Come ci ricorda Eleonora Antonioni con il suo libro sulla fotografa e modella Lee Miller pubblicato da Sinnos, intitolato Trame Libere, cinque storie su Lee Miller, una biografia a fumetti può essere una grande responsabilità, da un lato nei confronti della memoria del personaggio, dall’altro per rispetto nei confronti dei lettori che si aspettano non solo la verosimiglianza, ma soprattutto un testo significante che racconti qualcosa di quella particolare esperienza di vita.
Affrontare la biografia di un personaggio può infatti rivelarsi un compito rischioso: bisogna mettere mano a una gran quantità di materiale e selezionarlo; una volta studiati approfonditamente vita e contesto storico, è necessario trovare una chiave di lettura che dia senso alle scelte fatte.
L’approccio di Antonioni è partecipato ma discreto, senza pretesa di infilare a forza un personaggio estremamente sfaccettato come quello di Lee Miller in un’unica definizione: modella, fotografa, artista, e infine reporter di guerra, dai salotti di Parigi e New York al fronte; protagonista di un’intera epoca storica, o semplicemente donna alla continua ricerca di un limite da superare e un confine da oltrepassare, per desiderio di vita.
Lo stile grafico, elegante e decorativo, e la scelta di una bicromia brillante rendono la lettura ancora più piacevole. È un libro da leggere e rileggere, per tornare su un aneddoto che ci ha colpito o per rivedere nel dettaglio qualche vignetta, qualche particolare che potrebbe essere andato perso.

Come hai lavorato al racconto della vita di un personaggio che ha vissuto tante vite diverse? Immagino che abbia richiesto uno studio molto approfondito.
A dire la verità ero piuttosto preoccupata, per quanto il libro fosse nell’aria da molto tempo i tempi di lavorazione sono stati stretti; ad esempio non ho potuto farlo leggere a nessuno, a parte la redazione, prima della chiusura.
La proposta di raccontare proprio la storia di Lee Miller è partita dall’editore Sinnos?
La genesi è stata un po’ particolare. L’idea iniziale dell’editore era quella di fare delle mini biografie a fumetti di circa trenta pagine, raccontando anche personaggi femminili, scegliendo tra i nomi meno scontati e noti. In questa lista è emersa Lee Miller. All’epoca la conoscevo poco e poi la collegavo soprattutto a Man Ray e ai surrealisti.
Non è un personaggio semplice, e porta con sé anche il tema del trauma infantile.
Per quanto riguarda quell’episodio, la redazione stessa mi ha incoraggiato a trattarlo, trovando magari una chiave adatta anche ad un pubblico giovane. Noi ora giustamente ci sconvolgiamo molto, ma all’epoca purtroppo non era infrequente che delle bambine, anche piccole, subissero violenze. Ricorre in molte biografie, come ad esempio quella di Louise Brooks. Tutti i testi che ho letto sulla vita di Lee Miller lo riportavano, mi sembrava un evento importante nella sua vita, quindi ho deciso di inserirlo.
La sua storia è poco conosciuta ma ha grande importanza dal punto di vista storico e artistico, al di là della sua frequentazione con i surrealisti e della sua attività come reporter durante la Seconda guerra mondiale, la parte più nota della sua biografia. Studiandola, mi sono trovata di fronte questo gran numero di vite. Ho proposto a Sinnos la versione lunga e loro l’hanno accettata volentieri, data la potenzialità del personaggio.
Il target indicato da Sinnos per queste biografie è young adult?
Pensando a quello che leggevo io in fumetteria, sicuramente potevo scegliere autonomamente anche testi molto più complessi, ma gli adolescenti sono anche assai diversi da uno all’altro. Non lo consiglierei nemmeno in toto a ragazzi delle scuole medie, ma piuttosto a qualcuno che è già abituato a leggere e a cui interessano certe tematiche. Per leggerlo bisogna avere una buona capacità di scindere i diversi piani della sua vita… da un lato lei ha fatto sempre tutto quello che voleva, ed è una cosa bellissima, dall’altro le sue azioni avevano dei costi e delle conseguenze, anche su vite altrui.
Non mi sentirei di dire che sia stata sempre un esempio di vita. Ci sono più piani di lettura e serve una certa maturità per capire questa cosa. Penso si possa leggere dai dodici, tredici anni in su.
È un libro che io consiglierei anche a persone adulte, nonostante la targhettizzazione per ragazzi.
Su questo argomento del target ragiono spesso. Ad esempio, parlando di una storia come quella del manga Lady Oscar… da piccola vedevo il cartone animato, ma non lo apprezzavo del tutto, lo trovavo difficile. Col tempo, l’autrice del manga da cui è tratto l’anime, Riyoko Ikeda, è diventata una delle mie fumettiste preferite, mentre ero alle medie.
Penso anche a Gianni De Luca, leggere il suo tratto non è affatto semplice, anche se era venduto come autore per ragazzi. Prendiamo la sua famosa resa del piano sequenza, da bambina pensavo fossero tanti omini vestiti uguali! Ci vuole maturità per leggere certi prodotti, sia per quanto riguarda la veste grafica che per le storie.
Io, egoisticamente, ho realizzato il libro pensando a quello che io avrei voluto leggere su di lei! Sinnos mi ha lasciato libertà di scrittura.

Torniamo alla parte dello studio, della preparazione del testo.
Ho acquistato e letto tutti i libri che ho trovato sulla Miller, anche in edizioni straniere (in italiano non si trova molto). È stata fondamentale soprattutto la biografia scritta dal figlio. Leggendo la sua vita mi rendevo sempre più conto di come venisse ogni volta trattata in modo aneddotico. Nel mio libro ho dovuto inventare gli espedienti narrativi ma i contenuti sono quasi tutti episodi successi realmente.
Una narrazione così aneddotica rischia anche di essere un ostacolo, perché vorresti raccontare tutto e devi invece fare una grossa selezione. Devi capire abbastanza presto dove vuoi andare a parare con la narrazione, per evitare il rischio di una cronaca statica.
All’inizio ho fatto fatica a trovare una sintonia con lei: mi piaceva tantissimo il personaggio ma la sentivo così esuberante, spavalda… un carattere molto distante dal mio. Poi ha cominciato a emergere il lato fragile e insicuro della sua personalità, che confliggeva con la sua immagine più nota. Ho cominciato a sentire un’affinità quando ho letto della sua paura nel mettersi alla prova lavorativamente, nonostante la sua perenne spinta a superarsi. Questa cosa si nota quando inizia a scrivere, dava sempre di matto e attendeva con ansia le critiche dalla sua direttrice, Audrey Withers dell’edizione britannica di Vogue.
In quello mi sono riconosciuta moltissimo, nel cercare di superarsi sempre, ma con il disperato bisogno di avere una mano amica sulla spalla che ti rassicura, che ti dice che sta andando tutto bene.
Ha sicuramente avuto delle facilitazioni dalla vita, come venire da una famiglia benestante ed essere bella. Avrebbe potuto assopirsi su questa sua condizione, invece ha cercato sempre di superarsi ed emanciparsi.
Mi affascina questa sua sete di conoscenza, di voler sapere sempre cosa c’è dietro qualcos’altro. Ho collegato questo bisogno all’atto stesso di fotografare. Nel dialogo, inventato da me, tra lei e Edward Steichen (il fotografo al quale faceva da modella negli anni Venti), ho voluto far emergere questo aspetto. Questa ricerca di profondità secondo me è legata alla volontà di trovare un posto che ci faccia stare bene, un luogo al quale spesso non si arriva mai, come quando si cambia di frequente città in cerca di una nuova vita. Per riassumere una vita così sfaccettata, ho scelto l’espediente dei capitoli.
Legandoti, come dicevi prima, al carattere aneddotico delle sue biografie?
Sì, e anche come espediente per non raccontare tutto quello che stava tra un passaggio e l’altro. A volte manca anche una razionalità tra i vari passaggi. Per differenziare meglio, all’inizio volevo anche disegnare ogni capitolo con una tecnica diversa, poi ho deciso di usarne una sola e di differenziarli graficamente. Il buco narrativo più grande è sicuramente quello tra la fine della Seconda guerra mondiale e la vecchiaia, manca tutta la terza parte della sua vita. È stata una mia scelta perché non volevo affrontare quella parte; coinvolgeva la nascita del figlio, e persone tutt’ora viventi, ed è stata caratterizzata dalla sua depressione.
Prendere parte alla Seconda guerra mondiale deve essere stato un momento di svolta.
Credo che la sua vita sia collassata dopo quel periodo. La passione per la cucina l’ha salvata, negli ultimi anni. Mi spiaceva toccare le corde della sua vita in campagna, del rapporto col figlio che la vedeva come una madre problematica, e non volevo mettere bocca né giudizio. Il figlio è venuto a conoscenza di molti aspetti importanti della vita madre dopo la sua morte, scoprendo molti rullini in soffitta. Lei non parlava volentieri della sua vita e meno che mai della guerra.

Guerra che lei ha affrontato sul campo come reporter.
Ho l’impressione che lei sia sempre scivolata molto da un evento all’altro della sua vita, senza farsi troppe domande sulle possibili conseguenze. Le interessava rimanere attiva. Sono molto legata a quella parte incosciente della sua storia, che era presente nella parte frivola della sua vita e in quella più drammatica.
Ho notato invece che in ogni passaggio della sua vita, nei vari capitoli, c’è un evento più o meno drammatico al quale lei reagisce, prendendo l’iniziativa. In questo non mi sembra casuale, la sua storia, ma frutto di decisioni. Per esempio ho trovato notevole l’espediente grafico con il quale racconti la separazione con Man Ray. Lui dipinge il quadro della bocca, e lei andandosene letteralmente si ridisegna i connotati del volto, come volendosene riappropriare.
Sono rimasta colpita dal fatto che Man Ray abbia parlato poco di Lee Miller nella sua biografia, la nomina qualche volta e poi ne parla come la moglie di Roland Penrose, mentre per lei quei tre anni con lui sembrano fondamentali. Forse lei gli ha fatto veramente del male! Certamente, per Lee Miller conoscere Man Ray fu un’importante svolta professionale. Per il resto, la percezione della loro storia è diversissima.
In ogni caso, lei trova sempre modo per reinventarsi.
Penso che sia stata molto brava a staccarsi dalla storia con Man Ray. Il Surrealismo mi piace molto come fenomeno storico artistico però lo trovo anche maschilista, incentrato su uomini che avevano mogli o compagne, spesso ottime artiste, nominate solo come muse… c’era disparità, Man Ray aveva una vita molto libertina eppure era gelosissimo di lei, il fatto che potesse avere molti uomini lo faceva uscire di testa. Per lei non era pensabile comportarsi diversamente, viveva l’affettività e la sessualità in modo diverso, come racconto nel dialogo tra lei e Penrose.
Ho cercato di raccontare questo aspetto senza rappresentarlo troppo visivamente. Nella biografia il figlio fa un lungo elenco di amanti, lei voleva essere libera quanto poteva esserlo un uomo. Secondo me non percepiva proprio la differenza, si era presa tutto quello che poteva come da stereotipo avrebbe potuto fare un uomo. Questa cosa forse era legata all’educazione da “cocca di papà” ricevuta dal padre, come se avesse ricevuto un’educazione da primo figlio maschio a cui tutto era concesso.
Racconti che le hanno trovato il diminutivo volutamente ambiguo, Lee, come nome d’arte, proprio nel momento in cui era a culmine la sua carriera nella professione che esprime al massimo la femminilità, la modella. Ci tenevi a sottolineare questo aspetto?
Non credo che lei si ponesse il problema, penso che sia stata la società con gli anni a rimarcarle la differenza tra uomini e donne. A volte i clienti arrivavano nel suo studio aspettandosi un uomo ed erano titubanti a farsi fotografare da una donna. Forse era il mondo a non essere pronto per lei!
Come hai scelto la bicromia e il colore giallo?
È stata una scelta editoriale, Sinnos mi ha proposto di utilizzarla. All’inizio avevo anche pensato all’oro, volevo un colore luminoso, poi mi sono resa conto che sarebbe stato veramente pesante. Tra i libri che ho comprato ce n’era uno molto bello, pubblicato da Prestel Publishing, dedicato alla storia di Lee Miller e Roland Penrose (Lee Miller and Roland Penrose. the green memories of desire). In copertina c’era una delle classiche foto in bianco e nero di lei, con una scritta giallo acido. Mi ha subito colpito. Poi lei era biondissima e questa cosa veniva sempre sottolineata in tutti i modi… Ho deciso di usare il giallo, però un giallo più caldo.

So che sei appassionata di moda e design, nel primo capitolo hai inserito riproduzioni di pubblicità e annunci d’epoca, sono veri o rielaborati?
Le ho un po’ modificate ma sono pubblicità reali. Mi sono documentata sfogliando molte riviste per donne di inizio Novecento. Erano composte da articoli con testo fittissimo e una grande parte decorativa. Ho usato questa impostazione grafica per il primo capitolo, volevo che sembrasse una rivista, con i motivi decorativi liberty e le illustrazioni.
Il libro in questo capitolo e un po’ meno fumetto e un po’ più albo illustrato.
Sono abbastanza fissata con lo studio delle pubblicità che mi sembrano fondamentali per comprendere un’epoca, mi aiutano a dare un connotato storico. In questo caso, a dire il vero, la maggior parte delle pubblicità dell’epoca erano un po’ imbarazzati, prodotti per malattie varie, pomate… ho inserito soprattutto quelle di scarpe e cosmetici e ho fatto delle ricerche per la De Laval, che era l’azienda del padre di Lee. Bisogna fare attenzione nelle ricerche online, ho imparato col tempo che spesso le classificazioni d’epoca sono messe a caso. Come fonti, i miei testi preferiti sono i volumi Taschen All American Ads e, in questo caso, molte riviste trovate integralmente online, come McCall’s Magazine.

Raccontando il periodo che Miller trascorre con Man Ray o a contatto con altri artisti della scena parigina, hai dovuto riprodurre delle opere d’arte con il tuo segno. Come ti sei trovata? La vignetta che illustra l’incontro tra Man Ray e Lee è visivamente molto forte, hai citato qualche opera in particolare?
Il loro incontro è fedele alla descrizione dell’ingresso di Man Ray nel locale dove stava Lee, Le Bateau Ivre, per come l’ho letto in una delle biografie: lui arriva come un toro sbuffante, l’immagine mi sembrava perfetta. Per quanto riguarda le altre opere, forse mi ha aiutato dover lavorare molto velocemente, senza stare troppo a ragionarci sopra! Ho inserito meno foto che potevo, e anche per quanto riguarda le altre opere, le ho riprodotte solo quando necessario.
Non potevo non includere la copertina di Vogue di Georges Lepape, con Lee Miller disegnata, ho cercato anche di sottolineare coi dialoghi quanto fosse stata dirompente all’epoca. Forse l’opera più difficile da riprodurre è stata la bocca di Man Ray… non ho nemmeno provato a rifare il fantastico cielo a pecorelle sullo sfondo! Picasso invece è molto più grafico e riconoscibile, quindi anche più riproducibile, in qualche modo.
Immagino non sia facile rappresentare il lavoro di altri, inserendolo in un libro con il proprio stile e segno.
Più che le opere d’arte la parte realmente più complicata è stata trovare la mia chiave per disegnare il volto di lei, un volto che fosse sempre riconoscibile in ogni vignetta. È facile riuscire a fare un singolo ritratto somigliante, ma poi il personaggio va fatto recitare! A un certo punto ho fatto una cosa che cerco di fare il meno possibile, andare a vedere come l’avevano disegnata altri autori. Sono soddisfatta della sintesi che ho raggiunto, il suo volto è difficile da catturare, ha qualcosa di sfuggente e di mutevole.
Lo fai dire anche a Man Ray, quando parla di lei, che ha un viso mutevole.
Man Ray diceva che la testa era la parte più rappresentativa della personalità di una donna, e dal momento che secondo me forse Man Ray non l’ha saputa capire veramente, mi piaceva mettergli in bocca la difficoltà che stavo avendo io nel “trovarla”. Ho iniziato a studiarla cercando tutte le foto disponibili, e anche con la redazione ci siamo dette che sembrava molto diversa da una foto all’altra! Era un personaggio inafferrabile.
I personaggi del libro sono moltissimi, lei incontra nel corso della vita artisti, scrittori, giornalisti… qual è secondo te un personaggio che le era molto legato?
Credo Picasso. L’ha fotografato tantissime volte, lui ha fatto almeno sette ritratti di lei… erano molto amici, e Penrose a un certo punto diventa praticamente il suo biografo ufficiale. Non mi sono soffermata molto sulla loro amicizia, sarebbe servito un capitolo a parte!
Io invece sono rimasta molto legata a Aziz, il marito egiziano, e lo stimo molto. Si parla sempre della chiusura di chi è di fede musulmana, eppure è stato la persona di più larghe vedute nella vita di lei. L’ha lasciata fare come voleva, l’ha lasciata andare quando lei è tornata in Europa per Penrose, addirittura Roland la va a trovare in Egitto, e Aziz era più che cosciente della loro relazione. La lascia libera per amore, e la aiuta anche economicamente.

I dialoghi sono molto credibili e soprattutto ogni personaggio ha una sua voce chiara. Il capitolo della giovinezza, in forma di albo illustrato, ti permette di raccontare molto evitando di essere didascalica. Come hai lavorato sulla scrittura?
Nel primo capitolo ho dovuto solo cercare lo stile per riassumere la sua biografia, che conoscevo ormai bene. Per la prima stesura ho realizzato come sempre un mini storyboard, non riesco a visualizzare scrivendo soltanto. Lascio gli spazi per i testi, e vado ad aggiustare il disegno, se mi accorgo di aver bisogno di spazio. Per raccontare infanzia e adolescenza ho ragionato per coppie di tavole. Avevo un range di anni notevole da raccontare, il contesto familiare, gli anni dell’infanzia, la carriera di modella… ho dovuto scegliere quali episodi raccontare, sempre raggruppando la narrazione in tavole a multipli di due. Per i dialoghi veri e propri, direi che ho soprattutto cercato la voce di Lee Miller, e poi mi sono chiesta come le avrebbero risposto gli altri personaggi.
Credo che qualunque disegnatore, quando disegna una scena, abbia in testa tutto, compresi a grandi linee i dialoghi.
Sì, anche se spesso mi ritrovo con poco spazio! Comunque, quando il testo è stato definitivo, ho passato tutto alla redazione di Sinnos, perché editassero e asciugassero i dialoghi in libertà. Mi hanno sicuramente aiutato. Lavorando a questo libro avevo due paure: esser troppo didascalica, e non riuscire a rendere il carattere dei personaggi nei dialoghi. Ad esempio, ho cercato di modulare molto il modo di parlare di Lee Miller, anche nel corso della sua vita.
Ho avuto il vantaggio, per quanto riguarda ad esempio gli anni da reporter di guerra, di avere a disposizione anche dei testi scritti di suo pugno. ho comprato un libro che raccoglieva tutti i suoi articoli dal fronte (Lee Miller’s war, Beyond D-Day, sempre curato dal figlio Anthony Penrose) che ha cambiato totalmente la mia prospettiva su di lei. Mi ha fatto capire cose anche degli altri passaggi della sua vita. Dove potevo usavo direttamente i testi delle fonti. Nel testo riporto la lettera tra Lee e il marito, Aziz; alcuni passaggi sono praticamente trascrizioni, leggermente cambiate nella forma. In fondo al libro ho messo note e bibliografia.
Mi ha colpito, nel finale, il rapporto tra la Miller e il giornalista che la va a intervistare a casa… lei, anziana, lo mette a sedere e mentre gli risponde lo fa cucinare. È un episodio realmente accaduto o lo hai inventato come espediente narrativo?
Non l’ho letto da nessuna parte, ma a maggio sono andata a visitare la sua casa nel Sussex. La guida ci ha raccontato che lei amava mettere tutti gli invitati al lavoro, cucinava e si faceva dare una mano, se arrivava uno come Picasso non stava seduto senza fare niente, lei gli dava da fare! Mi ha fatto molto ridere questa cosa, e alla fine sono soddisfatta della riuscita dell’ultimo capitolo. È l’ultima cosa che disegnerai, e non sai mai come sarà realmente finché non hai finito tutto…
Questo aneddoto mi sembrava il modo giusto per raccontare come la cucina l’avesse aiutata a riprendersi dalla depressione di cui ha sofferto tanto. È stata una cosa che l’ha presa in toto, come voleva essere presa dagli uomini, o dal lavoro. Racconta molto bene il personaggio; nonostante tutto è sempre esuberante, non sta mai con le mani in mano e non è accomodante. Non ho voluto raccontare la terza parte della sua vita… ricordiamoci che a metà del capitolo sulla Seconda guerra mondiale, lei ha la mia età! E aveva già fatto tutto quelle cose!
Mi sono trovata a pensarci, mentre disegnavo. Tuttavia, dopo la guerra la depressione è stata sicuramente una parte importante della sua vita, e anche l’alcolismo. Ho preferito immaginarla così, con la sua passione che l’aveva tenuta viva e reattiva, mentre, nella sua cucina, metteva gli ospiti al lavoro.
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