Creare per capire se stessi: Intervista a Paco Roca

A vederlo dal vivo, la prima cosa che ti colpisce di Paco Roca sono gli occhi, espressivi e cerulei. E poi l’appassionata gentilezza con cui parla delle sue storie e del suo lavoro. Soprattutto, di come utilizza il fumetto come strumento di (auto)conoscenza e connessione emotiva, in bilico tra impulso ermeneutico e finalità empatiche.

Ormai un habitué della manifestazione toscana, l’autore spagnolo è tornato a Lucca Comics & Games 2018 per presentare Il bivio (pubblicato da Tunué), suo ultimo graphic novel che descrive il sodalizio personale e artistico con José Manuel Casañ, fondatore del gruppo punk rock/ska/folk spagnolo Seguridad Social.

Il volume è stato lanciato anche attraverso una performance ibrida, domenica 4 novembre, che ha visto la band e l’artista condividere il palco in un emozionante concerto/live painting. Pochi minuti prima del live, abbiamo raggiunto Paco Roca per fargli qualche domanda sul suo ultimo libro e sulla sua carriera.

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Puoi raccontarci com’è nato Il bivio?

Il bivio nasce, come tutti i miei libri, dall’esigenza di comprendere quello che mi interessa. Nel caso di Rughe era la vecchiaia, nel caso de I solchi del destino era una parte della storia spagnola. Per Il bivio, ho voluto comprendere la musica, che per me è una cosa molto importante. Mi piace, lavoro spesso con della musica in sottofondo, ma ne conosco poco la storia e le dinamiche. E in questo tentativo di capire la musica, ho avuto l’occasione di scoprire anche qualcosa di me.

Il lavoro del fumettista è spesso solitario. Com’è stato nel tuo caso collaborare con un musicista?

È stato molto interessante perché normalmente lavoro, per l’appunto, da solo. Sono una persona che ha molti dubbi, tutto il tempo. In questo caso ho avuto la possibilità di condividere questi dubbi con un’altra persona, ossia José Manuel Casañ dei Seguridad Social.

Io credo la collaborazione con altre discipline, la musica nel mio caso, possa apportare molto all’attività creativa del fumettista. Permette di alzare la testa dalla pagina, dal tavolo da disegno, e di guardare cosa c’è nel mondo.

È una delle qualità del fumetto, che è un medium ibrido e non ha problemi a mescolarsi con altri, cosa che la letteratura non riesce a fare altrettanto facilmente. La letteratura tende a essere più autoreferenziale e a rivendicare una forte specificità esclusiva, mentre il fumetto ha un’innata propensione alla commistione mediale e di genere.

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Ne Il bivio, mi hanno colpito molto gli inserti che raccontano frammenti di storia musicale attraverso l’allusione stilistica ad alcune correnti o persino artisti specifici, come ad esempio Heinz Edelmann e Moebius. Vuoi raccontarci come hai composto gli abbinamenti?

Di solito, almeno per quanto riguarda la Spagna, l’incontro tra musica e fumetto vede la prima in una posizione dominante, e il fumetto in un ruolo di supporto, quasi subalterno. Io e José Manuel volevamo evitare questo. Abbiamo cercato di unire i due mondi su un piano paritetico, e abbinare il racconto a fumetti alle tracce musicali senza strutture gerarchiche.

L’idea di José Manuel era quella di passare in rassegna i vari generi musicali, e di esplorarne le influenze storiche. Io ho mantenuto un approccio simile con i racconti relativi alle tracce dell’album. Ho voluto ripercorrere la storia della musica attraverso la storia del fumetto, impiegando uno stile che si adattasse a ciascuna canzone, periodo e genere. La corrispondenza non è sempre perfetta, ma spero di essere stato in grado di ricreare i vari momenti storici.

Un’altra cosa che mi ha colpito de Il bivio è la presenza di numerosi momenti che non sono strettamente necessari allo svolgimento della storia. Ad esempio, quando Paco e José prendono un bicchiere d’acqua. Ed è una cosa che si ritrova in tanti tuoi graphic novel. Vuoi parlarci di questa tua scelta narrativa?

Per realizzare quest’opera ho avuto dei modelli di riferimento non-fictional. Ho concepito Il Bivio non come un romanzo, con personaggi, svolgimento e tutto il resto, ma come se fosse un’opera documentaristica o un reportage, in cui il dialogo riveste un ruolo centrale. È come se il lettore fosse stato lì con me e José.

Non ci sono tecniche narrative di taglio cinematografico, ne Il bivio. Non ci trovi piano-contropiano o panoramiche dall’alto. Ho voluto essere il più naturalistico e documentaristico possibile, e nella maggior parte del fumetto in scena ci siamo solo io e José Manuel. La telecamera è fissa, come se fosse il punto di vista di uno spettatore presente nella stanza con noi.

Per rendere più movimentati i dialoghi, che di norma appesantiscono la narrazione sequenziale, ho inserito delle metafore visive che traducono in immagini concetti astratti o emozioni. È una tecnica che ho usato anche in Memorie di un uomo in pigiama. Una delle migliori qualità del fumetto è la facilità con cui si riesce passare in ogni momento dal realistico al simbolico. E usare piccoli inserti metaforici per movimentare la narrazione.

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Il bivio è forse una delle tue opere più autobiografice, anche se l’impulso alla narrazione del sé è presente in tante altre tue opere. Cosa rappresenta per te l’autobiografismo?

È un aspetto piuttosto importante. Io credo che tutti gli autori creino con il desiderio di comprendere un po’ più loro stessi. Capire perché si fanno determinate cose, si provano determinati sentimenti.

Se riesco a comprendere qualcosa di me stesso, posso aiutare gli altri a fare altrettanto. Questo accade quando racconto cose che possono risuonare con l’esperienza di vita dei miei lettori, che possono aver vissuto situazioni simili e provato le stesse emozioni. Le storie personali diventano, a conti fatti, le più universali. È successo ad esempio per La casa, una vicenda molto intima che trae spunto dal rapporto con mio padre e dalla sua morte. È una cosa che, purtroppo, prima o poi provano tutti.

In diverse tue opere, ad esempio La casa Rughe, affronti argomenti molto delicati e difficili come la malattia, la morte, la solitudine. Come ti approcci a questo tipo di tematiche?

Nel caso di Rughe ho tratto spunto dalla mia esperienza biografica. Mio papà si trovava infatti in una condizione simile a quella dei protagonisti. Ho cercato quindi di comprendere il mio stato d’animo e quello di mio padre, e di riversare questa empatia all’interno della storia.

Bisogna essere sinceri, quando si compone una storia. Senza pudore né vergogna. Quando scrivo utilizzo una sorta di metodo Stanislavskij, mi immedesimo nei miei personaggi e trasmetto loro le mie emozioni.

Invece, per quanto riguarda le tue opere di carattere più storico, come scegli il periodo da andare a raccontare? Cosa ti interessa esplorare?

Come dicevo, i miei fumetti costituiscono sempre un tentativo di comprensione del sé. E la narrazione storiografica mi è utile a capire il ruolo dell’individuo all’interno del contesto sociale, in un dato momento storico. Ad esempio, ne I solchi del destino ho preso in esame la Guerra Civile Spagnola per analizzare il passato fascista della Spagna, e della vita sotto quel regime.

Cerco di affrontare la questione storica senza preconcetti e soprattutto senza intento didascalico. Non voglio scrivere un pamphlet né presentare le mie idee come verità. È più interessante quando partire dal dubbio, e invogliare il lettore alla riflessione senza avere una meta precisa cui deve necessariamente arrivare.

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Anche ne Il bivio è presente una disamina storica del Franchismo e delle conseguenze sulla cultura popolare spagnola.

Esatto. La Spagna ha per molti versi un passato peculiare. Dopo l’apertura all’esterno del 1978 [anno della Costituzione Spagnola che ha completato la transizione democratica] sono arrivati in Spagna, tutti insieme, tanti elementi di cultura popolare che non avevamo mai visto né sentito. È arrivato il fumetto underground americano, con Crumb e Shelton, è arrivato Richard Corben, il punk coi Sex Pistols. Il ‘78 è stata una grande esplosione di libertà e creatività, in cui espressioni artistiche differenti si sono ibridate e influenzate a vicenda.

Gli anni ’80 sono stati caratterizzati da una grande voglia contaminazione e dialogo. Pensiamo per esempio ad Almodovar, che è passato dal fumetto al cinema, e ha tratto il suo primo lungometraggio proprio da una sua strip. Come racconto ne Il Bivio, questa sinergia collaborativa tra media differenti è andata un po’ persa negli anni successivi.

Puoi dirci qualcosa dei tuoi prossimi progetti?

Il mio prossimo fumetto si chiama El tesoro del Cisne Negro [“Il tesoro del Cigno Nero”] ed esce in Spagna il 29 novembre. Si tratta di una storia vera e racconta il ritrovamento, nel 2007, di un tesoro all’interno del relitto di un galeone spagnolo. È il più grande tesoro mai recuperato sul fondo del mare, ed è stato subito portato negli Stati Uniti. Dopo una disputa legale durata anni, la Spagna è riuscita a rientrarne in possesso. È una storia di avventura e intrigo politico.