Abominevoli specchi
L’avventura ha regole precise. Prevede che una situazione di relativa felicità sia destabilizzata da un evento imprevisto. A quel punto, interviene la ricerca di un oggetto, un soggetto o un’idea che avrà un ruolo centrale nella riconquista della stabilità. Questa ricerca muove un eroe (o una compagnia di eroi) in un luogo difficile da cartografare, nel quale sono nascosti imprevisti, mostri selvaggi o, addirittura, leoni. In questo luogo l’eroe deve sopravvivere, insidiato dalle minacce di antagonisti malvagi che godono dell’evento destabilizzante.

L’avventura è, anche e soprattutto, lo specchio dell’anima di noi lettori. Quando godiamo della narrazione dobbiamo schierarci, non possiamo permetterci indifferenza: quelli migliori di noi sono i buoni, gli eroi; quelli peggiori, i cattivi. Stretti nella morsa dell’antitesi manichea, non possiamo che ambire a essere eroi a nostra volta e a rifletterci nella forza, nel coraggio e nella rettitudine morale di chi muove le proprie carni di carta nelle storie avventurose. E, specchiandoci nell’eroe, diventiamo persone migliori.
Jorge Luis Borges ci ha donato un trattato sul doppio in letteratura con Tlön, Uqbar, Orbis Tertius. Per chiarire il sistema di metafore delle narrazioni che si sostituiscono al reale, lo scrittore argentino ha inserito una chiave crittografica che consente di risolvere l’enigma contenuto nel racconto: “Gli specchi e la copula sono abominevoli, poiché moltiplicano il numero degli uomini”.
Come vive l’altra metà
Il fumetto industriale, capace di divertire, formare e informare milioni di lettori e in grado di sviluppare l’avventura con cadenza periodica e seriale, nasce a New York alla fine del XIX secolo. L’immigrato Joseph Pulitzer ha idee molto chiare sul ruolo centrale che ha l’informazione nella costruzione della coscienza di una nazione nascente. Ha rilevato un giornale, il World e lo ha portato, in poco tempo, a una tiratura che non ha pari al mondo: oltre 300.000 copie al giorno. Il quotidiano viene realizzato negli uffici del Pulitzer Building, il grattacielo più alto dell’intera città. Da quell’osservatorio privilegiato, i giornalisti possono osservare l’ondata migratoria che fluisce nelle strade di New York, passando dai cancelli di Ellis Island, lo snodo per il controllo degli ingressi più importante del continente. I nuovi migranti, giunti in città, sono costretti a stiparsi nei tenement, caseggiati popolari, spesso fatiscenti, in cui famiglie di differente provenienza sono costrette alla convivenza.

Questo disagio che spacca nettamente la città viene intercettato e messo in pagina, con puntualità e precisione, dal disegnatore Richard Felton Outcault, che realizza vignette ambientate proprio nel cortile di un tenement. Outcault lascia emergere Mickey Dugan, uno dei bambini che bazzicano il cortile di Hogan: il cranio rasato per evitare i pidocchi, mette in risalto le orecchie a sventola e, in più, il bimbo indossa una tunica gialla che, con ogni probabilità, è la camicia da notte smessa da una sorella maggiore. La scelta cromatica di quel camicione porta alla ribalta Mickey, dandogli un soprannome che lo scaraventerà presto nella storia: Yellow Kid.
Quando la sequenza dei quadretti che dà vita al fumetto è ormai canonizzata, Outcault decide di spostare la sua attenzione altrove. Abbandona il piccolo immigrato irlandese per concentrarsi su Buster Brown, un bambino bianco, anglosassone, protestante e molto ricco. Buster porta sul corpo le stigmate dell’agio: un abitino rosa, calzini bianchi, scarpe nere lucidissime, uno splendido cappello, del medesimo colore del vestito, dalle tese larghissime e, a incorniciare un viso tondo e grazioso, lunghi capelli biondi.
Com’è bella l’avventura
Il fumetto nasce comico e conquista l’avventura con un po’ di fatica e tanta narrazione seriale. Tra coloro che ne liberano il potenziale c’è Elzie Crisler Segar che, nel 1929, inserisce un avventuriero nella striscia Thimble Theatre. È un marinaio guercio e molto brutto, dotato di forza straordinaria: si chiama Popeye.

Siccome l’avventura è uno specchio, è utile soffermarsi sulla pagina domenicale di Thimble Theatre uscita il 13 giugno 1937, quando Popeye ha conquistato una notorietà straordinaria. Il marinaio fa partecipare Pisellino (Swee’Pea) a un concorso di bellezza per infanti. Il bambino, con il cranio rasato, le orecchie a sventola e il lungo camicione, viene escluso dalla competizione e ne soffre molto. Popeye, per rimediare al danno e al torto, incolla su uno specchio il viso tondo, circondato di boccoli biondi, di un bel bambino, rincuorando Pisellino: il risultato è che, addentrandosi nei territori dell’eroismo, Yellow Kid e Buster Brown si guardano, attraverso lo specchio.
Quando Pisellino si guarda allo specchio, l’eroe del fumetto avventuroso ha ormai conquistato un segno realistico. La superiorità fisica e morale deve essere evidente. Basta guardare in faccia i personaggi di questa generazione per capire che, quando i fumettisti d’avventura abbandonano il registro della comicità, gli eroi son tutti giovani e belli. Tarzan, Brick Bradford, Jungle Jim, Flash Gordon, Mandrake, Phantom, Prince Valiant, Superman, Batman, Spirit, Captain America, Rip Kirby, Steve Canyon… L’unico a smarcarsi da questa infilata di bellezze maschili è Dick Tracy, poliziotto creato da Chester Gould che raffigura la propria rettitudine morale con un profilo preciso e tagliente, quasi fosse disegnato a rasoiate.
Peccatori e sconosciuti
Certo. È difficile muovere le proprie certezze in un mondo avventuroso, quando la società preme dall’esterno per entrare. Sulla carta sono tutti eroi, ma gli autori, chini sul foglio tra sudore e inchiostro, guardano fuori dalla finestra, ascoltano la radio, respirano la strada.

José Muñoz e Carlos Sampayo iniziano la loro collaborazione nel 1975, pubblicando su AlterLinus le avventure di Alack Sinner, un poliziotto privato che si muove in un’atmosfera hard boiled. Il secondo episodio della serie, uscito in febbraio, si apre con una pagina che manda in frantumi la speranza dei lettori di leggere racconti rispettosi del genere. Alack si sveglia, si accende una sigaretta, va in bagno e piscia. Quell’atto, troppo umano per essere raccontato, non è la violazione più grande ai canoni del poliziesco. Un istante prima di dondolare davanti alla tazza, Alack si è fermato davanti allo specchio per controllare la lunghezza della barba: il volto riflesso è largo e segnato dal tempo, dalla stanchezza, dal fumo e dagli eccessi alcolici. Muñoz ha studiato i lavori di Hugo Pratt e di Alberto Breccia. Il suo segno sente di Sgt. Kirk, di Corto Maltese e di Mort Cinder. Eppure lo sguardo dolente di Alack presenta un conto che i lettori non sono ancora disposti a pagare.
Pochi mesi dopo esce un albo tascabile con una grafica così preziosa da emergere con forza tra i tanti del medesimo formato che presentano fumetti erotici grossolani e volgari. S’intitola Lo Sconosciuto ed è firmato da Magnus. Il protagonista della serie è il più eroico tra gli sconfitti dalla vita: vicino alla terza età, lo Sconosciuto trascina un corpo angosciato, stanco e ricoperto di cicatrici per i luoghi in cui maggiormente si sentono le tensioni di quell’interminabile guerra che, a lungo, abbiamo detto fredda.

Vedremo quel viso stanco e scavato esprimere una gamma di emozioni ampissima e inattesa: la rinuncia, la sconfitta, il desiderio di farla finita, la paura, il dolore, il pianto, la rabbia, il rimorso e il rimpianto. In un mondo di cinici, lo Sconosciuto sembra l’unico uomo dotato di cuore ed emozioni. Vedremo quell’eroe morire e risorgere. Più volte. L’ultima poche settimane dopo la morte del suo autore, avvenuta il 5 febbraio 1996. “Nel frattempo”, il brevissimo episodio apparso sul mensile Comix che avrebbe dovuto preludere a una nuova sequenza narrativa, si conclude con lo Sconosciuto che si guarda allo specchio, mostrando un sorriso perfetto. Allegro ed esplosivo, carico come non lo si era mai visto, pensa: “Ringiovanito? È proprio così! Vent’anni di meno!”. Mentre disegnava quella pagina, Magnus stava combattendo contro un tumore al pancreas: sappiamo che, di lì a poco, sarebbe stato sconfitto.
La nouvelle bande dessinée
Gli anni Novanta del XX secolo sono stati caratterizzati da una piccola rivoluzione da cui è emersa una generazione di autori che pareva rifiutare i ritmi, i modi e gli stili del formato dominante del fumetto francese: l’album BD, cartonato di grandi dimensioni, composto di 48 pagine a colori. Una «nouvelle vague» del fumetto nata da autori, comparsi alla spicciolata in riviste e case editrici diverse, che, pur condividendo una medesima visione ambiziosa del racconto, non sentono il bisogno di raccogliersi sotto l’egida di un manifesto o di proclami chiari e accattivanti.
Si chiamano Dupuy e Berberian, Lewis Trondheim, Nicolas de Crécy, Blutch, Cristophe Blain, Joann Sfar… Si muovono nell’area del fumetto emotivo e densamente narrativo che, proprio in quegli anni, sta definendo il formato “graphic novel”, ma non rifiutano per questo la narrazione di genere. Quando frequentano l’avventura, anche seriale, mettono in pagina eroi che si smarcano dal segno realistico.

I volti dei loro personaggi sono caricaturali o grotteschi e a volte recuperano la lunga e mai sopita tradizione dei funny animal. Monsieur Jean di Dupuy e Berberian, Lapinot di Trondheim, Léon di de Crécy, il piccolo Christian di Blutch vivono l’avventurosa normalità della commedia umana; Marvin e Herbert del Donjon di Trondheim e Sfar, Salvatore di de Crécy, Isaac il pirata o Gus di Blain sono eroi, spesso molto antieroici, di narrazioni in cui i confini del genere sono spesso sfumati. Hanno nasoni, volti deformi ed espressioni cariche di emozione e, proprio per il segno esasperato con cui sono tratteggiati i loro volti, prendono distanze nette dalla realtà. Certo, vivono nei mondi creati dai loro autori – umani fatti di carne, ossa, muscoli, nervi e sangue – ma non ambiscono a soffrire quanto facevano Alack Sinner o lo Sconosciuto.
Per ritrovare quel dolore, il lettore deve attendere che i personaggi ricomincino a guardarsi allo specchio.

Nel 2013 Gipi ha pubblicato Unastoria, un fumetto lontanissimo dalla serialità avventurosa. Quel libro, bello e molteplice come l’albero presente in copertina e in molte pagine, si apre con un esempio illuminante. Gipi immagina un diciottenne a cui, nella notte, lo specchio presenta il volto che avrà a cinquant’anni. Pensa alla follia e allo schifo che lo coglierebbero. Eppure, poco più di trent’anni dopo, quella medesima visione non gli creerà alcun disagio. Anche quando la vita non è stata clemente con il viso riflesso, accumulando rughe, occhiaie, calvizie, macchie sulla pelle, quel volto non paralizzerà di schifo e terrore: «Mica male, eh, per gli anni che ho».
Gipi chiosa: «Malevola tanto è la natura, quanto amorevolmente protettiva è la nostra cecità». L’età media dei lettori di fumetto è cresciuta e non è raro che abbiano superato i cinquant’anni. Si potrebbe pensare che, presentando loro dei coetanei come eroi dell’avventura, si produca uno specchio abominevole, capace di moltiplicare il numero degli uomini e delle rughe.
Gli ultimi eroi
Bando al pessimismo. Alcuni fumetti seriali recenti continuano a proiettare un cono di luce sull’eroe. Mi limito a due esempi.

Mercurio Loi, investigatore romano ottocentesco inventato da Alessandro Bilotta, s’innesta nella tradizione delle edizioni Bonelli. È quindi un fratello di Tex, Zagor, Mister No, Dylan Dog, Julia e Dragonero. Tutti giovani, eroici e belli. Il personaggio romano, invece, è un concentrato di difetti: superbo, vanitoso, incapace di ascolto ed empatia, goloso, spesso pigro e accidioso. Porta a spasso per le pagine un volto scimmiesco, incorniciato da un paio di orecchie a sventola e ne ammira spesso il riflesso nello specchio del suo barbiere.
Dal Giappone, paese con un mercato ancora in grado di toccare lettori di tutte le età, arriva lo straordinario protagonista di Inuyashiki: l’ultimo eroe. Hiroya Oku, già autore del successo fantascientifico Gantz, disegna un cinquantottenne, invecchiato male e malato ma con un cuore da leone, che scopre improvvisamente di avere poteri divini. Grazie alla sua bontà, l’anziano Ichiro Inuyashiki riesce a stare di fronte allo specchio senza mai abbassare lo sguardo. Non ha nulla di cui vergognarsi.
Quando non ha paura di inimicarsi le simpatie del lettore, il fumetto d’avventura riesce ancora a muoversi mantenendo sullo sfondo il rumore della realtà. In questo modo garantisce rappresentazioni dell’eroismo poco pacificate e niente affatto consolatorie.
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*Questo articolo è stato pubblicato su Linus di maggio 2019, ora in edicola.
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