
Nella rubrica ‘BBB Consiglia’, ogni mese, il festival bolognese BilBOlbul seleziona un’opera a fumetti di particolare valore e interesse, offrendo una lista di buone ragioni per leggerlo. Questo mese parliamo di Hasib e la regina dei serpenti di David B., pubblicato da Bao Publishing.

1 | L’importanza delle storie
Non stupisce il fatto che David B. si sia impegnato, nel corso della propria vicenda d’autore, alla trasposizione di un ciclo di storie tratte da Le mille e una notte. Da sempre affascinato al mondo mediorientale, sia nella forma dell’evocazione esotica sia in quella dell’indagine storica (Il mio migliore nemico, Rizzoli Lizard, 2012), l’autore trova qui un modo narrativo a lui congeniale, quello della fiaba e di una narrazione che nel suo procedere si rivela potenzialmente infinita.
Può sembrare strano che uno dei maestri dell’autobiografia a fumetti possa riuscire con esiti di simile qualità in una storia così dichiaratamente di finzione, ma è un contrasto solo apparente. Si può infatti leggere l’intero lavoro di David B. anche come una dichiarazione del valore e dell’importanza che l’atto di narrare ha per l’umanità, in senso collettivo quanto singolo. Le storie aiutano a dare forma alla confusione cui la realtà ci costringe, sono una boa di salvataggio, non una forma di evasione ma anzi una risorsa per affrontare il mondo. La figura di Shahrazad incarna al massimo questa verità, e diventa in un certo senso alter ego dell’autore, che si lascia andare divertito alle peripezie dei personaggi e ai labirinti dell’intreccio, senza dimenticare mai l’importanza fondante del suo essere narratore.
2 | Lo stupore e l’infanzia
Hasib e la Regina dei serpenti replica per la bontà dei risultati l’opera che precedentemente David B. aveva realizzato per bambini: Il re rosa (Bao Publishing, 2010). Sembra che in effetti ci sia un rapporto privilegiato tra l’autore e l’infanzia, una segreta alleanza che passa attraverso la modalità di uno sguardo che è sempre in cerca della meraviglia e che fa dello stupore la sua piena ragion d’essere. La lettura di Hasib è un piacere per gli occhi, ma non semplicemente per la bellezza dei disegni.
Si tratta proprio della volontà di sottoporci a una continua sollecitazione delle nostre aspettative, costrette a un continuo rilancio di fronte a uno spettacolo caleidoscopico mai fine a se stesso, sempre in mutazione. La metamorfosi, che connota inevitabilmente la natura dell’infanzia, è protagonista assoluta di questo libro e provoca un gioco combinatorio di forme, colori, equilibri compositivi, catturando l’essenza della fiaba nella sua natura più profonda: un modo di dire la verità sul nostro destino, sempre in bilico tra il controllo e il naufragio, il calcolo e la sorpresa, il baratro e la ricchezza inattesa.

3 | La forza generativa del disegno
Un ottimo motivo per leggere Hasib, ma in generale tutta la produzione dell’autore, è l’esplosione del disegno che, inondando ogni tavola, tradiscono il fare divertito di chi scherza consapevolmente con l’immagine e la riempie di dettagli, segni, visioni.
Non è una forma di horror vacui, ma un gioco bello da leggere quanto da guardare: nelle tavole di Hasib ci si può perdere, ammirandone qui la composizione e là il colore, e di nuovo il lettering e l’affastellarsi o il rarefarsi delle figure. E non è nemmeno un gioco sterile e fine a se stesso: i disegni di David B. sembrano essere pervasi da una sorta di forza generativa, come fossero vivi. Così l’accumulo e la stratificazione che potevano diventare mero esercizio di stile si caricano di significato e si mettono al servizio tanto del racconto quanto della meraviglia del lettore.
4 | I classici a fumetti
In momento editoriale nel quale i “grandi classici della letteratura rifatti a fumetti” cominciano a mostrare una certa trazione, è rinfrancante vederne qualcuno di ben fatto. In parte per via del potere immaginifico del materiale originale, in parte per l’indubbia maestria dell’autore, Hasib non si percepisce come una “riduzione”, come un compitino per trasporre l’opera scritta in un linguaggio erroneamente percepito come più semplice (magari con l’idea che almeno così bambini e ragazzi lo leggeranno, visto che ci sono le figure).
A leggere Hasib e la Regina dei serpenti senza sapere che quelle storie vengono da Le mille e una notte si potrebbe tranquillamente pensare che sia nato come fumetto, che la narrazione disegnata sia il suo linguaggio nativo. Che è sempre un buon metro per capire se una trasposizione o una reinterpretazione è fatta bene: se funziona nel nuovo linguaggio anche senza la sponda esplicita dell’originale, allora è una buona trasposizione.

5 | Una storia di storie
Come Le mille e una notte, anche Hasib è una storia contenitore: Shahrazad racconta, di notte in notte, una storia, e in queste storie ci sono altri personaggi che raccontano storie, in un continuo gioco di scatole cinesi che si innestano una nell’altra.
E per quanto in Hasib il primo piano della narrazione, quello di Shahrazad, è appena suggerito, di capitolo in capitolo i personaggi si incontrano e si chiedono a vicenda di raccontarsi la loro storia, che a sua volta contiene altri incontri e così via. Se da un lato questo approccio rende il libro una sorta di variopinta antologia, che connette tanti racconti in un unico contenitore, uscendo dal format del romanzo (a fumetti o meno), anche sul piano linguistico l’operazione è perfettamente riuscita: il lettore non sta assistendo a quello che succede, ma al racconto di quanto è già successo.
E il racconto può essere piegato, enfatizzato, può avere ora una valenza più storiografica e ora più emotiva. Questo si riflette nella continua invenzione visiva di David B., che può lasciare andare la fantasia a soluzioni visive e grafiche cangianti senza uscire da una coerenza stilistica: sono i personaggi a trasformare gli eventi in racconto, infondendolo di tutto il piano simbolico e metaforico, e l’autore non fa che riportare sulla carta quel racconto.
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