. Aborto City, la «Dottoressa Sceriffo» e i banditi-centauri rievocano non tanto un sud (o, meglio, un ovest) arretrato e conservatore, ma più in generale una mentalità patriarcale che tende a stigmatizzare l’aborto e arrogarsi il diritto di gestire il corpo femminile.

Una mentalità che caratterizza l’attuale presidenza di Donald Trump, che ha provato (senza successo) a modificare le leggi sull’interruzione di gravidanza, da lui ritenute troppo permissive. Quando la Dottoressa Sceriffo sostiene che «Se non le piacciono le loro regole sui corpi delle donne, ne parli con i rappresentanti eletti delle ali… che per la maggior parte non sono donne, per inciso» riporta alla mente la foto di inizio 2017 in cui vediamo il presidente, circondato da sei consiglieri maschi (e bianchi), firmare una legge che blocca il finanziamento statunitense ad associazioni straniere – anche nel terzo mondo – che praticano o fanno informazione sull’aborto.

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Al di là dei risvolti politici, le complessità etiche della pratica vengono in parte toccate nella sequenza che vede come protagonista la grottesca Toglitrice, una lupa antropomorfa che pratica aborti clandestini. Vediamo qui la contrapposizione tra due punti di vista, quello “pragmatico” della mammana – «le ideologie sono belle… ma quaggiù c’è solo la realtà» –, e quello dubbiosamente “pro-vita” di Marko, il quale rivela di essere cresciuto in un ambiente conservatore con il precetto per cui «non si dovrebbe mai voler togliere una vita».

Per convincere Marko della necessità del proprio operato, la Toglitrice rivela come abbia appena dovuto eseguire un’interruzione di gravidanza per un feto con una malformazione cerebrale. Si tratta di una situazione dolorosa e problematica, con evidenti implicazioni etiche, religiose e culturali. Ma non riesco a non pensare che Vaughan abbia affrontato due casi “limite” (minaccia per la salute della madre o del nascituro) per non dover affrontare l’aborto come scelta volontaria, non dettata da evidenti contingenze esterne. Per non mettere personaggi e lettori di fronte a una scelta, se possibile, ancora più complessa.

L’ottavo volume di Saga si conclude con due episodi stand-alone, dedicati rispettivamente al Volere e alla coppia Ghüs/Scudiero. Le due storie servono a fare il punto sulla situazione di questi personaggi periferici, a introdurre una noiosa backstory per il cacciatore di taglie – lui e la sorella sono stati vittime di abusi domestici –, e a presentare un nuovo, pittoresco villain.

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È in quest’ultimo aspetto che si rivela la maggiore debolezza della serie. Saga continua a patire 1) nella ciclicità in cui vengono ripetute alcune dinamiche narrative, come l’apparizione di una qualche minaccia dal passato di uno o più personaggi; 2) nella mancanza di una vero e proprio obiettivo per i protagonisti, oltre alla fuga dalla taglia sulle proprie teste 3) nell’assenza di uno o più antagonisti di spessore.

Usare un raffinato pastiche fantascientifico per dare visibilità a manifestazioni identitarie poco presenti nella cultura pop è una cosa fighissima, così come lo è affrontare questioni etiche e politiche con un certo grado di intelligenza. Ma la formula diventa in fretta ripetitiva, come faceva notare Evil Monkey, e non ci sono indizi che lascino pensare a un’evoluzione. Per il fumetto che da anni vince il premio Eisner come «Best Continuing Series», forse, abbiamo il diritto di aspettarci qualcosa di più.

Saga 8
di Brian K. Vaughan e Fiona Staples
traduzione di Michele Foschini
Bao Publishing, marzo 2018
brossura, 152 pp., colore
14,00 €

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