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Mondi POPCinema"Aquaman", grandi effetti speciali per una storia non irresistibile

“Aquaman”, grandi effetti speciali per una storia non irresistibile

Questa recensione non è una delle mie migliori recensioni. Ma dopotutto anche questo film non è il loro migliore film, quindi penso che fin qui ce la giochiamo alla pari. Ho scritto recensioni migliori e gli attori, sceneggiatori e regista, beh, alcuni di loro hanno fatto film migliori.

Però va detto. Aquaman è una pellicola nobilitata dagli effetti speciali, ben recitata ma assolutamente implausibile dal punto di vista della narrazione. Storia in cattivo equilibrio tra i toni cupi dell’universo DC e quelli più scanzonati dell’universo Marvel, è un susseguirsi di scene di azione quasi prive di senso, ma trasformate in una allucinazione a 8K dalla tonnellata di effetti speciali e computer graphic che rendono questo film quasi impossibile da posizionare. E meno male che non l’ho visto in 3D.

Ci sono attori che ringiovaniscono e invecchiano a comando, fisici esplosi di muscoli che sembrano quasi prensili da quanto sporgono, combattimenti e vere e proprie carneficine pirotecniche, mazzate e giri di camera, battaglie che devastano le profondità dell’oceano come le coste del Maine o la Sicilia, inopinatamente diventata punto di passaggio tra mari che con il Mediterraneo hanno veramente molto poco a che spartire.

Insomma, una enorme festa per gli occhi. E io non posso che invocare una moratoria per i droni e le steady cam: proviamo a fare un film senza piani sequenza da funghetto allucinogeno e rotazioni degli assi visivi da delirium tremens?

Torniamo al nostro film. Dentro Aquaman, quasi senza una ragione, ci sono tante altre cose, compreso Dragon Trainer e Pinocchio. Ci arriviamo tra un attimo. Prima è necessario però prendere le coordinate tecniche di questo lavoro e posizionarlo per bene, se non altro per dare una vaga ombra alle migliaia di persone che hanno speso tra i due e i tre anni della loro vita a lavorare a queste due ore della storia di un personaggio che “È più di un re. È un vero eroe” (almeno, così dice il liner del poster).

Il primo seme del film dedicato ad Aquaman predata l’attuale ciclo di pellicole ispirate ai supereroi della DC. Si deve tornare infatti indietro fino al 2004 per scoprire che Warner Bros. stava progettando un film sul re dei mari. Idea poi sospesa e ripresa nel 2009 dalla compagnia di produzione di Leonardo DiCaprio, e di nuovo messa in pista nel pacchetto di film dedicati a Batman, Superman, Wonder Woman e la Justice League. Dopo una singolare prima partenza nel 2014, con due soggetti sviluppati in parallelo (per vedere quale fosse il migliore) è dalla fine del 2015 che sono iniziati seriamente i lavori per il film, inserito a pieno titolo nella nuova continuity del DC Expanded Universe e che si sviluppa dopo gli eventi del film Justice League.

Dal punto di vista cinematografico, ci sono ovviamente Jason Momoa nel ruolo di Arthur-Aquaman, Amber Heard come principessa Mera e fidanzata del fratellastro di Aquaman, Orm, interpretato da Patrick Wilson. Ci sono poi Willem Dafoe nel ruolo del consigliere di Orm, Nuidis Vulko, Dolph Lundgren che recita il ruolo di Nereus (padre di Mera), Yahya Abdul-Mateen II come il pirata cattivo Jesse Kane (alias Black Manta) e Nicole Kidman nella parte di Atlanna, madre di Arthur-Aquaman.

Per la produzione, invece, i crediti sono quelli del regista malese-australiano James Wan, specializzato in film d’azione (Saw, Furious 7), e gli sceneggiatori David Leslie Johnson-McGoldrick (The Walking Dead, Wrath of the Titans, The Conjuring 2-3) e Will Beall (ex detective della polizia di Los Angeles che ha scritto Gangster Squad e la serie tv Training Day). Montaggio, fotografia, effetti speciali di vario genere, sono affidati a un esercito di professionisti da premio Oscar o più.

Ok, dati i credits a chi li merita e li detiene, facciamo un passo indietro. Da anni, recensendo film o raccontando agli studenti di qualche corso come si struttura un racconto, mi capita di riprendere in mano il viaggio dell’eroe nella versione hollywoodiana di Christopher Vogler. Aquaman, che “è più di un re, è un vero e proprio eroe”, è il personaggio perfetto per questo sguardo.

aquaman recensione

Lo sceneggiatore Vogler – ha lavorato per tutti i big, inclusa Disney – si ispira al lavoro dello storico delle religioni Joseph Campbell, e dal suo L’eroe dai mille volti e tira giù un famosissimo bigino sul potere del mito a uso degli scrittori di storie per il cinema e non solo, che riassume le tappe che devono essere seguite da una storia. Sono le tappe di un racconto che smuove qualcosa in tutti gli esseri umani, a qualsiasi latitudine e in qualunque epoca. È la ricetta perfetta per uno sceneggiatore ambizioso. Tra i sette personaggi principali e le tre parti del viaggio, c’è l’arco narrativo della storia che detta la sua stessa struttura: la partenza (salita), l’iniziazione (discesa) e il ritorno. Nel mezzo, a un certo punto, c’è l’attimo di passaggio, lo snodo fondamentale.

È il ventre della balena: dalla Bibbia a Pinocchio, un passaggio che ha un doppio significato. Può essere il momento in cui l’eroe è inghiottito e viene trascinato a fondo, per sperimentare un viaggio nel mare della notte e nell’incubo dell’anima, oppure può essere un momento di rigenerazione perché la balena rappresenta l’energia dell’inconscio, la sua forza vitale. Sia quel che sia, Aquaman nella pancia della balena ovviamente ci va e anche letteralmente. È il momento di cambiamento di passo, quello in cui il futuro re diventa eroe e, nonostante tutto, accetta il suo ruolo. Ma è anche il momento in cui le intenzioni dell’autore (o degli autori) della storia emergono: struttura vincente e non racconto. Una polizza di assicurazione contro il fallimento: le storie raccontate secondo il manuale che per consenso è lo standard universale del settore, sono storie che non possono essere rinfacciate allo sceneggiatore. Se il film toppa, sarà colpa del regista, degli attori o del marketing, ma certo non della sceneggiatura. E invece no. La storia è un’altra cosa.

Sì perché in tutte le storie il risultato è superiore al mix degli ingredienti. È così in Ritorno al futuro, in Guerre Stellari, nello Squalo e in una decina di altri film che hanno stabilito il canone del viaggio dell’eroe come ricetta unica, ma quasi mai compresa, della narrazione per immagini. Una ricetta che nei decenni ha forzato la mano a tantissimi autori, convinti a seguire pedissequamente un insieme di incastri per dare profondità a storie che invece avrebbero bisogno di essere migliori proprio come storie, prima che struttura.

Un esempio. La povera madre di Aquaman, interpretata da Nicole Kidman, si sobbarca molta responsabilità in questo film. Gira poche scene, ma il motore quasi immobile di tutto il film è proprio lei. I conflitti nascono dalla sua presenza e dalla sua assenza. Le motivazioni dei personaggi del film, il trauma che spinge alla volontà di potenza e di dominazione da un lato e dal desiderio di scomparire perché vittima del proprio senso di colpa dall’altro, sono tutti originati nella buona vecchia madre. E anche il rapporto con il padre, che poi è simmetrico nella famiglia dei buoni come in quella dei cattivi pirati (dopotutto lo stesso Vogler consiglia ai giovani autori in erba di ripercorrere la storia anche dal punto di vista dell’ombra, il cattivo che – dal suo punto di vista – è impegnato in un suo viaggio: e gli sceneggiatori di Aquaman pedissequamente eseguono) dipende ed è determinato dalla figura della madre.

Il film si salva? Forse una battuta (saltando da un aereo senza paracadute, al perplesso pilota: «Le rosse. Bisogna amarle»). Per il resto, quando non c’è la meccanicità della storia, c’è un potente senso di deja-vu (dovuto alla popolarità del viaggio dell’eroe e a quanto poco è stato capito). Pensiamo a Dragon Trainer 2, ai Power Rangers (più che altro per i costumi e i combattimenti in maschera e calzamaglia), Alla ricerca di Nemo, ai primi due Indiana Jones e a un milione di altri film un po’ tutti uguali. La stessa capacità fisica degli attori, la loro recitazione somatica, è stata ampiamente ricostruita e ridisegnata con la computer grafica.

Il film è un clamoroso kolossal muscolare e pieno di professionalità che scoppiano energia e voglia di fare, condotto per mano come il sogno di un adolescente un po’ nerd, tra un Momoa tatuato alla grande e un bacio sospeso con tanto di scoppi di bombe e meduse e altri oggetti marini colorati, che fa tanto fumetto giapponese.

La vera forza visiva di questo film, anche se diventa presto ripetitiva, è nei panorami sottomarini di Atlantide, che sono spaventosamente belli, e delle battaglie. O nelle sequenze di combattimento corpo a corpo. Giocate in spazi stretti, veri e propri rebus ed esercizi di combinatoria della meccanica di arti e cartilagini, tendini e ossa.

Non voglio fare spoiler. E come vi dicevo, questa non è la mia migliore recensione, di sicuro. Ma del resto, neanche il film è il loro migliore film. Quindi, penso, in qualche modo siamo pari.

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