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Sunday Page: Silvia Rocchi su “E la chiamano estate”

Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica è ospite Silvia Rocchi, fumettista e illustratice pisana, autrice del recente Brucia (candidato ai premi Micheluzzi 2018) e di Tumulto (con Alice Milani). Ha raccontato le figure di Alda Merini (Ci sono che notti che non accadono mai), di Tiziano Terzani (L’esistenza delle formiche) ed Ettore Majorana (Il segreto di Majorana, con Francesca Riccioni), e contemporaneamente porta avanti l’etichetta di autoproduzioni ‘La trama’.e la chiamano estate

In questa tavola di E la chiamano estate l’autrice, Jillian Tamaki, mostra l’incontro tra le due protagoniste del fumetto e un cerbiatto nel boschetto che circonda il lago. Nelle pagine successive le due, Rose e Windy, rincorrono l’animale e si ritrovano nel covo degli adolescenti del paese dove sono in villeggiatura. Guardano con attenzione ogni dettaglio, vogliono capire che cosa succede al gruppetto di ragazzi di poco più grandi di loro, trovano bottiglie di birre, preservativi usati, sporcizia varia. Ne sono attratte e schifate al tempo stesso e non capiscono bene perché.

Non è stato semplice scegliere una tavola in particolare perché sono tutte dei piccoli capolavori di dettagli, perfetta successione delle inquadrature, ritmo tra le singole vignette. Di pagina 100, ad esempio, mi piaceva il fatto che nella vignetta centrale per rappresentare l’incomunicabilità tra i genitori di Rose, ci fossero due semplici battute del padre che si concentrano in un gesto familiare come una mano sulla spalla che però subito si ritrae e intorno si fa il vuoto.

Alle autrici evidentemente non interessa raccontarci tutto con fare didascalico, in quel momento la coppia è isolata nel loro malessere e i mobili intorno sono appena accennati, si dissolvono quasi. Oppure di pagina 163 mi piaceva come lascia passare il tempo al tramonto. Rose continua a nuotare nel lago e la Tamaki anche in questo caso ci dà grande prova della sua regia, la inquadra in tre modi diversi e nel frattempo il sole va giù. La trovo una tavola delicata e in un certo modo semplice e forte al tempo stesso.

Cosa ti ha fatto scegliere questa, alla fine?

Questa mi è sembrata significativa perché con quattro semplici tagli la Tamaki dà forma in un breve istante che dura tutta la pagina a tutta una serie di sensazioni: rigidità, stupore, fascinazione, curiosità. In un primo momento di staticità, vediamo Windy, che di solito è più spavalda, mentre si avvicina a Rose con fare titubante, vanno avanti piano e parlano sottovoce per non far scappare l’animale, sono sempre molto espressive anche quando l’autrice sceglie di fare dei tagli irregolari come quello della seconda vignetta. Per finire con un balzo il cerbiatto scappa via, sembra addirittura saltare fuori dall’ultima vignetta dove di nuovo le nostre assumono un ruolo centrale, piccoline, ben caratterizzate anche nei movimenti, l’una più goffa, l’altra smilza e agile.

A rendere tutto perfetto ai miei occhi c’è un cartello stradale (ho una specie di ossessione per la segnaletica) visto da fronte, di taglio e da dietro che funziona come punto di riferimento concreto per capire gli spazi.

Perché hai l’ossessione per la segnaletica?

Non te lo so spiegare. È un codice, come tutti gli altri che regolano le nostre vite, ma è quello che ci permette di capire nella realtà come si arriva dal punto A a B, C, Z. È importante tanto quanto il paesaggio e spesso diventa parte di esso. Anch’io quando disegno li metto dove devono stare e a volte capita che regolino la sequenza, sarà per quest’affinità che l’ho notato subito!

Come mai hai scelto E la chiamano estate come fumetto?

L’ho scelto perché a lettura ultimata mi ha lasciata ancora lì sulle rive del lago dove si svolge la vicenda, e perché mi piace che non ci sia distinzione tra il livello testuale e quello del disegno. Se un fumetto è buono questa distinzione non esiste. E qui procede tutto insieme come lo scorrere lento delle giornate delle protagoniste.

Non è assolutamente una storia dove “succede qualcosa”, si racconta il proseguire di un’estate, un’amicizia che funziona in quel determinato momento e le relazioni tra i grandi, i meno grandi e le due Windy e Rose, che stanno davvero in quella fase di passaggio tra infanzia e adolescenza. Ci sono delle vicende alle quali le due si appassionano, ma non sono mai al centro della narrazione, piuttosto lo sguardo è sempre rivolto verso le reazioni delle protagoniste. In generale mi piacciono le storie che indagano questo tipo di narrazione. Mi piace capire qualcosa di più degli altri e di me, è quello che cerco sempre che sia un fumetto, un film o un libro.

Guardando i momenti scelti e come vengono disegnati, sembrano l’unica opzione possibile per raccontare quella situazione. Invece la seconda vignetta, come dici tu, ha quel taglio strano. Secondo te a cosa è dovuta quella scelta?

L’impostazione è legata al contenuto, e la prima e l’ultima vignetta hanno perfettamente senso e capiamo subito perché ha scelto di farle così. La seconda, come notiamo entrambi è interessante perché ci racconta qualcosa che nella sequenza è successo immediatamente prima: una signora sta osservando le ragazze dalla finestra, la stessa di cui nella vignetta vediamo un piccolo pezzetto. È come se fosse un carrello che le segue alla loro altezza ed è come se l’autrice stesse scorrendo lentamente insieme a loro. A me sembra un volersi mettere in gioco in tutti i sensi senza doversi manifestare, palesare.

Non posso avere la certezza che l’abbia fatta così con questa intenzione di immergersi essa stessa nel lavoro che sta disegnando, a volte situazioni del genere (intendo a livello compositivo) capitano per caso e poi si capisce solo dopo che sono perfette lì dove sono.

Sempre parlando di quella vignetta, a pagina 131 la prima inquadratura mi pare utilizzi di nuovo un carrello laterale (solo che qui il soggetto è ormai quasi superato perché sta tagliato fuori a sinistra).

Sì è lo stesso tipo di “ripresa” e in questo caso penso che l’abbia scelto per dare l’idea dello spazio senza dedicarci una splash page come avrebbe fatto in altre sequenze. Perché la scena, nonostante sia in uno spazio ampio come la spiaggia, è tutta concentrata sulla madre e i suoi nervi a fior di pelle. Nel resto delle sei pagine infatti fa largo uso degli zoom, sui volti, sulle mani.

Il fumetto ha una predilezione anche per le grandi immagini, specie dell’acqua o di dettagli che non meriterebbero una splash page. Nelle pagine 168-169 c’è questo zoom sul nido per colibrì. Avrebbe potuto fare tre o sei vignette fisse su questa lanterna coi colibrì che girano attorno, invece ha preferito l’immagine singola. È una scelta che avresti fatto anche tu?

È una doppia pagina molto bella, sì è singolare che non abbia dedicato troppa attenzione ai movimenti degli uccellini preferendo un’inquadratura fissa sull’oggetto, ed è altrettanto interessante che la narratrice rimanga Rose, mentre girando pagina ci rendiamo conto che l’oggetto è osservato principalmente da Windy.

Non so se l’avrei fatta così anch’io, però capisco i motivi per cui ha scelto di raccontarci questo frammento così. Si tratta di un momento di contemplazione, e forse l’inquadratura fissa e ripetuta sarebbe risultata decorativa. In questo modo entriamo nello stato d’animo di Rose più facilmente. Anche questo oggetto come il cartello stradale di cui sopra, ci rende l’idea degli spazi, della veranda della casa di Windy, infatti è inquadrato in soggettiva ancora una volta (a pagina 178), l’autrice sta dunque caratterizzando quel luogo attraverso un semplice oggetto come quello.

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