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Sunday Page: Lafabbricadibraccia su “Pinocchio” di Winshluss

Ogni settimana su Sunday Page un ospite ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica è ospite Lafabbricadibraccia, al secolo Federico Ciacci, fumettista e tatuatore che, come si definisce lui stesso, «è un collettivo autogestito in qualche modo, composto esclusivamente da me, che si occupa di illustrazioni e fumetti».

Ho scelto Pinocchio di Winshluss perché trovo incredibile la storia, come viene raccontata e come è disegnata. Soggetto, sceneggiatura e disegno sono fusi in maniera meravigliosa per farti arrivare un bel cazzottone nello stomaco ed un vago senso di nausea durante la lettura. Perché l’effetto è quello secondo me, cioè provare disgusto e schifo per molti dei personaggi squallidi che sono raccontati in questa storia. Anche la tristezza ricorre spesso come emozione, al limite del senso di pietà forse.

Come disegnatore e “autore” di qualche fumetto resto affascinato dalla capacità di trasmettere tutte queste emozioni con dei disegni tutto sommato piuttosto semplici. Mi godo in questo modo un doppio spettacolo quello sul piano del racconto – la trama, la storia, il disegno – e quello sul piano “meta” cercando di capire la tecnica, l’inquadratura usata per trasmettere una certa sensazione (molto spesso penso tra me e me «ma come cazzo fa a raccontare così bene?!»).

Il tipo di disegno usato è un’altra caratteristica molto interessante. È quello che viene definito stile umoristico, ma veicola a meraviglia la forza della storia. Son sicuro che se fosse stato usato uno stile più realistico si sarebbe perso buona parte del fascino della storia e forse avrebbe intaccato anche la scorrevolezza della lettura. A me piace da impazzire la discrepanza tra storia raccontata e stile di disegno; quando si usano disegni semplici e “simpatici” per narrare episodi reali e spesso duri. Ad esempio Lo scontro quotidiano di Larcenet o Il grande male di David B. li trovo meravigliosi anche per questo motivo.

In Pinocchio alcune vicende, alcuni sketch, sono terrificanti – come i nani stupratori o il trafficante di organi. La storia dell’infanzia di Lucignolo è impressionante.

E come mai hai scelto questa pagina?

Ho fatto molta fatica a scegliere una tavola sola, perché ce ne sono molte che raccontano in poche vignette l’evolversi di una situazione, come fossero mini storielle a parte. Dal punto di vista tecnico le avrei scelte quasi tutte, ma visto che il gioco è di sceglierne una ho optato per la tavola 169.

Questa tavola racconta due epiloghi – quello di Biancaneve e quello dello sbirro (la cui faccia mi ricorda un sacco Blast). Quindi tecnicamente in poche vignette sappiamo dove finiscono due delle mini storie aperte durante il libro.

L’ho scelta anche perché l’epilogo di Biancaneve è uno dei pochi ad essere positivo-felice – dopo essere scappata dai perfidi nani e sopravvissuta alle onde trova l’amore o quanto meno una sana scopata. Quindi è come se ci fosse una boccata d’aria, un lieto fine per un personaggio che è stato vittima. Insomma, almeno uno ce la fa.

Ovviamente questa boccata d’aria si trasforma in fetore stantio nelle ultime tre vignette dove in secondo piano alle due ragazze che amoreggiano vediamo l’epilogo del poliziotto. Che non è dei più felici.

In generale, Pinocchio è pienissimo di idee e la cosa è rimarchevole, a maggior ragione se si pensa a quanto è stato visitato Pinocchio da tutti gli adattamenti negli anni. Secondo te cosa ci trovano gli autori di così interessante?

Mi viene da dire che ha una componente mitica come storia: ci sono molti personaggi, ognuno dei quali incarna a suo modo un desiderio, e con questi si può giocare come si vuole, poiché chi legge riconoscerà una parte di se stesso in quello che viene raccontato.

Nella versione originale forse i personaggi sono ideali, indicano come si dovrebbe essere, mentre Winshluss mostra una torbida umanità più vicina al vero, spinta dall’egoismo.

Il Grillo Parlante non è più la coscienza bigotta di Pinocchio – non è neanche un grillo a dire il vero – ma il suo opposto, poiché fa uscire il robottino dagli schemi della sua programmazione. Non lo fa intenzionalmente, il suo effetto è casuale.

Geppetto non guarda in faccia nessuno, né sua moglie fata turchina/baldracca né il povero pinguino che lo serve e lo accompagna dentro la pancia del pesce. Né si preoccupa dell’effetto che avrà la sua creatura meccanica una volta consegnata all’esercito. Il suo unico scopo è diventare ricco.

Pinocchio invece è diverso, perché in questa versione non ha desideri, è passivo, trascinato dal caso. È uno spettatore distratto, che non guarda nemmeno la storia che porta il suo nome. In certi passaggi il suo intervento è fondamentale per la vicenda, ma non c’è mai una sua volontà dietro l’azione che spesso avviene per un ordine, per un malfunzionamento o per adesione alla sua configurazione di macchina.

Leggi anche: Un Pinocchio francese, cupo e meccanico. Intervista a Winshluss

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