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Sunday Page: Paolo Castaldi su “Una sorella” di Bastien Vivès

Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica ospitiamo Paolo Castaldi, fumettista, storyboarder e illustratore milanese. Tra i suoi lavori più famosi, quelli realizzati nell’ambito del sodalizio con BeccoGiallo: Etenesh, l’odissea di una migrante, Diego Armando Maradona, Chilometri Zero e Allen Meyer. Sui testi di Boris Battaglia ha disegnato Pugni, storie di boxe, sempre per BeccoGiallo. Le sue opere più recenti sono 365, storia fantascientifica scritta da Lorenzo Palloni, e Zlatan, graphic novel dedicato alla giovinezza di Zlatan Ibrahimovic.

Ho scelto questa doppia pagina tratta da Una sorella, opera di Bastien Vivès che racconta la scoperta del sesso da parte di un ragazzino tredicenne in vacanza coi genitori sull’isola di Moines, in Bretagna. Non volevo tornare troppo indietro nel tempo con la scelta della pagina da analizzare, non perché sia uno di quelli che considerano un fumetto pubblicato cinque o sei anni fa già sorpassato, tutt’altro, ma perché in questo momento del mio percorso sono più concentrato nell’analizzare ciò che i miei colleghi stanno facendo adesso, cosa esce oggi e cosa si leggerà domani.

Una sorella è stata una delle letture più costruttive e interessanti di questi ultimi mesi. Parlo dal punto di vista tecnico, soprattutto. Uno degli aspetti che più mi ha colpito è perfettamente leggibile in questa sequenza: la sintesi del segno e la recitazione dei personaggi. Sono due abilità che caratterizzano il lavoro di BV da sempre ma che su quest’opera hanno raggiunto un livello davvero notevole. Sono anche due mie ossessioni, sui cui sto cercando di lavorare da tempo, con fatica.

Per arrivare a questa sintesi, così fresca, “viva” e perfettamente funzionale alla narrazione occorre liberarsi del peggior nemico che insidia ogni “buon” disegnatore. Il voler dimostrare di essere bravo. Di saper disegnare bene. Nel fumetto, per come lo intendo io (e credo anche Bastien Vivès) equivale ad incatenare l’opera stessa. Solo ammazzando questo terribile nemico si diventa autori di fumetto e si smette di essere degli illustratori. Magari molto dotati, ma pur sempre degli illustratori.

Come mai hai scelto proprio queste due pagine?

Perché si tratta di una sequenza che racchiude in sé tutti gli aspetti che citavo sopra. Notiamo nelle prime vignette di sinistra l’azione che compie la ragazzina, Hélène, (si asciuga i capelli) “sovrapposta” al dialogo, che è l’azione primaria che compiono i due personaggi in campo. Questa scelta dell’autore è utilissima per rendere viva e naturale tutta la scena. Se i due si fossero semplicemente guardati in viso, magari in una posa anonima ed elementare, tutto sarebbe parso al lettore più fermo e ingessato.

Rendere su carta i piccoli gesti quotidiani che ci accompagnano tutti i giorni non è mai facile. Anzi, è un dono per pochi e vedo anche i Grandi del fumetto in difficoltà quando si tratta di recitazione secondaria del personaggio. È proprio un aspetto che viene sottovalutato, mentre per me sarebbe da tenere in grande considerazione.

Se provate a chiedere ad un fumettista di mettere in scena un dialogo tra due tizi in automobile, il personaggio al volante, stimo nel 90% dei casi, verrà raffigurato nella corretta posizione di guida con entrambe le mani sul manubrio, alle “10 e 10”. Colpa del nostro pensiero veloce, dell’istinto e del background visivo che ci porta immediatamente ad immaginare quella determinata posa. Se però ci fermassimo un momento a ragionare, se fossimo tutti ricchi di quella sensibilità recitativa di cui certamente un autore come Vivès è dotato, inizieremmo a visualizzare nella nostra mente una gamma molto più ampia di soluzioni che renderebbero la scena molto più realistica.

Difatti, quando guidiamo un’automobile, non sempre (come si dovrebbe, a onor del vero) teniamo entrambe le mani sul volante. La nostra posizione di guida è influenzata da diversi fattori esterni e interni, se siamo rilassati, stanchi, nervosi. A volte teniamo la mano sul cambio, a volte abbiamo il braccio fuori dal finestrino. Tutto questo mentre stiamo intrattenendo una conversazione con il passeggero (che poi è la narrazione primaria della nostra scena, non dimentichiamocelo).

Questo breve dialogo, senza Hélène che si asciuga i capelli e Antoine chino sul suo foglio, sarebbe molto meno potente. Anche per il ragazzino, Antoine, nella vignetta due della pagina di sinistra, si può fare la stessa considerazione. La narrazione primaria lo vuole semplicemente al lavoro sul suo blocco da disegno ma c’è tutta un’altra recitazione corporale che ci racconta un dialogo non scritto.

Le sue spalle alte e raccolte, così come le gambe rannicchiate e le ginocchia ben strette tra loro, il suo corpo incurvato come volersi chiudere a guscio, il suo viso molto vicino al blocco come a voler oscurare la vista periferica e il campo visivo… Bastien ci racconta il disagio misto all’imbarazzo del personaggio nel trovarsi in una situazione per lui nuova, carica di tensione emotiva. Antoine sta cercando di difendersi, non ha ancora l’adulta sfrontatezza di guardare la ragazza in reggiseno, anche se lo desidererebbe moltissimo.

Durante la lettura il nostro cervello decodifica tutti queste informazioni, se l’autore sarà stato abbastanza bravo nel rappresentarle, esattamente come succede con il linguaggio del corpo nella vita reale. Per questo motivo non vanno mai sottovalutate. Ed ecco che nelle prime vignette un dialogo non scritto, sottotraccia, potrebbe (e uso il condizionale) essere:

Hélène: «Cosa fa? Non mi guarda?»
Antoine: «Se alzo gli occhi penserà che sono un porco, che situazione…»
Hélène: «Mai è scemo? Sono davanti a lui in reggiseno!»
Hélène: «Però è così tenero…»

Questa sensibilità e questa facilità di rappresentazione della realtà, unita ad un segno davvero moderno ed efficace, fanno di BV uno degli autori che più tento di studiare, assieme a Gipi, per citarne un altro che riesce a far muovere i suoi personaggi in maniera pazzesca (ne La terra dei figli il risultato è incredibile).

Quando utilizzo il termine “moderno” per descrivere il segno di Vivès, non lo faccio per citare la solita frase fatta. È che a mio parere possiede proprio tutte le caratteristiche del segno che oggi funziona: lettura immediata, pulita, semplice ma allo stesso tempo elegante, con pochi elementi da decodificare (Perfetto quindi per i social); tempi di lavorazione molto brevi, perfetti per il mercato attuale, di certo non generosissimo per quanto riguarda gli anticipi dei libri e sempre ingordo di pubblicazioni.

Con quest’ultima affermazione non voglio dire che tutti gli aspiranti disegnatori debbano seguire la sua strada. Ammiro moltissimi fumettisti stilisticamente in antitesi, ma reputo che la ricerca della sintesi sia la strada regina da percorrere per ogni autore di fumetto.

Ti ricordi come e quando hai conosciuto le opere di Vivès?

Con Il gusto del cloro, come moltissimi lettori. Visivamente è stato come un gancio destro sulla mascella e quando ho saputo la sua età è arrivato anche il gancio sinistro. Certo, la trama è quella che è (adesso di certo è più maturo come scrittore) e lui ha giocato molto a fare il fighetto, lo si sgama subito, non sempre scorre tutto in maniera naturale, alcuni silenzi sono forzati ma credo non sia sempre necessario raccontare “qualcosa” per raccontare una storia. A volte mi entusiasma vedere il “come” l’autore racconta più che il “cosa” (lo so, molti sceneggiatori staranno inorridendo).

Un giochino che sogno sempre di poter fare è questo: mettere assieme un gruppo di fumettisti che apprezzo e far disegnare ad ognuno di loro una scena di vita banalissima, che so, preparare la moka del caffè. Sono convinto che in un esercizio tanto stupido, autori dotati di quella capacità di mettere in scena il reale che io sto cercando faticosamente di raggiungere, come Vivès e il già citato Gipi, o Paco Roca, per dirtene un altro, riuscirebbero a “raccontare”. E anche una stupidaggine come fare il caffè con la moka diventerebbe una storia.

In generale, di Una sorella cosa pensi?

Mi è piaciuto molto. Nonostante i miei canoni stilistici siano molto diversi, nonostante i miei autori “della vita” siano altri, Una sorella è riuscito a pizzicare alcune corde che negli ultimi mesi erano un po’ dormienti. Ammetto però di averlo letto molto con un sguardo “da addetto ai lavori” e questa è una specifica che mi pare doverosa. La storia mi ha da subito coinvolto sia per l’ambientazione (adoro la Bretagna), sia per la vicenda raccontata.

Blankets è stato un fumetto che mi ha segnato in maniera decisiva e le storie di formazione adolescenziali mi coinvolgono sempre, se ben scritte. I tempi e la regia sono sempre perfetti, così come la scrittura dei dialoghi, molto più grezza, reale, matura e meno banale rispetto ai suoi lavori precedenti. Insomma, un bel salto in avanti.

Nel corpo di opere di Vivès, dove lo collochi? Io la trovo la sua opera migliore. Non sono un fan di Vivès, perché ha quel tono languido, un po’ stucchevole. Così quando ho letto Una sorella sono rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto che, pur mantenendo quell’approccio ellittico al racconto, ci fosse alla base un risveglio sessuale che mi immaginavo saltasse tutte le parti corporali e umorali per mantenere uno stile etereo e che invece fa di quelle scene carnali il suo baricentro.

Il suo miglior lavoro, concordo. Si è scrollato di dosso alcune “pose” che lo tenevano prigioniero nei primi anni della sua carriera. (Che però già non vedevo più in Last Man). Ora mi sembra che sappia cosa vuole per sé e per il suo fumetto. È, a mio parere, in quello stato di grazia, dove finalmente non disegni pensando ai giudizi di chi leggerà il libro, a come verrà preso dai tuoi lettori abituali. È una specie di nirvana a cui ogni autore dovrebbe aspirare. Anche solo per la durata di un’opera.

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