Classe 1969, un lungo passato nell’animazione – ha collaborato anche all’ottimo Appuntamento a Belleville, che di sicuro ha lasciato una traccia importante nel suo segno grasso e dinamico – Christophe Gaultier è un autore poco conosciuto nel nostro paese.

Oltre a questo suo Robinson Crusoe solo un’altra sua opera, Lo svedese – ancora una volta un adattamento letterario – è stata pubblicata in italiano, da Coconino Press. È un peccato. Il suo stile eclettico e dinamico meriterebbe un approfondimento ulteriore, ostacolato forse da una produzione che il pubblico snob faticherebbe a identificare come “alta”: serie avventurose, storie “di genere”, molti adattamenti letterari.
Gli adattamenti – specie se transmediali – sono operazioni particolarmente rischiose. Ora, Stephen Crane – autore del racconto Blue Hotel da cui Lo svedese è tratto – non è di certo, in Europa e in particolar modo in Italia, una superstar, anche se il suo lavoro sarebbe sicuramente degno di un’attenzione editoriale meno frastagliata e dispersiva. Conseguentemente alla marginalità dell’opera fonte, Gaultier non è stato costretto in questo caso – pur realizzando un adattamento piuttosto fedele – a confrontarsi né con aspettative eccessive maturate in seno al proprio pubblico, né con un consolidato paradigma visuale, magari frutto di adattamenti precedenti.
Ben altra cosa è approcciarsi a uno dei mostri sacri della letteratura occidentale, quel Crusoe, appunto, che per molti versi ha rappresentato un punto di svolta nella storia del romanzo moderno. Un racconto avventuroso-filosofico che, pur essendo un prodotto tipicamente figlio del suo tempo – una celebrazione della nascente borghesia mercantile inglese che riporta all’ordine la natura selvaggia – ancora oggi ci parla ponendo interrogativi universali: la solitudine dell’uomo, il rapporto con il divino, la fuga dal conformismo della società borghese e capitalistica, così come dalla predestinazione sociale.
Ma anche, naturalmente, il paternalismo colonialista, l’incapacità – ma questa è una critica prettamente contemporanea – di capire e accogliere l’altro, il diverso. Sono questioni complesse che non trovano certo spazio qui per una trattazione estesa.

Oltre a ciò, chiunque decida di confrontarsi, oggi come ieri, con un un’opera come il Crusoe, non può ignorare il portato visivo derivante dalle numerosissime precedenti trasposizioni: film, fumetti, riduzioni letterarie per l’infanzia, sceneggiati televisivi ecc., dal primo adattamento cinematografico di Méliès fino al metafumettistico Topolino e Robinson Crusoe di Gottfredson e De Maris e oltre. Senza dimenticare, naturalmente, gli illustratori che hanno parallelamente raccontato il libro a partire dalla fine del Diciottesimo secolo.
Una bella montagna da scalare, insomma. Gaultier non si fa spaventare, e principia il proprio lavoro con una esplicita dichiarazione di intenti. Il volume infatti si apre con la riproduzione del frontespizio della prima edizione originale del 1719. L’adattamento sarà fedele (abbastanza fedele, se si esclude il ridondante finale del romanzo, qui eliminato), afferma Gaultier. Così sarà. La fedeltà è, del resto, una sorta di rottura rispetto alla stragrande maggioranza degli adattamenti realizzati precedentemente, molti dei quali, per esempio, omettono, il lungo preambolo che vedrà protagonista vivere diverse avventure in giro per i mari e per il mondo prima del naufragio sulla famosa isola deserta.
La fedeltà alla trama però viene messa continuamente e sottilmente in discussione dai disegni. Ne Lo svedese – diciamolo, un piccolo e angosciante gioiello espressionista – il segno dell’autore aveva raggiunto piena maturità, dopo qualche prova precedente poco convincente, inserendosi successivamente in una scuola che potrebbe avere come maestri, fra gli altri, fumettisti come Joann Sfar e Christopher Blain (non a caso Gaultier è succeduto a Blain nei disegni della serie La Fortezza creata da Sfar e Lewis Trondheim). Nel trasporre il racconto di Crane Gautier dimostra le sue notevoli capacità di creare atmosfere angosciose e impalpabili grazie a pochissimi ed efficaci elementi, un segno grasso, a carboncino, ridotto all’osso e che descrive un mondo fatto d’ombre e abitato da uomini ridotti al rango di fantasmi viventi.

Nel Crusoe – immediatamente successivo ma tradotto da Tunué solo quest’anno, approfittando del cinquecentenario della prima edizione -, Gaultier adotta uno stile diverso, più ricco di dettagli, calcando la mano sul grottesco piuttosto che sull’inquietante e mostrando maggiore sicurezza prossemica. Sono maschere-non maschere, quelle che mette in scena l’autore: ogni gesto è parossistico, ogni espressione esagerata, gli scenari, urbani, marittimi o naturali, sono sempre opprimenti grazie al ricorso alle inquadrature sghembe, ai punti di vista estremamente angolati e all’uso, frequente, di dettagli, di primi e primissimi piani.
Il passaggio dalla realtà urbana alla natura selvaggia è preponderantemente questione di scelta di palette più che di cambio di scenario. La giungla è sempre la giungla. In una si è soli fra molti, nell’altra soli con se stessi.
Gaultier si mostra quindi al tempo stesso devoto al testo di Defoe e devotamente traditore. Naturalmente i 500 anni trascorsi fra le due opere impongono una pruderie diversa. Si confronti la, in tutti i sensi, burrascosa sequenza della prima tempesta in mare, organica, piena di odori, umori, puzze, rumori, con una parte della rispettiva sequenza romanzesca:
«Io che per innanzi non era mai stato in mare, mi trovai in un indicibile modo travagliato di corpo ed avvilito di animo. Allora cominciai seriamente a riflettere su quanto aveva fatto, e come giustamente io fossi colpito dalla giustizia del Cielo per avere abbandonato così malamente la casa di mio padre, e posto in non cale ogni mio dovere. Tutti i buoni consigli de’ miei genitori, le lagrime di mio padre, le preghiere di mia madre, mi si rinfrescarono nella memoria; e la mia coscienza che non era anche giunta a quell’eccesso d’indurimento, cui pervenne più tardi, mi rinfacciava il disprezzo de’ suggerimenti ricevuti e la violazione de’ miei doveri verso Dio e i miei genitori.»
La natura polisensoriale, quasi fastidiosa a tratti, di questo fumetto è sicuramente uno dei suoi punti di forza, insieme ad alcune sequenze – si veda ad esempio quella del primo incontro con “i selvaggi” – che da sole valgono l’acquisto del volume.
Forse il Crusoe di Gaultier non è un capolavoro (ma deve davvero esserlo?), eppure compie egregiamente il lavoro che, pur con qualche cedimento alla sensibilità moderna, si era proposto Defoe cinquecento anni prima. Una lettura estiva che potrebbe essere meno leggera e spensierata di quello che sembra.
Robinson Crusoe
di Christophe Gaultier
traduzione di Stefano Andrea Cresti
Tunué, marzo 2019
cartonato, 144 pp., colore
18,00 €
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