Paulette esce in questa nuova edizione come classico immancabile nella biblioteca di ogni collezionista e lettore di graphic novel contemporaneo. Rileggere oggi le sue storie che non paiono subire l’offesa degli anni è anche un modo per rendere omaggio al grande Georges Wolinski; unico, sferzante, intelligente e ironico maestro di satira, assassinato nell’agguato di “Charlie Hebdo”. D’altra parte, lo stile ricco e volumetrico di Pichard, uno dei maestri del fumetto francese di tutti i tempi, parla da solo. Paulette è stata la risposta giocosa alla Valentina di Crepax, una risposta sensualissima e carnale. Forse irriverente. Che ancora oggi vanta decine di migliaia di fan in tutto il mondo.
La presentazione redatta per il primo volume dell’integrale di Paulette di Pichard e Wolinski tratteggia i confini di un’opera fondamentale per quello che viene individuato come il «collezionista e lettore di graphic novel contemporaneo». Una definizione, quest’ultima, che potrebbe provocare più di un brivido – e non certo di piacere – al povero Wolinski.
Il lettore di graphic novel contemporaneo, che spesso poco ha a che fare con l’idea di ‘collezionista’ tout court e con il lettore nostalgico e/o curioso che recupera “storie che non paiono subire l’offesa degli anni”, si troverebbe a dover fronteggiare un’opera che mostra tutti i suoi anni. Ma, questo non è necessariamente un aspetto negativo.
Paulette funziona senza dubbio nel suo essere documento di un periodo ricchissimo del fumetto francese e non solo. Nelle storie disegnate da Pichard – le cui tavole si mangiano ancora con gli occhi – è sedimentato un immaginario potente, ma anche irrimediabilmente lontano, scarsamente frequentato dal sentimento nostalgico che ha condizionato parte dell’estetica degli ultimi vent’anni.
Paulette è un gioco irriverente, volutamente dialettico nei confronti di un modello dichiarato – Valentina di Crepax – ma anche dell’immaginario erotico del suo Paese: nel volto e nelle movenze disinibite di Paulette si riconoscono senza troppi sforzi le fattezze di Brigitte Bardot. Ma così come la creatura di Crepax, la giovane rampolla della famiglia Gulderbilt (che orecchia i Vanderbilt) è un’incognita. Troppo svampita per essere femminista, Paulette è un corpo che vaga di pagina e in pagina e che occupa tutto lo spazio possibile come nel fulminante incipit: «Adoro la notte perché è nera / Di notte tutto può succedere». E di fatti succede un po’ tutto come in una commedia assurdista. Come in un grande e immenso sogno, che in realtà è spietatamente ad occhi aperti.
Serializzata nei primi anni Settanta su Charlie, Paulette conquistò facilmente i cuori dei giovani francesi grazie a quelle appariscenti curve a cui Pichard, ormai un distinto signore che aveva lasciato da poco la cattedra alla Ecole des Arts Appliqués, si era immolato insieme al più giovane e ostinatamente comunista Wolinski, che aggiunse all’erotismo il sapore caustico di una sana presa per i fondelli. Perché con Paulette si passano in rassegna le categorie della politica attraverso l’aguzzo ingegno della satira e della favola.
Le tavole sono ingombre dei corpi di Paulette e del/la suo/a amico/a Joseph – un vegliardo puzzolente trasformato da una talpa magica in una splendida fanciulla, in cui rivive il mito di Tiresia. Ad esse si contrappongono antagonisti e comprimari rappresentati con fattezze lombrosiane: perché laidi miliardari, poliziotti corrotti, cattolici impenitenti e studenti di sinistra fuori corso non possono essere rappresentati così come ce li aspetteremmo. Sono archetipi da favola. E così come le fiabe raccontate oralmente Paulette non brilla – per fortuna oserei dire – di coerenza logica. Il flusso narrativo è appunto tale, uno scorrere senza soluzione di continuità di situazione in situazione, come se fossimo in una pièce teatrale senza alcun canovaccio, dove quello che brilla – è il caso di dirlo – sono le detonazioni e i salti.
Ma torniamo alle tondeggianti forme disegnate da Pichard. Lussureggianti e volutamente ricolme di efelidi, pongono un interrogativo fondamentale che contrappone il ‘vecchio’ erotismo – quello dei collant sui predellini, come ricordava il Blutch di Per farla finita con il cinema – e la nuova pornografia. Qual è, oggi, la capacità di Paulette di destare un sentimento di eccitazione nel lettore? Nulla. Alla dimensione pruriginosa del si-è-quasi-visto, della carta ruvida e rovinata e della pellicola lasciata andare avanti a indietro per cogliere il momento giusto, oggi si contrappone la continua disponibilità di ogni parafilia al semplice contatto del nostro pollice sullo schermo.
L’erotismo di Paulette è oggi, inevitabilmente, un anacronismo. Ma, Paulette sin da subito è un emblema dell’intempestività come quando solo dopo ore di distanza da un tedioso consiglio di azienda, mentre si pavoneggia accanto al suo decrepito amico constata di essere stata sempre comunista: «Joseph! Mi sta succedendo una cosa orribile!… Non capisci. Credo di… credo di essere comunista».
Tuttavia il comunismo di Paulette è da rubricare sotto la categoria del “favoloso”, nel suo saltare di palo in frasca: una specie di Proudhon in gonnella. Anche se la maggior parte del tempo lo passa senza. La giovane ereditiera somiglia molto ai suoi genitori, anarchica e gaudente, ma soprattutto irriverente come Wolinski: la sua spensierata spregiudicatezza oggi appare anch’essa anacronistica, totalmente incompatibile con il registro odierno del politically correct, dove il femminismo un po’ svampito di Paulette sarebbe più che offensivo. Ciononostante questo assalto del passato, sebbene legato alla cronaca francese dei primi Settanta, riesce a produrre una breve scossa.
Il piacere maggiore di questa riedizione non lo troverete perciò in questa irriverenza. Semmai lo troverete nelle tavole di Pichard: un flusso continuo di variazioni sul tema, di decori e ghirigori, di trovate teatrali e grafiche, illuminate da testi qua e là pungenti. Un Pichard misurato e a tratti ancora accademico che, tavola dopo tavola muta, diventa sempre più irrequieto e sporco. Un cammino artistico che lo condurrà alle tavole crumbiane della storia Paulette va al circo.
Non parla a noi oggi, insomma, Paulette. Non è un’opera “senza tempo”, non è una parabola eterna. Va apprezzata come documento di un’epoca in cui il fumetto era fatto “a colpi di martello”: un fumetto disinteressato a prospettive ombelicali e lacrimevoli, capace di far ridere e di prendere in giro tutto e tutti.
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