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Sunday Page: Alessandro Lise su Braccio di Ferro

Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica è ospite Alessandro Lise, componente del team creativo Lise & Talami, autori di Saluti e bici, Morte ai cavalli di Bladder Town, Quasi quasi mi sbattezzo e Il futuro è un morbo oscuro, dottor Zurich! (per noi uno dei migliori fumetti del 2018), nonché vincitore del premio Micheluzzi 2019 come miglior sceneggiatura. Nato a Padova nel 1975, Lise lavora come redattore presso la casa editrice Il Poligrafo e come lettore esterno per Mondadori Ragazzi. Con lo pseudonimo brèkane ha anche pubblicato Un diario pressappoco.

lise braccio di ferro

Ho letto per la prima volta questa tavola quando avevo (credo) 7 anni, sul libro di Bud Sagendorf I primi cinquant’anni di Braccio di Ferro. Il volume non l’ho mai letto tutto, perché poi è scomparso in un trasloco, ma l’ho sfogliato infinite volte perché era pieno di mappe, personaggi, fumetti, disegni meravigliosi. Questa tavola di Segar in particolare mi si è impressa nella memoria per quel mix di divertimento e splatter che la rende irresistibile. È Poldo nella sua essenzialità più scabrosa. Il ritmo poi è perfetto: la vignetta 5, per esempio, spezza il dialogo che altrimenti risulterebbe prevedibile, ci mostra la mucca per la prima volta e lascia intuire un momento di “riflessione” di Poldo.

Era un volume che avevi voluto tu o te l’eri ritrovato in casa?

Me l’aveva regalato mia madre, non so in quale occasione; immagino che me l’avesse comprato in libreria perché leggevo, tra gli altri fumetti, un sacco di Braccio di Ferro della Bianconi.

Come mai hai scelto proprio questa pagina?

L’ultima vignetta – con la montagna di macinato, Poldo che si serve hamburger da solo, e i brandelli di mucca sparsi a terra –, era qualcosa che non avevo mai visto prima. Avrei potuto scegliere altre tavole domenicali di Segar (a partire da questa); la mia è una scelta affettiva: è come se questa tavola avesse rappresentato per me una sorta di “oltre” del fumetto, l’intuizione di uno spazio di possibilità narrative diverso. Era solo un accenno, ma la curiosità che il libro di Sagendorf mi ha suscitato è stata tale che appena ho potuto mi sono comprato e ho letto tutto il Braccio di Ferro di Segar.

“Divertimento e splatter” sono componenti importanti per te in un fumetto?

Non necessariamente. Mi piace quando in un fumetto (o in un libro, o un film) c’è qualcosa che fa frizione, o quando ci sono elementi (generi, atmosfere, registri) di solito estranei tra loro che cozzano e formano una nuova unità stilistica coerente.

C’è una lezione, da autore, che hai imparato da Braccio di Ferro (o da uno dei suoi autori)?

Segar è un vero maestro di ritmo, umorismo e avventura. È essenziale nella narrazione e allo stesso tempo molto generoso; i suoi personaggi sono spesso delle macchine comiche micidiali. La sua scrittura è talmente forte che Braccio di Ferro resta spassoso anche in traduzione, nonostante si perda il 90% dei giochi linguistici dell’originale.

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