Visitabile sino al 7 ottobre prossimo presso il Palazzo Blu di Pisa, la mostra Lorenzo Mattotti. Immagini tra arte, letteratura e musica, curata da Giorgio Bacci, si colloca come ultima fatica dedicata negli ultimi 12 mesi all’artista bresciano.
A differenza degli altri tributi − a parte Mattotti. Primi lavori, ospitata in ottobre all’Accademia di Belle arti di Bologna all’interno di BilBOlbul 2017 e curata da Giovanna Duri −, questa ricognizione non vuole ulteriormente sfruttare uno dei pochi grandi classici contemporanei italiani di livello internazionale nel campo del fumetto e dell’illustrazione in quanto uno dei pochi nomi conosciuti fuori del ristretto pubblico di appassionati e portatore di una “storia artistica” intellettualmente fuori dall’anima popolare del fumetto italiano. La mostra, al contrario, si propone di superare i cliché dei generici peana della critica, indirizzati verso il lato più prontamente accessibile − in termini emozionali − di Lorenzo Mattotti, attraverso l’analisi di alcuni emblematici lavori, tra fumetti e illustrazioni, e la loro messa in relazione con le altre arti.
Questa chiave di lettura, espressa sia attraverso l’allestimento espositivo e le sue guide divulgative sia in maniera più estesa all’interno dell’omonimo e iconograficamente ricco catalogo bilingue che raccoglie le opere in mostra (edito da Felici Editore), permette finalmente di soffermarsi e non solo godere appieno di storie e immagini qualitativamente alte ma soprattutto quantitativamente sostenibili, fuori dall’idea della consueta orgia di materiali, figlia della grande disponibilità e generosità di Mattotti, o stravisti o troppo poco rappresentativi o troppo accatastati alla ricerca di una esposizione definitiva che non può esistere visto ormai la copiosa produzione dell’autore (comprendente anche il cinema d’animazione e la scenografia).
Henry Michaux, soleva dire che «Il vero poeta crea e poi qualche volta comprende». Giorgio Bacci, attraverso un percorso di riflessione critica in forma di dialogo diretto e indiretto con Mattotti, traccia delle possibili vie alla comprensione del lavoro dell’autore condividendole con lui stesso e proponendole alla coscienza di lettori ed estimatori, soffermandosi su alcune scelte opere quali The Raven – Il corvo, progetto illustrativo sulla rilettura di E.A. Poe da parte di Lou Reed, le illustrazioni per L’Inferno dalla Divina Commedia di Dante, la favola dei Fratelli Grimm Hansel e Gretel, realizzata con lo stile narrativo dei wordless graphic novel, l’adattamento a fumetti del romanzo di Stevenson Doctor Jekill & Hyde e un approccio di studio all’Orlando Furioso del Tasso.
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Superando la rappresentazione critica degli anni Ottanta, basata sul concetto di artista impegnato a far convivere “arte alta” e “arte bassa”, dove il popolare e il “citazionismo” sembravano la chiave di volta di ogni analisi, Bacci propone di approcciare la complessità di Mattotti attraverso due modalità: la prima riguarda la necessità di estrapolare singole opere, illustrazioni, narrazioni visive e fumetti e studiarne il rapporto con l’area artistica di riferimento, in questo caso la Pittura, intesa come interfaccia decodificabile e linguaggio privilegiato comprendente anche il tema dell’Illustrazione, la Letteratura, La Poesia e la Musica, sulla scorta del lavoro di Daniele Barbieri Linguaggi del fumetto; la seconda concerne gli aspetti ontologici dei concetti del sincretico e della sinestesia applicata all’arte, di un ritorno rivisitato dell’Arte Totale come sintesi tra le arti dove le barriere e i confini dei vari linguaggi artistici sono destinati ad essere abbattuti e superati.
Lo studio del rapporto tra aree artistiche e singoli progetti editoriali prodotti da Mattotti permette da un lato di “isolare” l’oggetto della ricerca e cercare di definirne gli ambiti di riferimento delle singole arti, per quanto estese possano risultare, e dall’altro di “immaginare” il processo creativo proprio alla luce del rapporto sentimentale ed emotivo ancor prima che tecnico-estetico che Mattotti intrattiene attraverso vari modelli narrativi e illustrativi, dall’illustrazione classica ai graphic novel, con la fruizione e l’elaborazione di costrutti culturali quali la musica, la poesia, la letteratura, compresa quella fiabesca, espresse attraverso l’approccio pittorico e la sua grammatica estetica fatta di segni, colori e forme.
Eludendo la complessità di una produzione notevole, destinata a un pubblico non vastissimo ma ormai vasto, Bacci decifra dialetticamente con Mattotti un pantheon non provvisorio e generico di sicuri riferimenti specifici che, dialogando tra loro, vanno dal citato Michaux, letto come poeta e guardato come pittore tachiste e graphiste, a Francis Bacon, da Gustav Dorè e Eduard Manet a Otto Dix, George Grosz e il Realismo Magico e la Nuova Oggettività italiana e tedesca, da Lionel Feininger al meno conosciuto Jackson Pollock espressionista astratto e a Willem de Kooning, da J. Sebastian Bach a − aggiungo io − l’Arte Totale di Richard Wagner, dal Blues a Fritz Lang e al Picasso di Guernica.
Oltre a questi riferimenti precisi e valevoli per le opere prese in oggetto, va sempre ricordata una lunga schiera di artisti dai quali Mattotti ha assimilato qualcosa, come i fumettisti Dino Battaglia e Renato Caligari, ma anche da interi periodi dell’arte occidentale come il Quattrocento italiano, il Futurismo, la Metafisica (quest’ultima riletta attraverso la Nuova Soggettività), il Decò europeo, il Giapponesismo europeo e i giapponesi, il cinema muto tedesco espressionista e post-espressionista.
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Se esiste un tassello mancante nel lavoro di Bacci è quello di non aver voluto allargare lo spettro dell’indagine, al di là delle singole discipline, al concetto di cinema, compreso questo d’animazione, come ibrido perfetto e sinestetico e contenitore di immagini, parole e atmosfere che ha dominato il modo di costruire e fruire il visuale per tutto il Novecento e oltre. Detto questo, tutti i riferimenti che possiamo aver trovato hanno il destino di essere sedotti e abbandonati per via di quello che amiamo chiamare autorialità, personalità artistica e creatività espressiva.
Non solo quello che l’artista, in questo caso un operatore professionista del visuale, ha da dire, ma innanzitutto come lo dice e con quali strumenti connettibili che permettano di lavorare intorno al concetto di cultura visuale in grado di rimettere in gioco il dialogo mai finito tra autore e il fruitore finale delle immagini narrative. Eccoci dunque a toccare il punto principale del lavoro, ovvero il superamento delle barriere, dei confini e dei limiti sia di genere e disciplina sia quelli dei linguaggi utilizzati per ottenere l’aderenza tra i mezzi ed i fini artistico-autoriali. L’ipotesi della stratificazione per accumulo dei riferimenti-sedimenti culturali lavora in termini sinergici con il superamento dei limiti imposti arbitrariamente dai modelli artistici, estetici e culturali definiti per orientarsi all’interno della continua evoluzione dei linguaggi artistici.
Se per Kant il limite rappresenta un confine oltre il quale l’idea cessa di esistere e la ragione si avventura nell’ignoto, già per Hegel oltre il confine esiste uno spazio vuoto che, non solo nel mondo delle idee e dell’estetica tende a colmarsi, mischiandosi e ibridandosi con ciò che di più affine esiste al di là del confine, alla ricerca del sincretismo come valore assoluto. Più confini vengono varcati più si potrà trovare materiale culturale ibridabile.
Questo modello ha permesso di far progredire la Storia dell’Arte, che altro non è storia d’ibridazione e di avanguardie. Per Mattotti sembra funzionare benissimo sia che si parli dei rapporti tra discipline artistiche sia all’interno dei singoli linguaggi espressivi. Il suo lavoro sembra un continuo travaso di suggestioni artistiche, ma anche una continua forzatura dei linguaggi e dei generi, che raramente però sentiamo violati. Un ulteriore riflessione può allora essere fatta utilizzando l’idea di confine, che già trattiene in sé una forma di meticciato puro.
Il limite diventa dinamico e in grado di rappresentare una conoscenza altra reale e positiva, trovando nell’allargamento delle soglie nuove prospettive semantiche. Più i confini si allargano più paradossalmente ci si avvicina a quel pictorial turn del medium di riferimento, quasi un ritorno alle origini del media che ha bisogno di maggior ibridazione per riconquistare una certa forma di purezza. L’immissione di nuove elementi capaci di convivere con i modelli già accettati come costitutivi di un linguaggio o di una scelta estetica sposta le barriere, che a questo punto possono allargarsi o richiudersi a seconda delle scelte dell’artista o del periodo storico di riferimento, potenzialmente senza un limite definito se non dalla capacità di comprensione e sensibilità culturale del lettore.
Le barriere elastiche inglobano sempre, lavorando per il sincretismo, mentre le rotture di rado privilegiano davvero l’invasione della connessione culturale più forte. Ci piace pensare invece a uno spazio artistico e culturale dove in Dorè, in Bacon o in certi lavori di Pollock dei primi anni Cinquanta ci fosse già traccia di un possibile Lorenzo Mattotti e di questa mostra bellissima e illuminante, esempio concreto di uno sforzo verso l’affermazione di un’analisi dei processi creativi nell’ambito dei cosiddetti “visual cultural studies”.