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Sunday Page: Sergio Ponchione su Greyshirt di Alan Moore e Rick Veitch

Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica è ospite Sergio Ponchione, fumettista e illustratore. Nato ad Asti nel 1975, ha lavorato per Sergio Bonelli Editore (Zona X, Jonathan Steele, Mercurio Loi, Dylan Dog Color Fest), Internazionale, Repubblica, Il manifesto, Film Tv, Linus. Tra le sue opere come autore unico si ricordano Impronte maltesi, Obliquomo, DKW, Grotesque e Memorabilia.

greyshirt alan moore Rick Veitch

Ho scelto la prima pagina di Come vanno a finire le cose, la seconda storia di Greyshirt, personaggio creato da Alan Moore e Rick Veitch nel 1999 per la linea America’s Best Comics.

La tavola ospita un intero edificio suddivido in quattro strisce orizzontali, una per piano, che lo mostrano a ritroso nel tempo in quattro epoche diverse a intervalli di un ventennio. Abbiamo quindi quattro narrazioni temporali parallele, che proseguono sia in verticale (nel normale senso di lettura, dall’alto in basso) che in orizzontale (nelle tavole seguenti della storia, strutturate nello stesso modo). Verticalmente seguiamo gli eventi passati di vent’anni in vent’anni, orizzontalmente un’epoca alla volta.

La struttura generale del racconto è dunque una griglia narrativa che si può leggere in entrambi i sensi. L’ultima frase di ogni vignetta introduce la prima della seguente che la riprende, in verticale e orizzontale. Il soggetto è la storia del palazzo e del suo proprietario, “Spats” Katz, un vecchio e malconcio gangster che dai suoi lontani anni ruggenti ha ospitato nello stabile due generazioni di custodi, padre e figlio, vessandoli e umiliandoli, oltre ad averne combinate di ogni. 

Cos’ha di così particolare da avertela fatta scegliere? 

Ho scelto la tavola iniziale del racconto perché è naturalmente la più rappresentativa, ma data la struttura di cui sopra, ognuna delle altre sette avrebbe potuto rendere altrettanto la stessa idea. Il motivo è quello dichiarato dallo stesso Alan Moore in un’intervista: «È qualcosa che non puoi realizzare in nessun altro medium che non sia il fumetto». Un piccolo, geniale incastro narrativo e grafico, perfetto esempio di peculiarità e potenzialità che questo linguaggio offre.

La differenza temporale è resa accuratamente in ogni dettaglio, dalle condizioni dell’edificio all’arredamento degli ambienti, passando per età e abbigliamento dei personaggi, ed è evidenziata anche dal cambio di lettering di Todd Klein: il suo font personale per il 1999, uno in classico stile comic book per il 1979, in stile fumetti EC Comics per il 1959 e in quello delle strip dei quotidiani per il 1939. Il tutto cementato dall’invitante insegna verticale di Greyshirt che attraversa anch’essa epoche e stili.

Come mai ha scelto proprio questo fumetto? 

Adoro Greyshirt, non solo è un chiaro omaggio a The Spirit e in generale all’arte di Will Eisner che ho sempre amato e studiato (in questo caso anche alla sua opera Il palazzo), ma appaga esattamente la mia idea di fumetto, in bilico fra meraviglie del passato e nuove invenzioni. Riprende e gioca con i classici elementi e clichè del fumetto rinnovandoli con rara intelligenza e creatività. È un’operazione che da autore mi stimola molto.

Su Moore che dire che non sia già stato detto? Consueta standing ovation. Rick Veitch è uno dei miei autori americani preferiti. Mi ha sempre affascinato la sua impronta underground e sperimentale. Il suo disegno grottesco, pastoso, poco accomodante, trasuda quella preziosa inquietudine che da Steve Ditko a Richard Corben continua a stregarmi.

Ti ricordi come e quando hai scoperto quest’opera? 

Seguo i lavori di Moore e Veitch dagli albi di Swamp Thing realizzati negli anni Ottanta, sono autori che hanno prodotto tra i migliori fumetti che abbia letto. Quando sfogliai nel 2001 il primo numero di America’s Best Comics della Magic Press e li ritrovai insieme nei crediti di questo Spiritato detective, si risvegliò subito in me quell’entusiasmo di lettore ragazzino che negli anni a volte si teme di avere perso.

C’è una lezione che, da autore, hai carpito dalla lettura di questo fumetto?

Mi ha confermato che le possibilità e i contorni delle nostre amate nuvolette sono vastissime, ancora sempre da esplorare, e racconti come questo ti gridano di farlo. Che leggere racconti così densi e strutturati può essere più impegnativo ma la soddisfazione ottenuta è direttamente proporzionale. E a compatire chi non lo fa, non sapendo cosa perde.

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