
Nella rubrica ‘BBB Consiglia’, ogni mese, il festival bolognese BilBOlbul seleziona un’opera a fumetti di particolare valore e interesse, offrendo una lista di buone ragioni per leggerlo. Questo mese parliamo di Come un brivido, graphic novel di Aniss El Hamouri pubblicato da 001 Edizioni.

Renata è una scrittrice, ha quasi finito il suo libro, e vive una vita che le sta stretta, circondata da persone che sembrano non capire (o non capirla). Ha anche una strana abilità, come un brivido che la avverte in caso di pericolo imminente.
Ma tutto sta per precipitare. Renata perde il computer con dentro l’unica copia del suo libro e questo la spinge oltre il bordo, giù per una spirale che la allontanerà dalla vita medio borghese cui è abituata, sempre più a fondo in un mondo privo di convenzioni dove tutto è più forte, più vicino, più vero.
Corvo e Beluga saranno la sua famiglia in una nuova vita fatta di risse, birrette del discount e proclami sul senso dell’esistenza gridati dal cavalcavia alle auto che sfrecciano sotto la pioggia.
Tutta la tensione, la violenza e il rancore, così a lungo tenuti nel profondo di se stessa, dove la società può ignorarli, escono con veemenza, e per un breve istante tutto sembra riacquistare significato.
1 | Un realismo epico
Aniss El Hamouri mostra quanto sottile sia la linea che separa la marginalità dalla vita borghese e nutre il suo libro dell’ambiguità tra fuga e liberazione, tra la caduta nell’abiezione e l’ascesa verso una profonda coscienza di sé, tra la rivolta contro le convenzioni sociali e un egocentrismo che sostanzialmente le rispecchia. Come un brivido racconta la fragilità – quella di Renata come quelle di Corvo e Beluga, che affrontano il mondo protetti dalla propria auto-mitizzazione –, ma innervandola di energia, di una complicata, contorta, vitale disponibilità al cambiamento.
Il realismo psicologico di El Hamouri è attento alla resa dell’orizzonte sociale, spietato nel rendere visibile il lato oscuro dei suoi personaggi così come la claustrofobia delle paure, delle attese e delle regole della civiltà. Nondimeno, sulla realtà “bassa” che viene descritta, soffia un respiro epico. E se il segno definisce un mondo instabile – come sul punto di accartocciarsi su di sé a ogni spasmo di chi lo attraversa –, sono la messa in pagina, l’incedere della sequenza e il taglio delle immagini a caricare la storia di una sorta di vitalismo, di un’esaltazione che, per un attimo, può trasfigurare le cose. Nel panorama attuale, largamente diviso tra disincanto e stanca ripetizione di formule, Come un brivido è un raro fumetto d’avventura – vera perché fondata sul rischio.

2| Un segno nervoso
Per quanto sia al suo primo lavoro lungo, Aniss El Hamouri possiede già un segno grafico maturo e molto personale: una linea nervosa, frastagliata e sottile, che sembra attecchire e svilupparsi sulla carta in presa diretta, senza aver bisogno di matite e studi preliminari. Il segno contagia tutto, dai contorni delle vignette al lettering, passando per i tratteggi e la bicromia, dando l’idea, anche a una primissima occhiata, di un’opera compatta e consapevole.
Ma sarebbe limitante fermarsi alla fenomenologia della linea, perché El Hamouri è un vero “storyteller”: i personaggi si muovono e si agitano, provano emozioni, vivono sulla carta, con uno stile a cavallo tra realismo e deformazione cartoonesca, e la regia, sempre molto attenta e consapevole, alterna inquadrature strette e campi lunghi, pieni e vuoti, creando arditi climax o al contrario dilatando il tempo per far depositare nel lettore i sentimenti espressi da Renata, Corvo e Beluga.
3| Verità e bellezza prima di tutto
Nella sua parabola discendente (o ascendente?), la protagonista di Come un brivido scivola fuori dalla normalità spiraleggiando nell’universo underground, nel senso più puro del termine, di Corvo e Beluga. Da aspirante scrittrice, pur in crisi, Renata si ritroverà a lasciarsi alle spalle un mondo e delle frequentazioni medio borghesi per vivere un’esistenza fatta di palazzi abbandonati, sbronze colossali, teste rasate, risse e dichiarazioni d’intenti gridate dal cavalcavia alle macchine che sfrecciano sotto la pioggia. E c’è come un senso di purezza grezza nel fascino un po’ punk delle esistenze ai margini che non devono rendere conto a nessuno, nell’abbandono dei costrutti sociali, addirittura nell’annullamento della persona per far nascere un nuovo io – più libero? Più vero? Semplicemente diverso?
Come un brivido è permeato da una genuina bellezza – che vorrebbe forse la B maiuscola, essendo più ideale filosofico verso cui tendere che riduttivo senso di piacevolezza – che si fa forza dello stile del suo autore, in un rimando continuo tra esperienza estetica del lettore ed esperienza estetica dei personaggi che trascende qualsiasi distinzione forma-contenuto. I disegni rifuggono qualsiasi abbellimento manierista e anzi escono dalla pagina graffianti, diretti, sporchi, mai mediati. I testi vivono a volte della forza delle sfuriate urlate con i pugni al cielo mentre altrove toccano una sacralità quasi lirica, eppure sembrano detti da persone vere, senza una punta di artificiosità.

4| Saper usare le parole giuste
Le parole in Come un brivido sono una presenza costante e tangibile sulla pagina. Che siano usate come ostacolo, elemento grafico o veicolo d’informazioni, il lettore deve scontrarsi con loro. Ed è notevole l’abilità dell’autore di mischiare e tenere insieme tanti registri diversi: si passa in poche vignette dal linguaggio “sporco” della strada, ostentatamente eccessivo e violento, a slanci poetici un po’ impacciati (“Lo senti questo clamore sordo? È il mio sangue che scorre nelle vene di migliaia di sconosciuti”); da scambi fulminanti a momenti in cui le parole si inceppano; dalle battute che sembrano uscite da un film di gangster a un linguaggio macchinoso da comizietto politico, tutto senza perdere ritmo né credibilità.
Conversazioni insulse che fanno da sfondo sonoro a tante scene e che invadono le vignette, proclami urlati sopra il rumore del traffico, insulti razzisti, profonde riflessioni filosofiche: tutti i dialoghi del libro mettono di fronte alla natura ibrida e imprendibile dei personaggi, al caos che li perseguita e che loro stessi contribuiscono a creare.
5| Una protagonista vera
Chiunque sappia cosa vuol dire essere donna e arrabbiata stenterà a credere che il personaggio di Renata sia uscito dalla penna di un uomo. Renata rimbalza continuamente dal senso di inadeguatezza alla rabbia, dal desiderio di sparire alla smania di rivalsa, in un modo che definire credibile è quasi riduttivo. Il tutto senza ostentazione: non si ha mai l’impressione che l’autore abbia scelto una protagonista femminile per dimostrare qualcosa.
Nella sua parabola sfrenata, da ragazza timida che a malapena riesce a farsi ascoltare dai propri familiari a teppista che stende i nemici a colpi di spranga, non c’è niente di “empowering”. Solo un progressivo abbandono a una rabbia covata per troppo tempo, che si manifesta in un’esplosione di violenza fisica proprio quando a Renata vengono tolte – letteralmente – le parole, e che si esaurisce con il loro ritrovamento, sotto forma del pc portatile che contiene il suo manoscritto. Eppure questa regressione a uno stato quasi primitivo, animale (Renata ha l’abilità di avvertire il pericolo e reagisce d’istinto) ha qualcosa di profondamente liberatorio.
