“Marvels” ha rivoluzionato il fumetto supereroistico

Marvels di Kurt Busiek e Alex Ross sta vivendo una seconda vita. Complice il festeggiamento dei venticinque anni dalla prima pubblicazione, in questi ultimi mesi sono state date alle stampe diverse iniziative riguardanti questo fumetto (il prequel della Trilogia X, Marvels X, l’antologia Marvels Snapshots, la serie The Marvels e un nuovo epilogo della storia creato dagli autori originali).

marvels fumetto

Nella sua premessa semplice, Marvels ha fatto scuola, proponendo un taglio dal basso che adesso risulta abbastanza consueto ma che all’epoca nessuno aveva mai utilizzato con così tanta efficacia. Il racconto della vita del fotografo Phil Sheldon, intento a documentare alcuni dei momenti cruciali dell’universo Marvel (dalla comparsa della prima Torcia Umana all’apparizione dell’Uomo Ragno, dallo scontro tra i Fantastici Quattro e Galactus all’arrivo degli X-Men), restituisce – adesso come allora – la sensazione di entrare in contatto con eroi di cui si era letto nei giornali o visto nelle cronache.

Grazie alla scrittura di Busiek e allo stile di Ross, il lettore riusciva a calarsi nei panni di Sheldon, percependo Spider-Man o Xavier distanti come se li stesse scoprendo in quel momento, nonostante anni di letture e pubblicazioni avessero svelato i più intimi pensieri di quei personaggi.

Con la sua atmosfera nostalgica, lucida e vivida, Marvels spaccò il fumetto supereroistico in due, generando una schiera di emuli che cercarono di riprodurne l’effetto amarcord con sceneggiature inadatte o tavole pittoriche di poco conto.

Alex Ross – che all’epoca aveva lavorato ad appena un paio di fumetti ed era qui al suo debutto in società – non era il primo a proporre uno stile pittorico e realistico, ma lo fece, in ambito supereroistico, meglio di chiunque altro, facendo sembrare il suo stile una novità. Come ha spiegato lui stesso, disegnare supereroi in quel modo aveva un senso, perché nessuno li aveva dipinti così. «Era come se riuscissimo a vederli davvero per la prima volta» ha scritto Chip Kidd in Mythology.

Marvels è uno dei primi, se non il primo, fumetto di genere Neo-Silver, appartenente cioè a quel filone, teorizzato dallo storico Peter Sanderson, che recupera le atmosfere della Silver Age e ne aggiorna le intenzioni come rimedio alla cupezza dell’era oscura dei fumetti. All Star Superman, Cosa è successo all’Uomo del Domani?, Astro City (sempre scritto da Busiek), o le storie di Topolino realizzate da Casty, per citare un esempio italiano, sono tutti fumetti Neo-Silver ed è facile capire che cosa li accomuni: lo sguardo al passato, un recupero dei propositi della Silver Age, il positivismo delle intenzioni e la classicità della messa in scena. Tutti questi elementi sono però adattati al presente e contestualizzati nell’oggi.

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Oltre alla nostalgia, che certamente ha giocato un ruolo nel successo della serie, in Marvels ha funzionato l’approccio, lo sguardo dal basso dell’uomo comune – come potevano esserlo i lettori non avvezzi ai supereroi – e il modo in cui venivano presentati i personaggi. Questi erano vivi sulla pagina, con una ricchezza di dettagli e consistenze inedite in un mondo analogico in cui la colorazione digitale era in grado di realizzare pochi – per quanto stupefacenti – effetti speciali e non era ancora matura per simulare le tecniche pittoriche.

La struttura di Marvels è stata poi depredata da moltissimi fumetti successivi, con risultati altalenanti (il controcanto Rovine, la serie “colorata” di Loeb e Sale e di recente Spider-Man: Storia della mia vita). Ma c’è qualcosa di nuovo da dire su Marvels, uno dei fumetti supereroistici più brillanti degli anni Novanta? Kurt Busiek e Alex Ross, i suoi autori, pensano evidentemente di sì, visto che hanno dato alle stampe un nuovo epilogo, a venticinque anni di distanza dall’uscita della miniserie (in mezzo c’è stato anche un seguito, a cui però Ross non ha partecipato).

Marvels aveva un finale che ha modificato il proprio senso con il passare degli anni. Quell’ultima pagina in cui Phil e la sua famiglia si fanno fotografare da un ragazzino di nome Denny Ketch poteva infatti lasciare interdetti alcuni lettori all’epoca della sua uscita, ma di certo risulta ancora più incomprensibile oggi.

Ketch è infatti il secondo Ghost Rider, un personaggio caduto nel dimenticatoio ma che negli anni Novanta andava forte, e Busiek l’aveva inserito come colpo di coda sardonico, perché anche «un ragazzo simpatico. Normale» come lo descrive Phil sarebbe stato toccato dal dramma dei supereroi. Ora che nessuno lo ricorda più, quel finale perde di senso.

Ross l’aveva ammesso a Fumettologica tempo fa: «So di sicuro che parlerei con Kurt per togliere il cameo del ragazzino alla fine della storia, la versione anni Novanta di Ghost Rider che ora è praticamente sparita dalla circolazione».

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Ecco allora che le nuove pagine finali che si aggiungono alla storia aggiustano il tiro, ambientando le vicende dentro un altro momento della Storia Marvel. L’epilogo si svolge contemporaneamente ai fatti di Buon Natale, X-Men…, storia di Chris Claremont e Dave Cockrum pubblicata nel 1976 su Uncanny X-Men 98. Nell’albo, il pomeriggio di svago natalizio al Rockefeller Center degli X-Men veniva interrotto dall’attacco delle Sentinelle. È una pagina meno nota ma scelta con attenzione, perché riesce allo stesso tempo a calarci in un’atmosfera caratterizzata (gli anni Settanta) e a essere atemporale e priva di rimandi che la rendono superata, costumi a parte.

L’epilogo si apre con una doppia pagina natalizia che pare prendere fuoco – talmente brilla di luce e calore – e poi viaggia ritmata mostrando come l’occhio di Ross si sia affinato negli anni, con una scansione pulita eppure monumentale dell’azione. Immutato resta invece il mestiere di Busiek, che struttura l’episodio come ci aspetterebbe: azioni supereroistiche viste dal punto di vista di cittadini comuni.

alex ross

I ripensamenti da parte degli autori sulle loro opere raramente migliorano il materiale di partenza. In questo caso, l’epilogo funziona bene, non tanto per chiudere la storia (quello lo fa già benissimo la scena finale originale) ma per smussare le asperità di continuity e poter dare un’ultima, nuova, occhiata alla vita di Phil Sheldon.

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