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FocusIntervisteAkab, Cammello e Spugna sul fare fumetti

Akab, Cammello e Spugna sul fare fumetti

In occasione dell’imminente pubblicazione di Rubens, il nuovo libro di Stigma, proponiamo una discussione tra Cammello e Spugna condotta da Akab, in cui gli autori dialogano interrogandosi sul mestiere di fumettista e sul proprio modo di lavorare.

Rubens, realizzato a sei mani dagli autori di questa conversazione, è preordibabile online sul sito di Stigma fino al 19 ottobre. Acquistandolo si riceverà anche l’albo Storia di un cadavere, realizzato da Cammello e Nova.

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La copertina di “Rubens”

AkaB: Ora che li fate, da lettori, cosa cercate nei fumetti?

Spugna: Come lettore cerco sempre qualcosa di immersivo, che mi faccia sprofondare dentro un’altra realtà. Più vado avanti e più mi accorgo che mal digerisco pipponi di testo troppo intensi e prediligo invece storie dove è il ritmo e l’equilibro fra le diverse immagini a comandare. O anche: stili di disegno che mi facciano “divagare” pensando a questa o quella soluzione, magari roba lontanissima da quella che faccio io.

Cammello: Quello che ho capito è che ci sono poche cose che mi smuovono in un fumetto. In genere mi lasciano qualcosa quelli che mi disorientano e mi fanno perdere punti di riferimento per un attimo, facendomi chiedere “che cazzo succede?”. Come un salto nel vuoto, per poi tornare coi piedi a terra.

Più o meno è anche l’effetto che cerco di dare quando scrivo. Poi mi piace percepire il passaggio del tempo sulle pagine, giocare con le leggi fisiche e vedere i personaggi acquisire tridimensionalità, vivere e consumarsi, invecchiare tra una vignetta e l’altra.

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Una tavola di “Rubens”

Akab: Vedo in giro molta gente tecnicamente brava ma che tende ad assomigliarsi: che valore ha per voi l’originalità e la ricerca di uno stile e di una voce propri?

Spugna: Per quanto mi riguarda è un aspetto della ricerca molto importante e quasi “automatico”. Cerco sempre di lavorare come vorrei lavorasse il mio autore preferito, quindi deve (e devo) essere per forza in qualche modo originale, altrimenti sarebbe solo la brutta copia di un altro.

Io ho sempre copiato da moltissima gente diversa, ed è proprio quello che ti fa trovare la tua voce: sommare e sintetizzare tante e tante matrici diverse. Sia per quanto riguarda la scrittura che il disegno.

Molti copiano da due, tre autori, io cerco di copiare almeno da quindici teste diverse, cercando di costruire un vero e proprio mostro di Frankenstein, dosando ogni ingrediente e pezzo secondo quello che sento: alla fine è tutto nel come ognuno rielabora ciò che apprezza, è lì che risiede lo stile.

Cammello: Per me il discorso dell’originalità deriva dall’auto-educarsi a lasciare che le proprie ossessioni prendano il sopravvento. Che significa prendere determinati gesti, segni, ispirazioni o elementi e portarli all’esasperazione. Comunque anche copiare da mille fonti diverse è fondamentale, anche se io ho il pregio/difetto di imitare male qualsiasi cosa, a partire dall’impugnatura della penna sbagliatissima (ma anche il modo in cui schiocco le dita: dovete vedere come cazzo le schiocco sbagliate).

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Una tavola di “Rubens”

Akab: Terza domanda: parliamo un po’ di Tumorama e più in generale di questo approccio seriale alla narrazione. Vedete possibile un tipo di fumetto che riesca a unire due mondi apparentemente distanti come le cosiddette graphic novel e il fumetto seriale? E come lettori seguite qualche serie?

Spugna: Anche nelle serie quello che amo di più sono i momenti di svolta, quelli che stravolgono lo status quo. Quindi strutturare una “serie” con personaggi ricorrenti, magari spalmando in diversi volumi “da libreria” e non concepiti per una serialità fitta come quella mensile, mi sembra l’unico modo in cui sopravviverà la serialità fumettistica, ora che le edicole se la passano sempre peggio.

Il primo esempio che mi viene in mente è Megahex di Hanselmann: lui ha rivelato più volte di avere in mente archi narrativi e materiale per lavorare per altri dieci anni. Ecco: Tumorama, al di là dell’amicizia che mi lega al buon Cammelloide, mi sembra strutturato proprio allo stesso modo. Oppure penso a serie americane tipo Southern Bastards e Black Hammer, che di solito son quasi sempre la versione “pervertita” di strutture classiche, mentre in italiano di recente ho recuperato qualche numero di Mercurio Loi. Però in generale negli ultimi anni non ho molto l’atteggiamento e l’amore tali da seguire una serie in modo regolare.

Cammello: Quoto Megahex, che scoprii su Tumblr quando già stavo lavorando a Tumorama e fu una bella botta nella giusta direzione. Penso che un progetto ibrido del genere sia indispensabile perché ormai si è annullata la differenza tra pop e underground e siamo abituati a fagocitare di tutto, dai fumetti, alle serie tv, ai cartoni.

Poi questa natura duplice di Tumorama è stata anche una necessità, perché dalla sua nascita di webcomic a episodi brevi è diventato un prodotto cartaceo e sentivo l’esigenza di storie più lunghe, per cui è come se le due anime si fossero fuse assieme. Per quanto riguarda le serie, poi, ultimamente ne leggo poche, ma sto recuperando Soil, manga super strano su un’indagine in un paesino.

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Una tavola di “Rubens”

Akab: Cosa vi piace e cosa invece vi pesa di più nel fare fumetti?

Cammello: Faccio i fumetti da quando sono piccolissimo per cui mi è difficile immaginare di non farli. In generale come tutte le cose ha lati positivi e negativi: il brutto è che è un lavoro solitario di segregazione, ma il bello è che poi quando esce il tuo fumetto lo devi portare in giro, frequentare fiere, girare tutta Italia, conoscere altri che fanno parte o meno del settore.

Il bello è anche che puoi lavorare dove vuoi e gestirti gli orari come vuoi, senza un capo che ti rompe i coglioni come in tutti gli altri lavori che ho fatto. Il brutto è la retribuzione. Poi c’è il fatto che guardare film o leggere libri diventa parte del tuo lavoro: è una cosa buona, ma anche no perché non puoi veramente staccare col cervello. Ecco, l’aspetto fondamentale è che sei ossessionato 24 ore su 24 da questa cosa e devi cercare di mantenere un equilibrio tra i due poli. Io penso di essere ossessionato principalmente dal lato creativo del fumetto e meno da quello tecnico o commerciale, ma non so quale sia l’approccio più salutare.

Spugna: Sono d’accordo con Cammello su praticamente tutte le questioni. Amo molto l’aspetto “sociale” di questo lavoro, trovo sia uno degli aspetti anche più stimolanti. Invece, per quanto mi riguarda, fare i fumetti mi costa ancora una discreta “fatica”, ci devo pensare e ragionare molto, non è qualcosa che faccio velocemente. Anzi, è ancora più strano: sono più lento e concentrato nella fase di progettazione, di scrittura, di “scavo”, mentre invece divento veloce ed esplosivo nella fase di realizzazione “fisica”, del disegno delle tavole. È un processo che ancora non ha raggiunto una forma definitiva e mi piace anche pensare che possa continuare a cambiare, se poi mi costa fatica è un problema mio.

Non sono uno di quelli che è cresciuto facendo i suoi fumetti già quando era alle scuole medie, ho cominciato relativamente tardi. Ma di fumetti ne ho sempre letti tantissimi. Il discorso dell’ossessione nel mio caso è ancora più assurdo perché sono affascinato da tutto, dei fumetti: come si fanno, chi li fa, come funzionano, la cartotecnica, le varie correnti. Il fumetto è un meccanismo, e mi verrebbe da studiare tutte le sue componenti. Ecco, questo a volte mi fa sentire un po’ troppo dentro alla mia macro-ossessione.

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Una tavola di “Rubens”

Akab: A cosa state lavorando adesso e a cosa lavorerete in futuro? Mi interessa sapere non solo dei progetti concreti ma sopratutto di quelli ideali. In sostanza: a cosa vi piacerebbe lavorare?

Spugna: Ho appena finito una storia “media” (60 pagine) per Hollow Press, in uscita a fine settembre, e questo si collega anche al futuro, perché sicuramente voglio andare avanti a collaborare con loro, mi piace molto come realtà per approccio e linea editoriale.
Poi ho un paio di cose brevi segretissime e quindi devo fare il misterioso.

Sicuramente vorrei realizzare un nuovo libro lungo, cercando però di dare una sbandata al mio stile, trasformando la parte di “botte e azione” in un ingrediente meno centrale e concentrandomi maggiormente su elementi più sottili. Sento questa esigenza di complicarmi un po’ di più la vita e fare meno quello che mi viene istintivo.

Cammello: Oltre al seguito di Tumorama, vorrei fare una graphic novel che non ha nulla a che vedere con la serie, una cosa autoconclusiva e a colori. Ci sto lavorando mentalmente da un po’. Inoltre sono sempre a lavorare con i ragazzi di Verrà un giorno, che è una serie animata disegnata da me. Sarebbe bello se un giorno ci fossero finanziamenti adeguati a poter fare come lavoro anche i cartoni animati (anche Tumorama a cartoni su Adult Swim), ma per ora è davvero un futuro incerto.

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