I turbamenti del “giovane” Seymour Chwast

La prima cosa che viene da chiedersi di fronte alla rilettura grafica della Divina Commedia dantesca, realizzata dall’ottantenne monumento del graphic design internazionale Seymour Chwast è: capriccio senile di un genio o, viceversa, una ennesima geniale opera di uno degli ultimi veri esponenti della controcultura?

seymour chwast divina commedia

C’era una volta il Push Pin Studio

C’era una volta la controcultura, intesa come somma di valori e principi “ostinati e contrari” e non come furbesco travestimento o atteggiamento modaiolo. Il fatto che l’autore sia uno dei fondatori, sin dalla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, di quella fucina di graphic designer che risponde al nome di Push Pin Studio – tra i vari associati: Milton Glaser e Edward Sorel, o Paul Davis e John Alcorn – e che la sua attività, che continua tutt’oggi, abbia toccato tutte le varie forme della comunicazione per immagini, costituisce un caso di longevità creativa davvero rara. Forse paragonabile al solo socio, amico e rivale artistico Milton Glaser (novantenne). 

Chwast è stato uno dei più influenti professionisti e studiosi nati tra quella nidiata di innovatori del Graphic Design statunitense, un movimento che si opponeva, teorizzando la libertà creativa dall’estetica del bello e la libertà comunicativa dalla seriosità dei contenuti, da un lato all’illustrazione pittorica di genere alla Norman Rockwell e dall’altro al razionalismo europeo delle varie scuole del design centro e nord europee. 

Inoltre il nostro Seymour è stato colui che maggiormente ha sperimentato sia con le tecniche, dalle incisioni al digitale passando per tutte le opzioni del pittorico e l’illustrativo b/n e tinte piatte, sia con i linguaggi e le forme, passando dall’Underground alle varie espressioni della Urban Art, dalla Psichedelic Art alla Pop e Commercial Art. 

Il tutto sempre in bilico tra graphic design, poster design, Illustrazione editoriale, illustrazione pubblicitaria e fascinazione per il fumetto. Un mezzo inteso come bagaglio iconografico universale, che fa pescare Chwast a piene mani dalla cultura visuale più genuinamente popolare secondo logiche distanti da quelle di Andy Warhol, ovvero teorizzando e mettendo in pratica la figura del “designer con la mano sinistra”. 

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Questa manifestazione di intenti, sempre vissuta sul piano etico e sociale, definiva un modello visivo estetico-culturale antagonista non già all’ideologia estetica del bello gradevole e ben realizzato ma allo scontato e al ripetitivo. Si tratta di un canto all’inaspettato e all’imperfetto per scelta, una sorta di amplificatore del messaggio visivo figlio della grammatica irriverente del linguaggio delle immagini costruito con un occhio all’ironico e l’altro al grottesco.

Questa lezione di Chwast fa ormai parte integrante dell’estetica della comunicazione per immagini contemporanea, figlia dell’arte caricaturale e seminatrice delle varie articolazioni della Graphic Art dell’ultimo mezzo secolo. Non è un caso, quindi, che questa visione stia alla base del movimento artistico transgenerazionale denominato New Pop. Un modus operanti ricco di potenzialità comunicative che tuttavia corre il rischio di essere usato impropriamente da molti illustratori, grafici e fumettisti contemporanei. Stiamo parlando di quel filone espressivo in cui certi disegnatori si limitano a mostrare – con orgoglio – i propri “limiti artistici”, in compagnia di editori confusi e di pubblici autoindulgenti che ritrovano i propri fanciulleschi ghirigori sulle pagine di uno dei tanti, ordinari graphic novel “Disegnati Male”.

Forte di questo convincimento estetico Chwast percorre con sensibilità e spirito alternativo al limite dell’ossessivo gli anni del nuovo secolo. Non si presenta come un reduce della controcultura sixty, ma come uno dei suoi padri fondatori. Basti ricordare il suo iconico manifesto del 1968 contro la guerra del Vietnam dal titolo End Bad Breath. Questo viaggio nel presente viene intrapreso affrontando, con ironia e nonchalance ma con l’urgenza di chi non ha tempo da perdere, temi e generi che spaziano dal libro pacifista per bambini (ultima fatica dell’autore dal titolo L’uomo sulla Luna appena pubblicata in Italia da Corraini), al manuale pratico dedicato alla malattia e cura del diabete. Sino alle riduzioni e riletture grafiche di classici senza tempo dalle complessità titaniche come l’Odissea di Omero, I Racconti di Canterbury di Chauser e questa Divina Commedia di Dante, tradotta in Italia dalla maceratese Qodlibet.

Questa casa editrice non si è certo specializzata in fumetto, ma si è spesso dimostrata attenta alla qualità degli autori proposti e sicuramente, come si dice spesso degli editori non completamente devoti al profitto, non manca di coraggio editoriale. Basti pensare alle affascinanti opere di uno sperimentato narratore per immagini, complesso e non di facile appeal ma di sicuro interesse e bravura, come il bolognese Stefano Ricci, di cui Quodlibet ha pubblicato nel 2014 il graphic novel La storia dell’orso.

Una Commedia sghemba

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Uscita negli States nel 2010, la Divina Commedia rappresenta la risposta di Chwast alle piacevoli, sognanti e surreali illustrazioni per il Purgatorio di Dante realizzate sul finire degli anni Novanta (viste in Italia per Nuages), dall’altra metà dei Push Pin Studio, il succitato Milton Glaser. Tanto riflessive, delicate e pittoriche quelle di Glaser, tanto irruente, ironiche e strutturalmente essenziali quelle di Chwast. La cui Commedia è ridotta ma fedele ai contenuti e ai significati, in un riassunto grafico con tanto di diagrammi e cartografie stile infografica, a cui forse non sono estranei i disegni realizzati da Sandro Botticelli sul finire del Quattrocento. 

Chwast dispiega qua il proprio sguardo polemico, tra etica e politica, mettendo in scena vizi e aspirazioni spirituali dell’uomo contemporaneo. Il tutto in bianco e nero, sorretto da un segno pulito e sobrio, apparentemente disadorno e sghembo e che non lascia nulla ad una visione estetizzante ma persegue un’estetica che è al servizio della narrazione, con chiari riferimenti ai pattern decorativi propria del Liberty, della Secessione viennese e del Decò visti però con gli occhi di un Keith Hering o di un Jean-Michel Basquiat, per approdare alla Psichedelia buffa e “gommosa” di Heinz Edelmann. 

L’opera complessiva è sicuramente stimolante, lontana per visione e intenti, tra le mille trasposizioni in immagini della Commedia illustrata (a partire dal codice miniato di Alfonso d’Aragona del 1450 e dalla bellissima edizione serie di xilografie di Bonino de Boninis del 1487), dalla pur felice parodia italo-disneyana de L’Inferno di Topolino di Guido Martina e Angelo Bioletto del 1949/50, sia dalle drammatiche immagini, realizzate nei primi anni Novanta, derivate dalle illustrazioni di Dorè, del grande mangaka Go Nagai

In questa interpretazione ritroviamo la missione che sta alla base del lavoro di graphic designer di Chwast, sia che essa si espliciti in una narrazione per immagini o in una singola illustrazione per un manifesto: il primario e fondamentale ruolo nell’aiuto alla lettura e alla comprensione dei contenuti. Senza per questo rinunciare ad un equilibrato contributo estetico, e senza mai perdere lo spirito satirico attraverso l’espressione del caricaturale. 

Seymour Chwast insegue questo obiettivo con la stessa foga e lucidità dei suoi anni migliori, dove la voglia di cambiare il mondo sembrava non essere solo un’utopia. E si esprime senza paura di risultare ormai periferico e scontato nella sintesi. Quasi che il sé stesso disegnato, con l’immancabile pipa e gli occhiali dei suoi noti autoritratti – nei panni di un detective vestito con l’inconfondibile impermeabile “marlowiano”, accompagnato da un Virgilio in bombetta fuoriuscito dal Yellow Submarine dei Beatles e ammaliato da una Beatrice in tenuta flapper blonde girl – potesse soffrire davvero per i crimini commessi e le sofferenze subite dal genere umano. 

L’opera, per certi versi titanica per estensione e complessità, è sintetizzata in modo tale da risultare nello stesso tempo perfetta, irriverente e sbilenca attraverso la struttura di una graphic novel sui generis, molto graphic e pò meno novel, pur restando equilibrata e pregna di quei contenuti che rendono la Commedia dantesca un capolavoro letterario e morale che può ancora insegnarci qualcosa sul Potere e sull’Amore. 

La Divina Commedia nella versione di Chwast, che prevede tutti i 99 canti risolti ognuno in una sola o poche più pagine, nella sua totale atipicità incredibilmente pop, nella non aderenza ai generi, riporta al centro del lavoro del designer l’insostituibile ragione del comunicare. La non appartenenza al solito e al comune sentire. E lo fa usando metafore antiche unite a linguaggi e segni ibridi e ricchi di asperità. Non ricercando la facile parodia ma restituendoci intatta quella primigenia fondamentale scrittura allegorica scelta da Dante per raccontare la sua società, al fine di rendere vivo e necessario quel “Feed your Heat” urlato da Grace Slick nella Summer of Love del 1967. Per un “giovane” volontario come Seymour Chwast, le guerre forse non sono mai finite.

La Divina Commedia di Dante
di Seymour Chwast
traduzione di Fiorenza Conte
Quodlibet, novembre 2019
cartonato, 128 pp., b/n
19,00 €

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