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ComicsElektra è morta, ma vive ancora

Elektra è morta, ma vive ancora

Pubblicato nel gennaio del 1983, Daredevil vol.1 190 presentò l’ultima apparizione di Elektra nella continuity ufficiale. La storia del personaggio era stata racchiusa in una manciata di albi apparsi tra il 1981 e il 1982, tutti scritti e disegnati da Frank Miller, in cui la ninja di origini greche era passata da semplice comparsa a comprimaria, sino a ricoprire un ruolo centrale nella mitologia di Daredevil, facendo poi da agnello sacrificale in una sequenza da brividi in cui veniva uccisa da Bullseye con i suoi stessi sai.

Frank Miller aveva compiuto il destino del personaggio, disegnando una parabola quasi perfetta tra le pagine di un comic book in cui erano confluite – in un caleidoscopio inedito per l’epoca – le sue passioni più importanti: la letteratura hard boiled, le arti marziali e il cinema noir. Nonostante la sua morte, voluta per creare un crescendo drammatico, Miller ritornò a più riprese sul personaggio, per sondarne le potenzialità inespresse.

elektra vive ancora frank miller

La maxiserie del 1986 Elektra: Assassin, disegnata da Bill Sienkiewicz, fu motivata per esempio da due interessi: delineare maggiormente il passato della fascinosa killer e narrare una storia distopica e lisergica al di fuori dalla continuity ufficiale. Nello stesso periodo Miller si dedicò alla realizzazione di quella che a tutti gli effetti sarebbe stata una pièce teatrale, ma che avrebbe visto la luce solo nel 1990: Elektra vive ancora.

Questo graphic novel di 80 pagine – con un formato che strizzava l’occhio ai fumetti francofoni – fu pubblicato dall’etichetta adulta della Marvel Comics, la Epic, che garantiva maggiore libertà agli autori. Miller fu accompagnato da Linn Varley, che ne curò i colori scegliendo una resa pittorica, inedita per l’epoca e lontana da quanto lo stesso Miller aveva fatto nei suoi lavori da autore unico per DC Comics.

In buona sostanza, per Miller Elektra vive ancora fu sicuramente un esperimento, ma anche l’occasione di salutare per l’ultima volta il suo personaggio e darne un’interpretazione definitiva, che potesse anche essere superiore alla resa erotica e psichedelica di Sienkiewicz.

Un’opera di transizione?

Elektra vive ancora fu il trait d’union tra Il ritorno del Cavaliere Oscuro e Sin City, ma soprattutto il ponte ideale tra l’amore per lo stile cinetico del manga – già esplorato nel Wolverine del 1982 e in Ronin del 1983 – e la classicità e la sperimentazione delle scuole europee, quelle francesi e italiane in primis. Non è un caso che in Italia la storia fu serializzata sulla rivista antologica Corto Maltese – che ospitava fumetti di Hugo Pratt, Guido Crepax, Milo Manara e Moebius -, così come era stato per lo stesso Elektra: Assassin. Pur provenendo dal fumetto mainstream americano, Miller era considerato a tutti gli effetti un autore inserito in un continuum internazionale, viste le fonti manifeste della sua arte.

frank miller gianni de luca

Pur essendo stato partorito negli anni Ottanta, Elektra vive ancora era di certo più vicino a Sin City e agli autori francesi e italiani, che a Ronin e al modello nipponico. Come ha evidenziato il critico britannico Paul Gravett, in due delle tavole più iconiche dell’opera si nota quello che viene ormai definito come “Effetto De Luca, in onore del fumettista italiano Gianni De Luca che fu tra i primi a spingere la «vignettizzazione implicita» (si guardi al riguardo quello che scrive il semiologo Daniele Barbieri) verso soluzioni che all’epoca risultavano inedite e fortemente innovative (nonché per lo stesso autore una specie di vicolo cieco).

Miller usò con parsimonia l’effetto in una regia che cercava soluzioni in grado di dare al suo lavoro un respiro internazionale. La scelta di affidare la colorazione a Linn Varley, che mimava una texture pittorica donando profondità alle illustrazioni, va letta sicuramente in quest’ottica: uno stacco netto dal fumetto industriale americano. La colorazione fu infatti una concessione legata alla scelta editoriale di uscire con un volume che per dimensioni e foliazione ricordava per l’appunto le pubblicazioni di area francofona. In realtà, dando un’occhiata alle tavole originali prive dei colori, si capisce come in Elektra vive ancora si agitasse un tentativo di sintesi, vero e proprio marchio di fabbrica delle produzione anni Novanta di Miller.

frank miller marv matt murdock

In Elektra vive ancora c’erano già infatti tutti gli elementi che sarebbero diventati croce e delizia del lungo ciclo narrativo di Sin City. Si vedano le due tavole in cui Miller sfrutta l’Effetto De Luca e la prospettiva dall’alto per disegnare il movimento a spirale delle scale, su cui si dipana la sequenza in cui Marv combatte contro la polizia. E lo stesso Marv è già ritratto nella penultima tavola di Elektra vive ancora, dove il volto vissuto e incerottato di Matt Murdock in controluce chiude la vicenda una volta per tutte. Sono segni di un discorso in fieri, di uno stile in continuo movimento ed evoluzione. Uno stile, quello di Miller, per l’appunto bulimico e cosmopolita. 

Ma Elektra vive ancora fu soprattutto una palestra in cui Miller sperimentò e raffinò una serie di espedienti narrativi di forte impatto grafico, mentre il suo segno oscillava tra l’’estrema sintesi e una tendenza all’ornamentale (elemento questo destinato a perdersi nelle successive produzioni).

elektra vive ancora frank miller

Le tavole del combattimento nel cimitero con i membri della Mano si poggiano su un segno tagliente e preciso, una specie di ligne claire nervosa e acida. Ma l’influenza franco-belga si può osservare anche nelle sontuose architetture che fanno da sfondo alla vicenda. Miller alternò tavole in cui predilesse la paratassi – rappresentata da numerose vignette in close up – ad altre ampie che mostrarono, invece, una perizia che il chiaroscuro di Sin City avrebbe spinto nel buio di un’eterna notte. 

In una stanza fredda

Elektra vive ancora va letto sicuramente come un commiato: un coraggioso addio di Miller alla sua creatura. Ma, allo stesso tempo sembra marcare il territorio, sancire con autorevolezza e maturità il destino del personaggio con un’opera che nonostante la sua natura celebrativa di un’idea europea di fumetto – quindi pensata anche e soprattutto in dialettica con un mondo distante dalle logiche del fumetto superoistico – può e deve essere pensata come il racconto definitivo su Elektra. 

Per un intero decennio Marvel Comics decise di non riportare il personaggio in vita, seguendo la volontà del suo creatore. Fu poi lo sceneggiatore D.G. Chichester a farlo, durante Caduta dal Paradiso, una lunga saga che avrebbe dovuto traghettare Daredevil nel cuore degli anni Novanta ma che finì per indispettire Miller.

elektra vive ancora frank miller

Elektra vive ancora è la più “milleriana” tra le opere dedicate alla mitologia di Daredevil: se Amore e guerra, Assassin, Rinascita e L’uomo senza paura si avvalsero di disegnatori pensati ad hoc – ad esempio il giovane Mazzucchelli per il forte tono realista dello suo stile – il graphic novel edito dalla Marvel/Epic è un’opera intima anche per la scelta di condurre il lavoro in solitaria, con un controllo completo sui tempi e sulle scelte stilistiche e narrative. Questo ci spinge a non considerarlo un lavoro minore. Di certo un’opera di transizione, ma uno step importante all’interno dell’itinerario artistico di Miller.

Molti dei tentativi successivi di aggiungere qualcosa di nuovo al personaggio di Elektra Natchios da parte di diversi autori hanno avuto scarsi riscontri, limitandosi a delineare l’ennesima variazione sul tema. Molto probabilmente, Elektra vive ancora aveva chiuso il cerchio, sondando tanto le potenzialità quanto i limiti stessi del personaggio: sullo sfondo le opere di Miller rappresentavano un orizzonte negativo. 

Elektra vive ancora, allora, rappresentò il vero canto del cigno del personaggio di Elektra, la sua ultima storia: tutto il resto si può vedere come un testo apocrifo. A distanza di un trentennio, quella storia scritta e disegnata da Miller andrebbe recuperata e letta per la sua importanza storica, ma anche come la lettura definitiva di un grandissimo personaggio della rinascita degli anni Ottanta del fumetto americano mainstream.

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