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Sunday Page: Lorenzo Pastrovicchio su “Silver Surfer: Parabola” di Moebius e Stan Lee

Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica è ospite Lorenzo Pastrovicchio, disegnatore triestino tra i più prolifici del panorama nostrano. Classe 1971, Pastrovicchio è uno dei nomi più importanti del fumetto Disney italiano. Fin dagli anni Novanta, è una presenza fissa nel mondo Disney, disegnando materiale relativo al merchandising (illustrazioni per puzzle, abbigliamento, pubblicità) e fumetti. Ha firmato storie e copertine di Topolino, Giovani Marmotte, Minni & Co e PKNA – Paperinik New Adventures. Di quest’ultimo personaggio ha curato anche il ritorno sulle pagine del settimanale Disney.

moebius silver surfer

Come mai hai scelto questa tavola tratta da Silver Surfer: Parabola?

Si tratta della tavola perfetta per quanto mi riguarda. Intanto i personaggi, il surfista d’argento e Galactus sono da sempre tra i miei preferiti insieme ai Fantastici Quattro. Sarà per le storie cosmiche sarà per la profondità dei loro caratteri. Impazzivo per come li avevano caratterizzati graficamente Jack Kirby e John Buscema (e mi piacevano anche i dialoghi poetici di Stan Lee!), ma questa interpretazione così energica, elegante e unica (nel senso proprio dell’evento) mi sconvolse completamente. La vidi e la lessi la prima volta sulla rivista Comic Art, con un formato che meritava.

Tutta la storia è permeata di magia, ma quella tavola dove il Surfer si dona, si sacrifica e poi rinasce dalle mani di Galactus è incredibile… La scansione della tavola la recitazione dei personaggi il tratto a china e persino il colore dato con gusto – cosa purtroppo persa nell’ultima ristampa Panini (non per causa loro), dovuta ad una moderna ricolorazione che mancava di quella delicatezza che per il genere di disegno e storia ci stava. Ecco da questa storia ho capito come mi sarebbe piaciuto raccontare il fumetto…

C’è una lezione, da autore, che hai imparato da Moebius e che utilizzi ancora nel tuo lavoro?

Lui era un maestro sotto tanti punti di vista, ma quello che ho cercato di cogliere da lui è stato il suo modo di comporre la tavola, la regia che usava, così rassicurante per il lettore, narrativamente impeccabile, comprensibile visivamente anche nelle storie più assurde, ma sempre ricca di dettagli. Questo, credo, ha fatto in modo che il suo fosse un modo di fare fumetto molto ricercato ma anche molto popolare, nel vero senso della parola!

Cosa intendi con “rassicurante”?

Rassicurante per il lettore, nel senso che noi disegnatori a volte appaghiamo il nostro ego nella ricercatezza di un grafismo particolare, oppure ci si inerpica in “effetti speciali” con inquadrature eccessive. Lui invece aveva il totale controllo, la giusta misura (acquisita sicuramente in anni di esperienza, ma in parte anche una dote innata) che mettevano perfino il lettore meno smaliziato a certi linguaggi a proprio agio, dandoti però l’idea di stare gustando qualcosa di estremamente raffinato (cosa per altro vera). Le sue sequenze di immagini sono come ascoltare un brano di musica classica.

So che in questa rubrica bisognerebbe scegliere una tavola soltanto, ma non riesco a non citare anche un’altra immagine che per me è stata importante: la copertina del primo numero di Cyborg.

Perché questa seconda scelta?

Cyborg era una rivista di fantascienza casereccia prodotta da un team di grandi e giovani artisti italiani (Brolli, Palumbo, Fabbri, Ghermandi…) che per me segnarono un’epoca. Nel 1991 avevo vent’anni e da lì ad un anno mi sarei presentato in Disney, ma quel fumetto fatto in Italia da artisti italiani, in quel bellissimo formato, mi fece scattare in piedi, capii che era il momento di agire, che si poteva fare… Da poco era uscito Nathan Never che mi strabilio per la scelta di una casa così conservatrice come la Bonelli, ma Cyborg era un’altra cosa, portava con sé un’energia artistica creativa incredibile. Quanto mi sarebbe piaciuto farne parte… Poi invece è venuto PK. In qualche modo mi sembrava la giusta conseguenza!

Leggi anche:
La parabola del Silver Surfer di Moebius
La fantascienza di ‘Cyborg’: fra tecnoentusiasmo e provocazione
Il fascino austero di Siver Surfer: Requiem

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