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John Romita Sr.: diventare un classico

john romita

A fine anni Cinquanta, la casa editrice americana Timely Comics – che da lì a pochi anni sarebbe diventata Marvel – si ritrovò nel mezzo di una grossa crisi che la costrinse a ridurre il proprio personale. Toccò a Stan Lee, allora caporedattore, l’ingrato compito di comunicare ai disegnatori la decisione del proprietario della casa editrice Martin Goodman, ovvero che per loro non ci sarebbe stato più lavoro. Tra questi autori freelance, a prenderla particolarmente male sembrò essere John Romita, all’epoca non ancora trentenne.

«Pensai che non sarei più tornato ai fumetti», raccontò l’autore in un’intervista con la rivista Comic Book Artist, nel 1999. «Quando Stan mi tolse un fumetto western nel bel mezzo della storia, pensai: “Eccoci”. Non fui mai pagato per quel lavoro, e dissi a Virginia [sua moglie, Ndr]: “Se chiama Stan Lee, digli di andare all’inferno”.»

Per fortuna, di lì a poco il Romita tornò sui suoi passi: non solo continuò a lavorare nei fumetti, pur se in parallelo all’attività di illustratore e storyboardista per la pubblicità, ma qualche anno dopo tornò persino alla Marvel, dove si affermò come uno dei più importanti disegnatori americani degli anni Sessanta con un lungo ciclo su The Amazing Spider-Man. E, nonostante quell’episodio, divenne anche uno dei migliori amici di Stan Lee, che lo rese celebre come “Jazzy” John nei crediti degli albi.

New York, New York

John Romita nacque il 24 gennaio 1930, a Brooklyn, da una famiglia di origine italiana e crebbe nel pieno della Grande Depressione. Suo padre faceva il panettiere, i suoi fratelli e sorelle erano tutti dotati per la musica e il canto, ma John aveva un altro talento: «Iniziai a disegnare quando avevo cinque anni. La prima volta qualcuno mi disse: “Wow, continua così!”. E io decisi di voler continuare a disegnare». A otto anni scoprì i fumetti e se ne appassionò, e nel 1938 – evidentemente già dotato di grande intuito nonostante la giovane età – comprò due copie di Action Comics 1, con la prima apparizione di Superman: una da leggere, l’altra da conservare.

Fin da subito, iniziò a studiare lo stile dei disegnatori, per capire come i fumetti venissero realizzati e quali fossero gli elementi in grado di renderli migliori di altri. Tra i suoi disegnatori preferiti c’erano Jack Kirby, che all’epoca realizzava le avventure di Capitan America in coppia con Joe Simon, e Milton Caniff, autore della striscia quotidiana Terry e i pirati.

«Quando il Capitan America di Jack Kirby iniziava a balzare fuori dalle vignette, ero consapevole che quello era più intelligente del normale» avrebbe raccontato al giornalista Tom Spurgeon nel 2002. «Quando avevo 13 anni e divoravo Milton Caniff e Terry e i pirati, ero consapevole di ogni suo trucchetto e capivo che si trattava di trucchi. Dove lui disponeva gli elementi degli sfondi, dove disponeva gli elementi in primo piano, dove metteva gli accenti e le ombre. Ero consapevole di ogni singola cosa. Dove le nuvole venivano interrotte dalle montagne. Di tutto.»

john romita milton caniff
John Romita e Milton Caniff, negli anni Settanta.

A scuola, John era tra i più dotati nel disegno, tanto che, raggiunta l’età per le superiori, si iscrisse alla School of Industrial Art di New York (oggi School of Art and Design) nonostante lo scetticismo di suo padre, che non credeva possibile guadagnarsi da vivere con il disegno. (Breve flashforwad: anni dopo, curiosamente, Romita avrebbe confessato più volte di aver avuto gli stessi timori nei confronti di suo figlio John Jr., agli inizi della carriera di quest’ultimo in Marvel Comics.)

John però non era il migliore di tutti, a suo dire: «Ero il terzo miglior disegnatore della classe. C’erano due tipi che erano molto più bravi di me. Il secondo miglior disegnatore venne da me e mi disse: “John, dovresti lasciar perdere. Non sei abbastanza bravo”». Eppure, questo non bastò a scoraggiarlo.

Dopo la scuola, infatti, Romita si lanciò subito nel mondo del lavoro, sia come illustratore che come fumettista, anche se con qualche piccolo intoppo. La sua prima storia, nel 1949, realizzata per la serie umoristica Famous Funnies pubblicata da Eastern Color Printing, non fu pubblicata: «Steven Douglas, lì, era un benefattore per tutti i giovani disegnatori. La prima storia che mi diede fu una storia d’amore. Era orribile. Tutte le donne sembravano uomini emaciati, ma lui la comprò, non la criticò mai e mi disse di continuare a lavorare. Me la pagò duecento dollari, ma non la pubblicò mai… giustamente».

In quel periodo, Romita si rivolse anche a uno dei suoi miti infantili, Jack Kirby, in cerca di lavoro. In un’intervista di molti anni dopo, infatti, avrebbe raccontato così il loro primo incontro: «Lo avevo conosciuto di sfuggita da ragazzo, quando mi diede da fare delle chine come prova per lavorare nel suo studio. Io non ebbi il coraggio di riportargliele e la cosa finì lì».

Capitan America contro le orde comunista, in una copertina del 1954 illustrata da Romita

Poco dopo, l’inchiostratore Lester Zakarin gli propose di fargli da ghost artist per una storia di due pagine. Nonostante fosse impegnato con il nuovo lavoro per la Forbes Lithograph, Romita accettò, visto che con quel semplice incarico avrebbe potuto guadagnare più di quello che avrebbe ottenuto con una settimana in azienda. Quella storia – a cui ne seguirono presto altre – fu pubblicata da Timely Comics. Fu così che il disegnatore conobbe Stan Lee, cugino dell’editore, che lì si occupava di gestire l’intera linea di fumetti. Non ci volle molto prima che Romita iniziasse a guadagnarsi i suoi primi crediti (sempre in coppia con Zakarin).

Fino quasi alla fine degli anni Cinquanta Romita continuò a lavorare come freelance per Stan Lee e la Timely, disegnando soprattutto storie horror e rosa, ma mettendo mano anche al personaggio di punta della casa editrice, il Capitan America ideato nel 1941 da Joe Simon e Jack Kirby, uno dei fumetti da lui preferiti da bambino. «Fu un sogno che divenne realtà», avrebbe commentato anni dopo.

Romancing John Romita

Nel 1955 Romita iniziò a lavorare per National/DC Comics, ma senza farlo sapere in giro, per paura di perdere il lavoro in Timely. Cosa che non lo salvò nel 1958, quando, in seguito alla riduzione del personale operata da Martin Goodman e Stan Lee, il disegnatore si spostò definitivamente nella casa editrice di Batman e Superman, sempre come freelance. Il suo campo da gioco esclusivo divenne il fumetto romance, su testate antologiche dai nome evocativi come Secret Hearts, Heart Throbs, Falling in Love, Girls’ Love Stories, Girls’ Romances e Young Love.

Una copertina di Romita per Girls’ Romances di DC Comics

Come riferimento, Romita usava i personaggi femminili del suo adorato Caniff, ma anche immagini da film – un’abitudine per l’epoca -, in modo da replicare volti femminili molto amati e riconoscibili dal pubblico. Il disegnatore divenne il principale interprete del genere “romance” all’interno della casa editrice, disegnando per tre delle cinque collane pubblicate e illustrando due o tre copertine al mese. La National però non accreditava gli autori, così in molti pensarono che dopo l’esperienza in Timely Romita si fosse ritirato dal fumetto: «Anni dopo, John Verpoorten [inchiostratore di Marvel Comics, Ndr] mi disse che tutti pensavano che fossi morto», avrebbe affermato ironicamente il disegnatore.

La moda del romance però duro poco, e nel 1965 DC smise di assegnare nuove storie ai propri autori. «Avevano una larga scorta di storie e continuarono a pubblicare quelle e a ristamparne altre», avrebbe raccontato Romita. «Le altre divisioni non mi utilizzarono mai. E io non andai mai da loro a chiedergli nulla.» In un’altra intervista, avrebbe confessato di essere stato «troppo timido e troppo insicuro di sé, per restare lì e andare a pranzare con chiunque».

In realtà, il periodo di otto anni passato a disegnare fumetti rosa non lo soddisfò del tutto: «Fu davvero noioso, dopo un po’ persino esasperante. L’unico motivo per cui lo feci fu per sostenere la mia famiglia. Le normali storie romance sono molto piatte. Qualche volto in lacrime, ma non succede mai nulla. Così, quando le vivacizzai e ci misi un po’ più di personalità, mi sentii orgoglioso di me stesso».

Romita voleva disegnare i supereroi, che erano tornati in auge dal 1961 con la nuova linea ideata da Stan Lee per la neonata Marvel, ma la casa editrice sembrava non volerglielo far fare: «In segreto, speravo che mi chiedessero di fare un fill-in di Batman o qualcosa del genere. Ovviamente non successe mai». Così, quando Lee – per il quale aveva già fatto qualche lavoretto “più svelto” di inchiostrazione – lo richiamò, Romita non ci mise molto tempo a decidere di tornare a disegnare per lui.

Una tavola di Romita da Secred Hearts 83

Nella tela del ragno

Nei giorni in cui stava pensando di lasciare DC Comics, Romita ricevette un’offerta dall’agenzia pubblicitaria BBDO&O per illustrare storyboard, e «quando Lee mi chiese di disegnare per lui io gli dissi: “No, non credo di poterci riuscire”» avrebbe raccontato il disegnatore a Roy Thomas nel corso di un’intervista per Alter Ego. «Lui mi disse: “Andiamo, ti porto a pranzo”. Così andammo a pranzo e lui passò tre ore a insistere: “Perché vuoi essere un pesce piccolo in una pozza grande quando puoi essere un pesce grande in una pozza piccola? Ti garantisco che pareggerò il loro salario”.»

Il suo primo incarico fu di sostituire Wally Wood su Daredevil, su sceneggiature dello stesso Lee. Per aiutarlo ad adeguarsi allo stile dinamico della casa editrice, fu Jack Kirby a realizzare i layout delle primissime storie. Il primo numero con il nome di Romita, il 12, pubblicato con data di copertina gennaio 1966, vide un picco di vendite. Nei numeri 16 e 17 della testata, apparve come ospite Spider-Man.

Romita non aveva mai letto le storie dell’Uomo Ragno, e avrebbe raccontato che, quando Lee gli presentò una pila con tutti gli albi fino ad allora pubblicati – una trentina – lui esclamò: «Sembra divertente. Sembra un Clark Kent adolescente». La presenza di Spider-Man in quelle storie non fu un caso: Lee temeva che il disegnatore della sua testata, Steve Ditko, avrebbe potuto lasciare la Marvel nel breve, essendo in rotta con lui da tempo, e voleva testare Romita come possibile sostituto.

La copertina di Daredevil 16, con l’incontro fra il protagonsita della testata e Spider-Man

Così, quando nell’estate del 1966 Ditko abbandonò davvero la Marvel, Romita divenne il nuovo disegnatore di The Amazing Spider-Man, dopo soli otto numeri di Daredevil. Nelle sue prime storie, provò a imitare lo stile del suo predecessore, convinto che questi avrebbe presto chiarito i suoi problemi con Lee e sarebbe tornato a disegnare Spider-Man. Invece, Romita sarebbe rimasto sulla testata per molti anni con vari ruoli, contribuendo a rimodernare il personaggio, a crearne altri divenuti fondamentali per l’universo Marvel come Kingpin e sua moglie Vanessa (modellata sulla Dragon Lady di Milton Caniff) e dando spessore e contemporaneità a personaggi femminili come Gwen Stacy e Mary Jane Watson.

Fu proprio l’entrata in scena di quest’ultima – in precedenza solo nominata o mostrata nell’ombra – a segnare il vero inizio del ciclo di Romita su The Amazing Spider-Man. La prima vera apparizione di Mary Jane, con un volto modellato su quello dell’attrice Ann-Margaret, fu fulminante e segnato da un’unica, semplice battuta («Ammettilo tigre, hai appena fatto centro») che però riuscì a definire immediatamente il carattere del personaggio. Come sottolineato sulle nostre pagine da Andrea Fiamma, «l’introduzione di Mary Jane segnò l’inizio di un periodo incentrato più sulla vita sociale di Peter e su temi d’interesse politico come i diritti civili e il razzismo che sulle scazzottate tra Spider-Man e i suoi antagonisti».

Da lì anche il personaggio di Peter Parker iniziò una veloce evoluzione: perse l’aria da secchione e divenne più sicuro di sé, acquisendo allo stesso tempo un look – nel taglio di capelli e nel vestiario – più in linea con gli anni Sessanta rispetto allo stile rétro di Ditko. «Se Peter Parker cambiò era perché non riuscivo a evitarlo. Stan Lee era solito venire da me a dirmi che lo stavo facendo troppo piacente. Lo stavo facendo troppo muscoloso. Ma non riuscivo a impedirlo. Era l’unico modo in cui potevo disegnarlo.»

La prima apparizione del volto di Mary Jane

Peter Parker divenne, in sintesi, un personaggio più “glamour” che in passato, e forse anche più in sintonia con i fan dell’epoca, anche se molti lettori della prima ora se ne lamentarono nelle pagine della posta dell’epoca. Circa un anno dopo l’esordio di Romita su The Amazing Spider-Man, in ogni caso, la serie superò in cima alle classifiche di vendita Fantastic Four, la testata “ammiraglia” della Marvel.

Nonostante nella realizzazione delle storie Lee e Romita seguissero il “metodo Marvel” (che permetteva al disegnatore di sviluppare in proprio le trame a partire da una breve sinossi dello sceneggiatore, che poi aggiungeva didascalie e dialoghi a tavole ultimate), il disegnatore avrebbe minimizzato il proprio ruolo in quei primi anni: «Io non ho mai pensato di “personalizzare”, di dare una mia “impronta” alle testate su cui ho lavorato. Mi ritengo fondamentalmente un illustratore, e questo per me significa ricevere del testo scritto e cercare di renderlo, visivamente, nel miglior modo possibile».

In un’altra intervista, però, avrebbe anche specificato che «ho sempre avuto la capacità di migliorare le storie di altre persone, i personaggi di altre persone. E credo che sia stato questo a farmi guadagnare da vivere per 50 anni». È principalmente per questo motivo che il suo ciclo di storie sull’Uomo Ragno sarebbe diventato così memorabile.

stan lee john romita spider-man
Da sinistra: Stan Lee, Marie Severin, John Romita e… Spider-Man (sotto la cui maschera c’era probabilmente Roy Thomas)

In quegli anni, nonostante fosse un freelance, Romita si recava a lavorare negli uffici della Marvel per evitare distrazioni. Con il tempo, però, la sua presenza in sede si rivelò un’arma a doppio taglio: il disegnatore si ritrovò spesso a essere consultato per “aggiustatine” dell’ultimo momento alle storie in procinto di andare in stampa, oltre che per supervisionare i disegni altrui al posto del sempre più indaffarato Lee. A tutti gli effetti, divenne l’art director della casa editrice, ma senza essere riconosciuto come tale. Questo ruolo gli fu assegnato ufficialmente solo nel 1973, dopo che Lee fu promosso da caporedattore a editore e presidente della casa editrice.

La parabola di Gwen

Il personaggio più emblematico del ciclo di storie realizzato da Romita su Spider-Man fu forse la frivola ma brillante Gwen Stacy, la fidanzata dell’epoca di Peter Parker. La ragazza, creata pochi mesi prima da Lee e Ditko come compagna di scuola di Peter, divenne uno dei personaggi più importanti. Finì presto al centro di un triangolo sentimentale con lo stesso Peter e Mary Jane. Vide persino suo padre, il capitano di polizia George Stacy, venire ucciso durante uno scontro di Spider-Man con il Dottor Octopus. E, alla fine, perse lei stessa la vita.

Su The Amazing Spider-Man 121, albo inchiostrato e supervisionato da Romita, durante uno scontro fra Spider-Man e il supercriminale Goblin, Gwen fu infatti lanciata giù dal Ponte di Brooklyn e si spezzò il collo, nonostante il tentativo di salvataggio dell’eroe (o forse proprio a causa di esso). L’evento fu uno shock per i lettori, che impararono come anche i personaggi positivi dei fumetti potessero morire.

La Gwen Stacy frivola e alla moda di Romita

Per molti, La notte in cui morì Gwen Stacy segnò la fine della Silver Age, il periodo di rinascita del fumetto di supereroi iniziato alla fine degli anni Cinquanta. «Qui c’era l’eroe dalla battuta pronta, sempre spensierato di fronte alla malvagità, che giurava una sanguinosa vendetta verso il cielo, mentre cullava la figura senza vita di Gwen Stacy. Qui c’era la fidanzata dell’eroe, morta per sempre» avrebbe scritto l’esperto di fumetti Arnold T. Blumberg nel saggio “The Night Gwen Stacy Died”: The End of Innocence and the Birth of the Bronze Age. «Ogni atteso leitmotiv delle storie di supereroi era stato rivoltato da capo a piedi in poche semplici vignette, trasformando in modo irrevocabile il mondo del fumetto e i suoi lettori.»

Ci sono diverse versioni su come nacque l’idea di far morire un personaggio così amato come Gwen, ma una cosa è certa: fu Romita a decidere di ucciderla, dopo che varie idee erano state messe sul tavolo. «Non è stata un’idea mia, ma di John Romita, che all’epoca era la vera mente creativa della testata», avrebbe raccontato Gerry Conway, sceneggiatore della storia. «Durante le riunioni, John sfornava idee… e una di queste era di uccidere Gwen – anche se credo che, se fosse rimasto a disegnare regolarmente la testata, non si sarebbe mai accollato quella responsabilità.»

«Sì, sono io l’assassino», avrebbe ammesso con ironia Romita nel corso degli anni successivi. Lee, invece, se ne sarebbe sempre lavato le mani, dichiarando di non essere stato presente alla riunione in cui tale decisione era stata presa a causa di un viaggio in Gran Bretagna. A dire degli autori dell’epoca, però, nessuna scelta artistica così importante poteva essere presa senza il suo avvallo.

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Il momento della morte di Gwen Stacy, nei disegni di Gil Kane (con chine di Romita)

«Avevo imparato da Milton Caniff» avrebbe raccontato Romita. «Milton Caniff ogni tre o quattro anni uccideva un importante personaggio. […] Dissi a Gerry Conway […] se vuoi uccidere qualcuno, uccidi qualcuno di importante o lascia perdere. Lui mi disse che era una buona idea». Conway propose la zia May, ma Romita bocciò l’idea, perché la sua morte sarebbe stata poco incisiva. Restavano allora Mary Jane e Gwen Stacy, ma la prima aveva lo scopo di vivacizzare la serie, e la seconda era, dopotutto, la fidanzata di Peter Parker.

Anche se negli ultimi mesi si stava limitando a inchiostrare le matite di Gil Kane, Romita terminò il proprio ciclo di storie di Spider-Man a tutti gli effetti proprio con The Amazing Spider-Man, nel 1973, con la morte di Gwen.

Lontano dai riflettori

La carriera artistica di Romita si potrebbe benissimo dirsi conclusa qui, almeno per molti lettori di fumetti meno informati. In realtà, il disegnatore rimase un pilastro di Marvel Comics per molti anni, anche dopo aver abbandonato la serie mensile di Spider-Man, almeno alla fine degli anni Ottanta, facendo da art director della casa editrice e assicurandosi che le copertine fossero in linea con quello che lui definiva “Marvel Style”.

E nel frattempo ebbe modo di disegnare e inchiostrare nuovamente Capitan America, i Fantastici Quattro (quando il suo stile fu “kirbyzzato dalle chine di John Verpoorten e Joe Sinnott) e molti altri personaggi, anche se in modo più che altro sporadico. Ma l’Uomo Ragno rimase sempre lì in prima fila, tanto che nel 1977 Romita inaugurò – con Stan Lee – la striscia quotidiana dedicata al personaggio, da lui poi disegnata per tre anni di fila.

Una strip di Spider-Man, di Lee & Romita

L’approccio alla striscia non fu semplice, per un perfezionista come lui, abituato a curare i dettagli di ogni disegno e ora costretto a farlo in uno spazio molto più ridotto di quello di un comic book. Eppure il risultato fu notevole, e la striscia divenne per molto tempo la più popolare tra quelle proposte nella pagina dei fumetti dei quotidiani americani. Del resto, come sottolineato da suo figlio John Jr., Romita «è il giocatore di football che sa tirare di destro e di sinistro, fenomenale sia in attacco che in difesa. È il giocatore di baseball che può ricoprire qualsiasi ruolo… Riesce a fare benissimo tutto».

La striscia però fu una sorta di canto del cigno artistico. Le sue apparizioni sulle pagine dei fumetti si fecero sempre più diradate, in favore di un lavoro dietro le quinte. E così, uno degli autori più influenti degli anni Sessanta e Settanta finì pian piano per diventare, per le nuove generazioni di lettori, poco più che “il padre di John Romita Jr.”.

Ma, Romita – diventato ormai Sr. – si era già affermato come uno dei migliori disegnatori della sua generazione, contribuendo a rendere Spider-Man uno dei più noti personaggi della cultura popolare contemporanea e dando a Marvel Comics un’impronta artistica ben definita per circa due decenni. Un vero e proprio classico vivente.

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