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FocusProfiliLa fantascienza africana di Juni Ba

La fantascienza africana di Juni Ba

Di Elisa Pierandrei

Disegnare un fumetto è piuttosto impegnativo. Specialmente se devi creare un intero universo basato su una estetica e su concetti che raramente (se non mai) vedi rappresentati nel tuo mondo con questo medium. Lo sa bene il fumettista senegalese Juni Ba.

Classe 1992, Juni Ba ha un account Instagram che non ti aspetti. È di origine senegalese, ma vive a Montpellier, in Francia, dove ha studiato all’IPESAA (Ecole d’Arts Appliqués à Montpellier). Qui si è diplomato con un progetto ispirato alla cultura africana, dal titolo Ndaw and Monkey Meat, una storia brevissima ambientata in un mondo di fantascienza, tecnologia, e magia dal Continente nero che sembra più una leggenda del Signore degli anelli che un episodio di Black Panther.

Pare che Juni Ba non dorma molto, ma accumula progetti. Crea universi immaginativi agglutinanti in cui perdersi dentro… per poi ritrovare se stesso. È aperto a diversi tipi di collaborazione, e al momento lavora per una azienda di videogame. Abbiamo parlato con lui del suo impegno come fumettista e illustratore.

Da Kayin and Abeni

Innanzitutto, raccontaci che cosa ti ha spinto a diventare un fumettista e dicci se hai un autore di riferimento.

Di solito do la colpa ai cartoni animati. Sono cresciuto guardando contenuti animati dal Giappone, dalla Francia e dall’America, e lo stesso vale per i fumetti. Ma il momento illuminante è stato quando ho guardato una presentazione di Sonic CD – si trattava di un videoclip di questo personaggio che corre e salta. Ha assunto la forma di una ossessione, non solo di creare storie come quella, ma proprio dei fumetti, nel loro complesso. Quindi, ho iniziato lentamente a creare contenuti miei.

La Afro-Space Adventures di Kayin e Abeni è una delle tue primissime storie a fumetti. Tra guerra e affari sporchi, i due cugini Kayin Afolayan e Abeni Odulowe cercano di vendicarsi dei pirati che hanno ucciso il loro clan. Già dalle prime pagine, a colpirmi è stata soprattutto l’estetica delle illustrazioni, così marcatamente africana che non hai bisogno di conoscere bene questa cultura per capirlo. Come ci sei riuscito?

Non l’ho fatto apposta, ma penso di aver prodotto un’estetica ispirata a ciò che mi ha spinto a lavorare a una science-fiction ambientata in Africa. Avevo circa 20 anni quando, visitando una galleria d’arte di Dakar piena di statue e altre opere d’arte, tutte provenienti dall’Africa occidentale, iniziai a riflettere: «Si trattava di opere stupende, oggetti che mi hanno accompagnato nella vita, ma che non ho mai visto rappresentati in nessuno dei media che consumo – fatta eccezione per il film d’animazione Kirikou». Così ho pensato che, se non vedevo niente di simile, allora avrei dovuto crearlo io. In realtà, lavorare a questa idea mi ha aperto le porte a prodotti culturali sino al quel momento trascurati, come i libri di Chimamanda Ngozi Adichie o i film di Ousmane Sembene.

Da Kayin and Abeni

Dicci qualcosa di più sui personaggi di Kayin e Abeni, come sono nati?

Si tratta di una idea originale di Keenan Kornegay, un giovane autore statunitense che mi contattò nel 2016 per illustrare una sua storia. Mi ha trovato grazie ad alcuni progetti che avevo realizzato ai tempi della scuola – uno l’ho riutilizzato per l’ultima edizione di Inktober. Ma abbiamo lavorato insieme solo al primo capitolo della serie che è composta di tre brevi episodi. Ora sto lavorando ad una storia che mescola elementi fantasy e di sci-fi piena di elementi tipici della cultura africana, basata sulla mia esperienza personale. Ma non posso dire di più perché deve restare un segreto!

Sei di nuovo tu a firmare la copertina dell’edizione cosiddetta “raki”, quella per lettori maturi, di Kugali, una raccolta periodica dedicata al fumetto dall’Africa, di cui a dicembre è uscito il secondo volume. Come hai iniziato questa collaborazione?

Internet è un posto meraviglioso! Li ho semplicemente trovati su Facebook, poi ho chiesto di entrare nella loro community e così abbiamo iniziato a lavorare insieme. Trovare nuove persone e sviluppare idee… di questi tempi è incredibilmente semplice. Soprattutto con i giovani, che vogliono fare rete.

La tua teoria sull’uso dei colori nel fumetto africano, se ce n’è una.

Non parlerei, necessariamente, di “fumetto africano”. L’aggettivo “africano” si riferisce a una tale varietà di cose. Ogni persona africana è un tipo diverso di africano. Mi preoccupo dell’uso dei colori quando ho già la storia in mente. Nel caso di Kayin e Abeni, ho scelto un colorismo netto, a volte eccessivamente saturo. Ho fatto un uso abbondante del rosso, del giallo, e del verde – i colori della bandiera senegalese – per provare a creare un mio linguaggio. Il rosso è per l’azione, e un senso di ansia e pericolo, per esempio.

Da Badawi

Di recente, è uscito anche Badawi (illustrazioni Juni Ba, sceneggiatura Olivier Thiébaut, Alter Comics, 2018, pagg. 220), un fumetto basato sulla storia vera di Mohed Altrad. Originario di una tribù nomade della Siria, oggi è uno degli uomini più ricchi di Francia, e patron della squadra di calcio del Montpellier. Come è stato dare il volto al protagonista di questo libro?

Lavorare su un testo scritto da qualcun altro, specialmente se si tratta di un personaggio di rilievo, è stato più stressante del previsto. Soprattutto perché, di solito, non sono molto bravo a disegnare storie “realistiche”. Tendo a creare immagini fantastiche, per cui mi fa impazzire. Ma dopo aver individuato uno stile appropriato, e aver deciso di usare simboli surreali per trasmettere emozioni e una ripresa poetica, sono riuscito a dedicarmi con più passione a questo progetto. Il libro di Altrad offre emozioni crude, riporta una visione molto poetica del deserto, e racconta anche bene il passato del suo protagonista e il suo percorso di vita. Ecco, è questo che ho voluto esprimere bene.

Stranamente, il personaggio principale è stata la prima cosa che mi sono messo a disegnare. Con uno schizzo, l’ho inchiodato subito. Normalmente, è più facile se si tratta di un personaggio che ha tratti forti a cui attingere.

Un’altra difficoltà è stato trovare riferimenti visivi. Quando si disegnano luoghi reali e personaggi realistici, è importante provare e farlo bene. Trovare questi riferimenti non è stato facile – la maggior parte dei contenuti disponibili sulla Siria riguarda la guerra, e le immagini mostrano soprattutto rovine. Per un po’ credo di essermi trasformato in un archeologo. Esaminavo libri e siti web in arabo, cercando immagini che si riferivano allo stesso anno in cui le vicende avevano luogo.

Leggi anche:
L’immersione nella cultura libanese in “Antoine” di Mazen Kerbaj
Le notti brave di Beirut nel fumetto di Tracy Chahwan

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