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ComicsSaga vol. 9: La fine (per ora)

Saga vol. 9: La fine (per ora)

Per tutte le strutture analogiche, contaminazioni di genere e riflessioni politiche, alla fine Saga è una storia di sesso e violenza. Di eros e thanatos, se prendiamo in prestito due categorie tanto care alla psicoanalisi quanto pervasive nelle grandi narrazioni popolari. E questo nono volume della serie fantasy-fantascientifica di Brian K. Vaughan e Fiona Staples è forse quello più esemplificativo in tal senso. Riprendendo la lezione di tanta serialità fumettistica e televisiva, conclude un ciclo narrativo per mezzo di una prolungata orgia di fluidi corporei e tanto, tanto sangue.

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Ad accentuare l’inevitabile disforia post-coitale contribuisce la scelta degli autori di interrompere la serie per un po’ di tempo. Almeno per un anno, spiega Vaughan nella postfazione del volume: «Ovviamente non è una decisione che abbiamo preso alla leggera, ma Fiona e io sentiamo la responsabilità di creare il fumetto migliore possibile, e ci siamo trovati d’accordo sul fatto che il solo modo di poter terminare la saga epica che abbiamo iniziato fosse quello di prenderci un importante […] intervallo».

La precisa volontà di chiudere il primo tempo di Saga fa sì che questo sia un numero “di trama” più che di approfondimento e introspezione. Le diverse linee narrative convergono sul pianeta Jetsam – il pianeta dei giornalisti ‘anfibi’ già apparsi nei numeri precedenti –, la cui superficie è rappresentata in maniera suggestiva come un parco acquatico/stazione balneare abbandonata.

L’evento precipitante è, come prevedibile, il sopraggiungere della violacea e determinata Ianthe, con tanto di Il Volere al seguito. Ianthe costituisce senza dubbio il personaggio più interessante di queste ultime storie, nella misura in cui assomma in una figura esteticamente assurda e moralmente compromessa gli effetti collaterali delle azioni più o meno eroiche compiute dai protagonisti. Quella disperazione umana che non viene di solito rappresentata nelle storie di guerra, finzionali o meno, perché relegata nelle retrovie. Chi piange i morti ammazzati per una causa più grande.

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Donne, omosessuali, persone transgender, gli ultimi: Saga ha a più riprese dato spazio a categorie subalterne che non hanno storicamente trovato visibilità nel fumetto mainstream e più in generale nella cultura pop statunitense. In questo senso la de-marginalizzazione di Ianthe e il suo passaggio da vittima passiva ad agente attivo rievocano uno dei leitmotiv di tanto fumetto degli anni Ottanta e Novanta, come ad esempio The Invisibles di Grant Morrison: la decostruzione dei presupposti testuali e ideologici che sorreggono l’organizzazione di fatti all’interno di una storia.

In altre parole, la serie espone gli angoli ciechi che permettono la costruzione di una narrazione dotata di inizio, svolgimento e fine e attraverso cui viene dato senso e compiutezza alle azioni di un personaggio eroico.

Quasi fosse un’opera di “historiographic metafiction” – termine coniato da Linda Hutcheon in A Poetics of Postmodernism (1988) – Saga usa la struttura romanzesca e le formule di genere per riflettere sul rapporto tra storia e Storia. Viola convenzioni della narrativa popolare – i protagonisti non muoiono, il bene e il male sono concetti separati – per evidenziare il carattere ideologico della produzione narrativa, e il carattere narrativo della produzione storica. Negata ogni possibilità di chiusura totalizzante, la grande histoire rivela le porosità da cui (ri)affiorano i soggetti marginali esclusi dalle rappresentazioni.

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Come fumetto postmoderno, Saga in ultima istanza problematizza la conoscenza della Storia. Non è un caso che l’opera, e in particolare questo volume, riservi una grande attenzione ai media come produttori e manipolatori di informazioni. Giornali, smartphone, c’è persino un personaggio che è letteralmente un televisore antropomorfo!

Il fumetto come insieme di meccanismi visivi produttori di senso si affolla in maniera ricorsiva di altri meccanismi, elevandosi a bisturi con cui dissezionare la nostra epoca di post-verità e fake news.

Sarebbe perciò perfetto se rimanesse così, concluso a metà, intrappolato in un non-finale. Perché la Storia non termina, non esiste la parola fine, che è una stortura inventata dall’uomo. Ma forse abbiamo il diritto di sperare nella pace tra Landfall e i reietti dell’altro pianeta, o di sapere che la nostra famiglia di profughi spaziali ce l’ha fatta. Che tutta questa violenza è servita a qualcosa. Almeno loro, almeno per questa volta.

Saga vol. 9
di Brian K. Vaughan e Fiona Staples
traduzione di Michele Foschini
Bao Publishing, ottobre 2018
brossurato, 152 pp., colori
14,00 €

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