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MangaIl manga che immagina la fine della disoccupazione

Il manga che immagina la fine della disoccupazione

Unemployed Concentration Camp è un manga spaventosamente intelligente. Un survival come tanti, ma rispetto alle serie di maggiore qualità oggi in questo filone – da Assassination Classroom a The Promised Neverland, da I am a Hero a Sky Violation – fa molta, molta più paura. Ed è molto, molto più utile per confrontarsi su grandi temi dei nostri tempi: il lavoro, la disoccupazione, la sicurezza.

Più precisamente Unemployed Concentration Camp offre la possibilità di gustare, per chi ama la tensione del thriller e il disgusto dell’horror, la paura per alcune iniziative volte a contrastare la disoccupazione. Si tratta dunque di un “fumetto politico”. Non però nel senso che presenta una prospettiva militante, a favore di una precisa proposta politico-partitica. Si tratta, invece, di un’interpretazione avvincente – distopica e inquietante – di quel che potrebbe accadere se alcune scelte governative perdessero di vista la ragionevolezza e l’umanità della politica.

Unemployed concentration camp manga fumetto

Le prime parole che compaiono nel fumetto, a pagina 2, sono indicative: «Yuto Aizawa, NEET da dieci anni». Ovvero la sigla per Not in Education, Employment or Training, i giovani tra i 15 e 35 anni (circa) che non studiano né lavorano. La premessa del racconto immagina l’entrata in vigore di una nuova norma volta a risolvere, una volta per tutte, il dramma della disoccupazione e dell’inattività. Si chiama “Legge per la riabilitazione dei non-lavoratori”, in vigore dal 2022 in un Giappone futuribile – al solito così lontano, così vicino – e comunemente chiamata “Legge per il recupero dei disoccupati”. Il suo contenuto, riassunto nel risvolto di copertina:

Viene stabilito un trattamento di riabilitazione dei non-lavoratori. Rientrano nella definizione di ‘non-lavoratori’ tutte le persone tra i 25 e i 65 anni di età, in salute, che non presentino una dichiarazione dei redditi superiore ai 70.000 yen mensili per un periodo di tempo superiore a 180 giorni.

Essere disoccupati diventa un reato, nel futuro prossimo immaginato da Unemployed Concentration Camp. Dopo sei mesi con un reddito inferiore a 550 euro al mese (al cambio attuale), ogni cittadino sarà “riabilitato” per legge. Ovvero con la forza, prelevato dalla polizia. E il trattamento di riabilitazione in cosa consiste? Nella riprogrammazione forzata del cervello. Allo scopo di rendere ogni riabilitato un “lavoratore iperqualificato” da reintrodurre nella società.

Insomma, l’ipotesi di Unemployed Concentration Camp sul futuro dei NEET e degli inattivi è un passo avanti radicale nella risposta – politica – alla domanda: cosa fare di un disoccupato? L’idea di questo manga, netta, è che si possa immaginare di rendere i disoccupati dei fuorilegge, in senso letterale. Non è possibile, nel mondo di domani, essere “disoccupati a vita”. Chi si troverà in questa condizione sarà arrestato. E trasformato in uno stacanovista per legge. Altamente produttivo, finalmente.

Riassumo: criminalizzazione + lavaggio del cervello + riprogrammazione neurologica. Un incubo.

Non hai un reddito? Ci pensa lo Stato

Unemployed concentration camp manga fumetto

Basterebbe questo per capire il livello di brillante riflessione che offre una serie come Unemployed Concentration Camp. I dibattiti odierni sulle politiche di incentivazione all’occupazione e/o di contrasto alla disoccupazione, sono qui ripresi, trasformati e spinti ad un estremo paradosso. La soluzione, qui come nella realtà del dibattito contemporaneo, è sempre nella linea dell’intervento dello Stato. Solo il potere pubblico è in grado di risolvere il problema, potenziare il mercato del lavoro e aiutare la riqualificazione della popolazione inattiva. Ma la strategia, in Unemployed Concentration Camp, non è quella ‘umanista’ del reddito di cittadinanza, bensì quella poliziesca delle politiche securitarie. La carenza di lavoro non è più una questione sociale, ma una questione di sicurezza: va affrontata dalle forze armate, risolta alla radice, con la coercizione. Non hai un reddito (da lavoro, s’intende; chi ha una rendita sufficiente sembra non essere toccato dalla Legge)? Tranquillo, ci pensa lo Stato. Tranquillo mica tanto, però.

La scelta del protagonista aiuta a rendere il racconto più incisivo, ovvero ansiogeno. Non si tratta infatti di quel NEET, Yuto, bensì di un giovane in carriera. Da un manga ci si potrebbe aspettare una qualche parabola di empowerment su GenXers o Millennials molto nerd, chiusi a casa con i genitori a sprecare la vita nei consumi pop, in preda a qualche depressione (la “nevrosi da disoccupazione” studiata da Victor Frankl). Ma in Unemployed Concentration Camp non è così. Il personaggio principale è un ventisettenne di successo, Tatsuya, gestore di fondi di investimento per un grosso istituto finanziario.

Tuttavia sul lavoro, si sa, le rivalità possono essere drammatiche. Il ragazzo commette un errore di investimento, ma il rivale lo scopre e ne informa i suoi superiori. Risultato: Tatsuya si ritrova licenziato. Abituato al successo, inizia la ricerca di un nuovo impiego. Ma non lo trova. Altre banche lo rifiutano, e i mesi passano. Finché un giorno, allo scadere dei sei mesi, si presenta all’Agenzia per il Lavoro e finisce sotto la scure della Legge per la riabilitazione dei non-lavoratori. Per lui, tuttavia, non c’è nemmeno il Trattamento di Riabilitazione, ma un percorso “alternativo” meno noto: un’ingiunzione di Lavoro Forzato.

Il posto in cui viene collocato si rivela essere subito un luogo tragicamente violento. Si tratta del centro di addestramento reclute dell’Agenzia per la Sicurezza, un organo para-militare nato per “prelevare e scortare i disoccupati” ai trattamenti di riabilitazione. L’addestramento violento comprende abusi ingiustificati, omicidi random, punizioni corporali, torture, umiliazioni psicologiche, stupri. Non hai (più) un reddito? Tranquillo, ci pensa lo Stato. Con le mazzate.

Il libero arbitrio non è necessario

Unemployed concentration camp manga fumetto

Tatsuya si rende conto di essere finito al gradino più basso della scala sociale ridefinita dalla “Legge per la riabilitazione dei non-lavoratori”. Ai lavori forzati sono assegnati quei disoccupati cui lo Stato ha negato, per vari motivi, il Trattamento di Riabilitazione (nel caso di Tetsuya il motivo è una rissa con il rivale che gli fece le scarpe. Reagisci male a un sopruso in ufficio? Lo Stato ti segnala alle aziende, che non ti riassumono più, e infine ti esclude dalla Riabilitazione). Durante l’addestramento, inoltre, vengono somministrate sostanze in grado di annientare la volontà, in modo da indebolire e rendere più malleabili le personalità dei malcapitati. Qualcosa di simile a quanto accade con la stessa Riabilitazione (sebbene, in questo primo episodio, il Trattamento non sia stato ancora approfondito): le persone in questione non sono rese coscienti di essere “soggetti riabilitati”. I neo stacanovisti sono reinseriti nel mercato del lavoro come fossero “uomini nuovi”, con identità e documenti ricostruiti da zero. Il lavaggio del cervello è al centro delle politiche securitarie anti-disoccupazione.

Emerge dunque presto il paradosso centrale in Unemployed Concentration Camp: il lavoro come diritto universale è possibile, a patto di rendere il suo opposto (la disoccupazione) un crimine, e l’espressione della volontà (il rifiuto di certi lavori a certe condizioni) impossibile. Vuoi il lavoro? Lo Stato lo garantisce per legge. A un patto: che tu perda la tua volontà e il tuo libero arbitrio. La tua memoria, i tuoi ricordi, la tua identità. La tua vita. Se fallisci, insomma – non trovi lavoro, o lo perdi, o lo rifiuti – il tuo destino non è davvero tuo.

Quella messa in scena dallo sceneggiatore Atsushi Kamakura è dunque una tesi politica. Una tesi classica che ruota intorno a domande antiche, come quella che appare in una delle prime pagine del manga: “Il lavoro esiste per le persone … o le persone esistono per il lavoro?”.

Il manga accenna al fatto che la popolazione, di fronte a questa legge liberticida, ha tentato di opporsi. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno manifestato, gli oppositori si sono scontrati con la polizia “con morti e feriti”, ma sembrano essere stati sconfitti. Unemployed Concentration Camp immagina dunque una distopia facile, ovvero un regime dittatoriale? Non esattamente: ad avere indebolito l’opposizione non sarebbe stata solo la repressione, ma sarebbe stata “smorzata dalla ripresa dell’economia”. Di fronte ai “risultati”, non c’è opposizione che tenga, racconta Kamakura.

In Unemployed Concentration Camp la distopia è dunque immaginata a partire da solide considerazioni sociopolitiche: il dominio della logica economica vince su tutto, perché pare autolegittimarsi. E nell’idea che i campi di concentramento siano uno strumento particolarmente adeguato c’è, purtroppo, anche qualche cattiva lezione della Storia, sia passata che recente: dall’approccio nazista che portò taluni disoccupati ‘cronici’ ad essere deportati (per lo più marchiati con il nefasto Triangolo nero), alla più recente proposta di un politico inglese di inserire le famiglie di disoccupati ‘lazzaroni’ del Northamptonshire in due anni “infernali” di campo di addestramento, fino ai campi cinesi di indottrinamento (abusi inclusi) per gli Uiguri disoccupati.

L’idea che la disoccupazione possa essere sconfitta con la repressione, la violenza, il lavaggio del cervello e persino i campi di concentramento, insomma, è stata (ed è) talvolta una ipotesi politica concreta, non solo una distopia. Ecco perché Unemployed Concentration Camp mi sembra una serie tanto intelligente, sebbene si tratti di un’opera prima (per i curiosi: si tratta dell’adattamento di un romanzo uscito a puntate sulla piattaforma online Every Star, vincitore del premio Every Star horror).

Era dai tempi di Demokratia che non leggevo un manga così abile nello spingere l’immaginazione, e insieme la riflessione, intorno all’evoluzione di processi sociopolitici tanto concreti. Certo, i disegni di Rei Akira non sono freschi od originali quanto il racconto. E sarà dura competere con Motoro Mase in termini di suspense e capacità speculativa sulle conseguenze di certe azioni. Ma la tensione è viva, le premesse davvero forti e, in tempi di “nevrosi da disoccupazione” al governo, leggere questa serie potrà produrre qualche spavento molto sano.

Unemployed Concentration Camp n. 1
di Atsushi Kamakura e Rei Akira
traduzione di Manuela Capriati
Planet Manga, giugno 2018
brossura, 192 pp., b/n
6,50 €

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