Fino a qualche mese fa, la biografia di Nick Drnaso sarebbe stata in un paragrafo striminzito. Classe 1989, del suo luogo di nascita non c’è granché da dire. Palos Hills, Illinois, un sobborgo che lambisce Chicago e le cui attività principali sono le escursioni nei parchi o le visite ai laghi. Sulla sua carriera ci si sarebbe potuti spingere più in là, ma non di molto. Scopre il fumetto a 18 anni, dopo aver visto un compagno di classe disegnare su un’agendina delle figure crude e sgraziate che però lo colpiscono. Protegè di Chris Ware, muove i primi passi come editor di Linework, l’antologia fumettistica del Columbia College, realizza storie brevi, viene candidato a quattro Ignatz Awards.

Nel 2016 l’editore canadese Drawn & Quarterly pubblica Beverly, volume che mette insieme racconti inediti e già pubblicati. Il lavoro rimane confinato nel perimetro degli appassionati di fumetto, anzi, in una nicchia ancor più piccola. Vince il Los Angeles Times Book Prize nella categoria “Graphic Novel”, riceve ottime recensioni – Just Indie Comics lo definisce «un debutto appassionante e del tutto maturo», e su Fumettologica Piero Santoro lo descrive come «un’opera lucida e spietata» − ma ulteriori riscontri si fanno attendere.

Due anni dopo, esce Sabrina. E stavolta qualcosa succede. Inizia a raccogliere blurb di lusso. Chris Ware (Jimmy Corrigan, Building Stories) sul Guardian gli riserva una recensione da far arrossire anche il più egocentrico degli autori: «Sabrina è un’analisi intelligente e agghiacciante della natura della fiducia e della verità e dell’erosione di entrambe nell’era di Internet»; per la scrittrice Zadie Smith è «il miglior libro – in qualsiasi medium – che abbia letto sul momento che stiamo vivendo. È un capolavoro, meravigliosamente scritto e disegnato, e possiede tutto il potere politico della polemica e allo stesso tempo tutta la delicatezza della vera arte. Mi ha spaventata. L’ho amato».

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Nick Drnaso | Foto di Abe Olson

Escono pezzi su testate che di solito non trattano i fumetti (Forbes, GQ, Huffington Post), le voci cominciano a correre, gli apprezzamenti si fanno insistenti e consistenti. E poi, alla fine di luglio, viene pubblicata la notizia che Sabrina è candidato al Man Booker Prize, il più prestigioso e importante premio letterario britannico.

Abraham Riesman su Vulture descrive Nick Drnaso come un tipo laconico che tutto vorrebbe meno che stare al centro dell’attenzione. E allora che Sabrina non sia riuscito a superare l’ulteriore scrematura dei nominati deve averlo accontentato un po’. Ma il primato ormai è inoppugnabile, in attesa che qualche altra opera lo superi (o addirittura vinca).

Rob Clough ha scritto che i fumetti di Nick Drnaso sono l’equivalente di un film di Todd Solondz e che il suo stile pesca dagli stessi riferimenti di Dan Clowes. Ware lo ha paragonato alle narrazioni di George Saunders e ha affermato che il suo primo libro, Beverly, raccontando sei storie autoconclusive ma legate tra di loro, si muove nel terreno di autori come Junot Díaz e Jennifer Egan. Insomma, il profilo di Nick Drnaso è colmo di riferimenti alti, voluti o meno. Ma di cos’è che parlano le sue opere, di preciso?

Beverly e Sabrina, protagoniste assenti

Il suo primo fumetto è Beverly, diviso in sei storie brevi che rimandano l’una all’altra attraverso riferimenti e dettagli. Il risultato finale è quello di un grande mosaico che restituisce un’immagine unica, come già avevano fatto romanzi postmoderni tipo È così che la perdi o Il tempo è un bastardo.

I racconti del libro sono ambientati in un piccolo sobborgo nordamericano e hanno per protagonisti un gruppo di adolescenti e le loro famiglie: l’eccentrico e scrupoloso Sal, emarginato dai suoi colleghi di lavoro; Cara, che esce tutte le sere a far baldoria per sfuggire al clima di asfissiante alienazione che regna in casa sua, con i genitori persi dietro a fiction e nostalgia e il fratello Tyler rinchiuso nel suo piccolo mondo di fantasie erotiche e catartiche visioni omicide; Charlotte, che reincontra la sua amica d’infanzia Tina dopo 4 anni per scoprire che ormai non c’è più nulla da dirsi.

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Il titolo del graphic novel rimanda a Beverly, un personaggio che conosciamo solo nell’ultima storia, una massaggiatrice di cui Tyler (che ritroviamo ormai adulto) è cliente fisso. Durante una delle sedute la ragazza cerca invano di stabilire un contatto con lui.

Ogni storia di Beverly, infatti, racconta un fallimento comunicativo, un desiderio di relazione che viene continuamente disatteso e verso cui Drnaso non offre soluzioni, ma solo un mesto silenzio, lo stesso con cui la raccolta si apre e chiude. Se quella narrata dal fumettista è «un’umanità arrendevole e apatica», come ha scritto Gabriele Di Fazio, è anche vero che nelle sue storie si nascondo momenti di redenzione quieta e affettuosa. Nick Drnaso racconta attimi di imbarazzo, assurdità e tenerezza insieme (abbracci tra padri e figli, sguardi empatici di una figlia verso la madre).

Sabrina invece inizia come un giallo: nel Colorado una ragazza di nome Sabrina è scomparsa e nessuno è in grado di trovarla. Ma il destino della giovane passa via via in secondo piano di fronte all’incessante flusso di notizie riguardanti la sua sparizione. Il circo mediatico a cui ci ha abituato la cronaca nera fagocita il dramma di una presunta morte, le fake news cannibalizzano i sentimenti della folla e le teorie del complotto si mangiano quello che resta della carcassa di un fatto tragico che è diventato una commodity narrativa.

Come in Beverly, ogni personaggio è incapace di comunicare: il fidanzato di Sabrina, Teddy, fugge da tutto e va a vivere con un amico d’infanzia, Calvin Wrobel, fresco di separazione dalla moglie. La convivenza tra i due è fredda e scomoda, Calvin passa il tempo libero a scandagliare i social network, Teddy non fa che ascoltare le trasmissioni di un complottista diventato famoso per la sua teoria che ogni attentato terroristico sia organizzato dal governo per tenere sotto controllo la nazione. Sandra, sorella di Sabrina, si trova più a suo agio negli eventi pubblici dedicati alla ragazza che tra gli amici intimi.

Beverly e Sabrina sono protagoniste assenti: la prima compare solo nelle ultime pagine, la seconda sparisce appena inizia la storia. Eppure sono centrali a rappresentare gli snodi delle rispettive vicende, le simboleggiano attraverso la loro invisibilità. Nemmeno il lettore può conoscerle, impossibilitato com’è a percepirne la presenza sulle pagine.

Incomunicabilità, il tema portante

L’incapacità comunicativa è un tema che Drnaso ricava dal proprio vissuto, come dimostra la gestazione di Sabrina. Il fumetto affonda le radici nella vita dell’autore, nelle sue paure, percepite da Nick Drnaso come immotivate, verso gli attentati terroristici, e in alcuni episodi autobiografici.

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Mentre lavorava alla storia, Nick Drnaso era tormentato da incubi e ansie e, nel tentativo di ritrovare la serenità, si trasferisce da un amico di lunga data che militava nell’esercito. «Non ha funzionato, quando ho finito il libro sono caduto in una grave depressione. Ho pensato: questo è il vaso di Pandora e non avrei mai dovuto aprirla. Era una sorta di prezzo psichico da pagare».

Termina il libro nei primi mesi del 2017 e decide che non lo pubblicherà. Cerca di andare avanti con la sua vita ma non ci riesce. Esprimere a parole il perché di questa paralisi gli è difficile. Quando ne parla a Vulture, l’intervistatore torna tre volte sull’argomento per fare chiarezza. Tutto ciò che riesce a ricavarne è che Drnaso sentiva troppo vicini a sé i personaggi, stava provando le stesse sensazioni che condannava nella storia. Era uno degli avvoltoi che volava intorno alla carcassa sperando di ricavarci qualche brandello di carne. Provava «una strana sensazione» ad aver creato dei personaggi di cui stava sfruttando le disgrazie. «È strambo, ma è il modo migliore per descriverlo».

In un’altra intervista al Comics Journal riassume dicendo di aver «perso fede nel progetto» e che la presidenza di Trump ha portato così tanta negatività nel mondo da «non voler mettere in circolazione un’altra brutta cosa malvagia».

Poi le cose migliorano. Si sposa con la sua ragazza, riguarda le duecento pagine prodotte nell’arco di tre anni e si arrende alla considerazione di «aver fatto del mio meglio, e basta». Toglie una manciata di tavole che non gli sembrano funzionare, ne aggiunge una trentina, sviluppando il personaggio di Sandra. E, alla fine, del dicembre 2017 consegna l’opera all’editore.

Se un paragone con Chris Ware può essere fatto nella materia del racconto, i due prendono strade diverse quando si passa alla messa su carta: mentre Ware costruisce visioni barocche e monumentali, Nick Drnaso lavora di sottrazione, muove pochissimo il suo sguardo sulla scena e non osa mai con piroette stilistiche. La pagina divisa in vignette regolari, la composizione mai ardita o esuberante mostra quanto il disegno sia soggiogato al racconto: «Se mi preoccupo della storia, ho solo quel pensiero. Se invece mi preoccupo della leggibilità e di tutto il resto, o se mi preoccupo di creare tavole che stiano bene appese al muro diventa troppo».

Non significa che le sue immagini siano sciatte, anzi, Drnaso tende a perdersi nei dettagli. Le curve di bocche e occhi sono importanti, la ricerca di una specifica espressione facciale che renda diverso ogni personaggio per lui è «la lotta quotidiana e allo stesso tempo il divertimento del fare fumetti».

Sta sempre ad almeno un metro di distanza dai suoi personaggi. Gli effetti di questa scelta si avvertono nelle storie: «La distanza che pone tra sé e il racconto sono un modo per salvaguardare l’opera e l’artista» scrive Greg Hunter sul Los Angeles Review of Books. «Uno stile così misurato riduce il rischio di venire percepiti come sentimentali». In quello spazio tra il lettore e i personaggi si inserisce il lettore, il cui grado di empatia definisce l’esperienza finale. «Il lavoro di Nick Drnaso incoraggia i lettori a riconoscere l’interiorità delle altre persone. Ci fermiamo, riflettiamo e inseriamo un po’ di noi stessi.»

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Nick Drnaso tra fama e futuro

Sabrina ha fatto breccia nel cuore della critica perché parla dell’America – e della società − di oggi, e questa sua urgenza lo ha portato alla candidatura al Man Booker Prize. «È difficile parlarne senza sembrare un ingrato» ha detto a proposito della notizia, che il suo editore inglese, Granta, gli aveva comunicato via e-mail. «Ma ho letto la mail e poi sono andato avanti. Il modo in cui mi approccio all’arte ha eroso negli anni qualsiasi sentimento di soddisfazione o entusiasmo che avrei avuto per una cosa del genere.»

Lo dice in senso buono, come si fosse costruito un muro per preservarsi ed evitare che cose del genere non lo influenzino troppo nel profondo. Non che non gli piacciano i complimenti («quando me li fanno a voce è più facile da gestire»), ma gli encomi esagerati, secondo lui, fanno perdere di vista il motivo per cui si è scelto questo lavoro. Lui che il Man Booker Prize non sapeva neanche cosa fosse.

Nel suo futuro, per ora, c’è un altro fumetto come Beverly, fatto di storie breve e tanti personaggi, perché la storia monolitica di Sabrina lo ha sfiancato. Le prime fasi sono il suo momento creativo preferito perché «senti che c’è del potenziale, che puoi trasformarlo in qualcosa. Voglio continuare a vivere quel momento».

Questo momento Nick Drnaso lo vuole vivere nella stessa solitudine che proietta sui suoi personaggi. Dei premi non sa che farsene, ciò che importa è scrivere e disegnare fumetti, sapere che può tornare alla sua scrivania e un foglio da disegno sarà lì ad aspettarlo è un pensiero che lo conforta. Una sensazione che i premi e le interviste non gli possono dare. Tranne il blurb di Zadie Smith. Quello, dice, gli ha fatto molto piacere.

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